Si è scritto poco sul bravo pittore Primo Panciroli, nato a Roma il 2 giugno 1875 e deceduto ad Acireale il 13 settembre 1946. Soltanto recentemente, per iniziativa di due associazioni culturali “Storia, Cultura e Sviluppo Territoriale” di Santa Venerina con due eventi nel 2015 e nel 2020 e il “Circolo Bohemien” di Acireale nell’annuario del 2020, finalmente nel nostro territorio l’attenzione è stata focalizzata su questo artista che merita di essere annoverato certamente tra i migliori del secolo scorso.
Post mortem se ne occupò il medico e giornalista acese Alfio Fichera con un profilo umano e artistico in “Libera parola” il 21 giugmo 1947. A livello nazionale l’iniziativa più importante è stata la mostra retrospettiva a Roma, a cura di Corrado Mezzana, dal 13 al 30 giugno 1947 dell’Istituto “Beato Angelico” di Studi per l’Arte Sacra e di cui riferisce la “Gazzetta delle Arti” del 6 luglio 1947. Un cenno soltanto si trova nel volume alfabetico di Castelletto Saleggio “Un secolo di pittura dal 1848 al 1948 (ed. Successo, Milano) a pagina 236.
Da allora rari e scarni riferimenti a Panciroli. Intanto, poco si era scavato sugli anni della sua formazione, ma nel 2020, grazie a un pittore e studioso attento quale è Antonino Pasquale Calabrò di Roma, ne sappiamo molto di più. Da citare, per completezza di informazione, che nel 2019 don Giambattista Rapisarda ha pubblicato in proprio un volumetto sulle ultime opere del Panciroli nella cappella dell’Immacolata della chiesa “Maria SS. Immacolata” di Fiumefreddo di Sicilia.
Ci interessiamo di lui soprattutto perché, pur avendo operato in Italia, a San Pietroburgo in Russia e al Cairo in Egitto, ha lasciato alcune delle sue opere più pregevoli ad Acireale, Santa Venerina e Fiumefreddo di Sicilia, ma anche perché sposò il 12 luglio 1912 Maria (La) Spina, nipote del famoso scultore e pittore Michele La Spina (Acireale 1849-Roma 1943). Il nipote prof. Salvatore Spina di Acireale conserva e custodisce con cura le memorie e tanti bozzetti delle opere dello zio.
Ma andiamo per ordine. Primo Panciroli nasce a Roma da genitori emiliani Andrea e Carolina Poli. Il padre “fervente e valoroso garibaldino con decorazione, si trasferisce a Roma ed ottiene il Riconoscimento e l’iscrizione nella ‘Società Reduci Italia e Casa Savoia’ ”. Primo, rimasto orfano della madre nel 1882, a soli sette anni, ed essendo stato figlio di combattente delle guerre di indipendenza, viene iscritto all’Istituto San Michele di Roma” (A.P. Calabrò).
In questo istituto trova oltre all’assistenza, l’opportunità di seguire la scuola di arti e mestieri e viene guidato dallo scultore e pittore Alessandro Ceccarini. Negli esami finali vince tutti i premi in concorso “e ventenne andò a cercare il suo pane lavorando come decoratore e studiando con passione e tenacia, sicché la sua cultura artistica e letteraria diventò profonda” (A. Fichera).
Panciroli viene presentato dal suo maestro Ceccarini al famoso Cesare Maccari che nel 1896 lo assume come aiuto. “Con il Maccari acquisisce una straordinaria padronanza nella tecnica dell’affresco, della tempera, dell’encausto, del pastello e dell’acquerello” (G. Rapisarda).
Ma prima di questa opportunità, per sopravvivere a Roma in una fase di crisi economica, si presta per qualsiasi lavoro. Maccari lo conduce come suo aiuto a Nardò in Puglia per affrescare una chiesa e poi, per ben dieci anni, lo tiene con sé a Loreto per gli affreschi della cupola della grande basilica, e infine a Roma per i lavori pittorici del Palazzo di Giustizia.
Dal 1901 al 1905, cominciando a diffondersi la fama della sua bravura, viene chiamato in Trentino dall’ing. Paor per i progetti dei suoi lavori e lì esegue pitture alla Sala Dante del Circolo Militare di Trento, e, sempre a Trento, affresca la Società Operaia a Santa Maria Maggiore. A Livorno arricchisce con i suoi affreschi l’albergo “Acqua della Salute” ed esegue dei lavori ancora a Torino, nel Tolentino, a Sanremo, a Reggio Emilia. Il Maccari mentre era impegnato con importanti lavori nel Palazzo di Giustizia di Roma, dovette abbandonare la sua attività perché fu colpito da una paralisi. Così fu il suo allievo Primo Panciroli a terminare l’opera.
Di natura schiva, non amava parlare dei suoi lavori e molte sue opere rimasero nell’anonimato; per questo motivo ne ricavò poco profitto. Ora ci avviciniamo al nostro territorio e torniamo indietro al 1907 quando Panciroli fu chiamato ad Acireale per completare la decorazione della volta della navata centrale della Basilica Cattedrale “Maria SS. Annunziata”, cominciata dal pittore zafferanese Giuseppe Sciuti, che per una grave malattia non potè completare gli affreschi avviati sin dal 1902. Fu Michele La Spina a suggerire il nome di Panciroli per portare a termine la decorazione, molto impegnativa anche sul piano fisico perché bisognava lavorare guardando in alto (G. Contarino).
Così Panciroli, con l’apprezzamento del primo vescovo mons. Gerlando Maria Genuardi, completa la parte relativa all’Eterno Padre, seguendo il bozzetto di Sciuti. Sparsasi la voce della sua bravura, lo contatta il sacerdote Antonino Lanza, parroco della “Chiesa Sacro Cuore di Gesù” di Santa Venerina. Questa chiesa, di proporzioni inusuali per la zona dove si trova e la cui apertura al culto era avvenuta il 29 giugno 1888, si voleva rendere ancora più bella con degli affreschi e delle tempere aventi per oggetto la vita di Gesù e le virtù teologali. Panciroli accetta con entusiasmo anche perché così poteva restare ancora per un po’ di tempo ad Acireale, dove si era fidanzato con Maria (La) Spina a cui abbiamo accennato sopra.
Egli esegue in tre periodi di tempo (per impegni dell’autore o anche per mancanza di risorse finanziarie del committente) le opere ”L’Ascensione di Gesù Cristo” e il “Trionfo della Croce” nel 1907/08 rispettivamente nella calotta e nell’arcone del coro maggiore; con lettera personale datata 22 settembre 1911 lo stesso pittore si impegna a decorare le due absidi laterali del transetto, gli arconi che li precedono e le due pareti laterali del coro maggiore. Egli quindi dipinge in un’abside “L’Adorazione del Divino Agnello” e nell’altra abside “La Gloria del SS. Sacramento dell’Eucaristia”.
Nel 1920, dopo aver vinto il Premio Reale di pittura di cui diremo dopo, dipinge nelle lunette della cupola le quattro Virtù, le tre teologali Fede, Speranza e Carità e una cardinale, Giustizia, e nelle pareti laterali “La moltiplicazione dei pani e dei pesci” sulla destra e “L’Ultima Cena di Nostro Signore Gesù Cristo” a sinistra.
Però, nel frattempo, accresciutasi ancora di più la sua fama, affresca la villa Zalun di Livorno (1910), nel 1912 l’esterno della palazzina Paor a Lèvico (Val Sugana), l’esterno della Banca Cooperativa e gli affreschi della Cappellina in Val di Non. Nel 1913 riceve la commessa per affrescare a Roma il soffitto del Ministero Agricoltura Industria e Commercio.
Torna ad Acireale nel 1914 dove decora il soffitto delle case Musumeci e Nicolosi. Il principe Abamelèk lo conosce e gli commissiona due grandi tele ad encausto per il suo palazzo a San Pietroburgo. La sua ascesa è continua e nel 1919 vince il Premio Reale dell’Accademia San Luca per la decorazione dell’aula consiliare in Campidoglio e a questa fase della sua attività artistica vanno ascritte delle opere in Vaticano (Sala Ducale) e gli affreschi e le tempere nella chiesa del Rosario a Bagnara Calabra.
Grande periodo quello tra il 1924 e il 1932 quando vince a Roma il concorso per gli affreschi della chiesa Copta al Cairo e realizza 24 grandi tele ad encausto per la hall del Palazzo Reale di Alessandria d’Egitto e la Cappella Ruston nel cimitero latino del Cairo.
Sugli affreschi della chiesa votiva copta la “Gazzetta delle arti” sopra citata scrisse: “Grandiosità di concezione, fedeltà al soggetto e all’ambiente, spiritualità altissima, profonda ispirazione religiosa, caratterizzano quest’opera, che rimane tra i migliori esempi moderni di un’arte nella quale l’Italia vantò per secoli un primato ambito”.
In un intervallo di questi impegnativi lavori, rientra per eseguire gli affreschi nella chiesa di San Giovanni Battista a Ragusa. Dal 1937 al 1940 lo ritroviamo a Bagnara Calabra, dove decora con splendidi affreschi e tempere la chiesa madre “Santa Maria e i dodici apostoli”, sui quali trovò parole di elogio il critico Angelo Lipinski.
Finalmente nel 1942 ritorna ad Acireale dove gli viene commissionata la decorazione del soffitto della Sala Consiliare del Palazzo di Città con un tema patriottico sull’Italia. Gli ultimi affreschi e le tempere nel 1943-44 li esegue nella Cappella dell’Immacolata nella chiesa “Maria SS. Immacolata” di Fiumefreddo di Sicilia per illustrrare il mistero della Vergine Maria, su richiesta dell’arciprete don Antonino Catalano. Su quest’ultima opera, quasi un suo testamento artistico e spirituale, oltre a don Giambattista Rapisarda già citato (“Gli ultimi bagliori di luce di Primo Panciroli”) si è soffermato recentemente anche l’avv. Felice Saporita (“La memoria di Primo Panciroli illustre pittore ‘viaggiatore’” “La Sicilia” del 6 luglio 2020, p. 11).
Gli ultimi anni li trascorre ad Acireale dedicandosi con accuratezza al riordinamento e alla collocazione dei quadri della Pinacoteca dell’Accademia Zelantea. Muore ad Acireale per tubercolosi il 13 settembre 1946 lasciando nello sconforto la moglie Maria, “instancabile collaboratrice nell’arte e nella vita” (G. Rapisarda), con la quale visse ad Acireale in via Scinà n. 8. La sua tomba si trova nel cimitero di Acireale assieme a quella di Michele La Spina.
Il dott. Calabrò ha cominciato a pubblicare dei libri illustrativi delle opere di singoli siti, a cominciare da Bagnara Calabra (cfr. A. P. Calabrò “Primo Panciroli”, ed. GK 2020), e si propone di inserire in un volume di grande formato la descrizione di tutte le opere del Panciroli, operazione molto complessa che richiede ricerche analitiche e i tempi necessari.
A conclusione di questo excursus riportiamo alcuni giudizi sull’uomo e sull’artista. Corrado Mezzana nell’introduzione alla Mostra Retrospettiva del 1947 scrive: “Nella giovinezza penosa e nella operosa maturità egli ebbe sempre vivo il culto della patria e della famiglia e obbedì costantemente a un senso religioso della vita e del lavoro”.
Alfio Fichera, a poco meno di un anno dalla morte del nostro pittore, così si espresse:”In quei cieli di un azzurro fondo, in quell’accordo tonale, in quei trapassi di colore, in quell’unità stilistica impeccabile, si intuiva come il pittore sentisse più che mai la poesia dell’arte, ultimo rifugio al suo dolore di figlio devoto di una Patria sconvolta” (“Libera parola”, 21 giugno 1947).
A poco più di trent’anni dalla sua morte il prof. Salvatore Finocchiaro così volle ricordare il Panciroli: “Morì ad Acireale, nel cono d’ombra di una modestia da lui religiosamente amata e gelosamente custodita per tutta la vita. E forse (fu) tale modestia, che era dignitosa consapevolezza del suo valore di artista, e sdegnoso rifiuto verso ogni compromesso utilitaristico, e verso ogni forma avvilente cortigianeria, che gli alienò molti animi, nella città da lui tanto amata e che non gli fece raggiungere quella popolarità che ben meritava” (“La Sicilia”, 20 dicembre 1977).
Ci auguriamo che finalmente si riesca a far conoscere adeguatamente la vita e soprattutto le opere di Primo Panciroli perchè venga inserito, come merita, tra gli artisti italiani più importanti del secolo scorso.
Giovanni Vecchio