“Vita, vita, grande sogno misterioso! Tutti gli enigmi che mostri; gioie e lampi… Visioni presentite. La vettura del trasloco gira l’angolo della strada. Portici al sole. Statue addormentate. Ciminiere rosse; nostalgie di orizzonti sconosciuti […] E l’enigma della scuola, e della prigione e della caserma; e la locomotiva che soffia di notte sotto la volta ghiacciata e le stelle. Sempre l’ignoto: il risveglio la mattina e il sogno che abbiamo fatto, oscuro presagio, oracolo misterioso”. Il brano è tratto dalla poesia “Una vita” di Giorgio de Chirico e ci trasporta nel mondo enigmatico e straniante della pittura metafisica: è come se ci trovassimo nel mezzo di una di quelle famosissime Piazze d’Italia che hanno caratterizzato per molto tempo la produzione artistica del pictor optimus, come amava definirsi.
Queste Piazze sono luoghi tanto immaginari quanto reali, ma sempre indefiniti nella loro purezza emblematica: geometrici deserti di città irradiate da un caldo sole estivo pomeridiano e avvolte da un’atmosfera sospesa e fossilizzata. Per de Chirico più che un ambiente urbano, la Piazza rappresenta l’archetipo di uno stato d’anima, un labirinto di sensazioni ora calme e distensive, ora pulsanti ed oracolari; un luogo delle mente dove tutto soggiace ad un raffinato e misterioso gioco dell’equivoco e dell’ignoto.
Ad una prima osservazione dell’opera, la piazza ci appare come un ambiente familiare, calmo e distensivo, ma immediatamente si avverte una sensazione opposta, un senso di disagio… come se d’improvviso qualcosa dovesse accadere, qualcosa di sconosciuto. L’occhio e la mente infatti recepiscono istintivamente un sofisticato e misterioso gioco di contrapposizioni: al rigoroso e matematico disegno dei portici, si contrappongono le lunghe e impenetrabili ombre dei pilastri; al mutismo apparente che avvolge la composizione si contrappone sullo sfondo l’immagine “sonora” del treno in movimento che sbuffa. E ancora, all’ora meccanica segnata dall’orologio si oppone l’ora solare segnata ancora dalla proiezione a terra delle misteriose ombre: è il tempo metafisico, quello dell’eterno presente e dell’eterno ritorno, dello Stimmung.
La piazza è abitata da due personaggi che parlottano tra loro; le figure sono appena accennate da sottili e rapide pennellate. Ma di cosa parlano e soprattutto chi sono? Forse lo stesso de Chirico e il fratello Alberto Savinio, i Dioscuri della metafisica che semi-nascosti ci osservano? Se ci trovassimo d’improvviso catapultati in una di queste Piazze il senso di smarrimento sarebbe enorme, è come se fossimo in un labirinto della mente. Ma è lo stesso de Chirico ad accennare ad una soluzione, ad indicare una via d’uscita, un incipit. Per il pictor è fondamentale riannodare il filo dei pensieri e dei ricordi per uscire dal labirinto della metafisica, e chi può farlo se non colei che è la chiave figurativa del mito stesso del Labirinto di Cnosso, ovvero Arianna? L’Arianna di Giorgio de Chirico, è una presenza quasi sempre costante nelle Piazze d’Italia, ora in primo piano, ora ad un lato della composizione, ora richiamata dalla sola ombra sul terreno. Arianna è la personificazione di un tempo passato e mitico, è l’alter ego di Teseo ovvero l’elemento complementare dell’eroe. Rappresentata nelle forme di una scultura ellenistica in posa melanconica e di abbandono, adagiata su un solido piedistallo marmoreo, soggiace ad un tempo eternamente presente, ma è colei che riannoda il filo: quello dei ricordi, indicati dal sottile braccialetto a forma di serpente, quello della vita, tra enigma e ricerca della conoscenza, quello sottile ed invisibile che collega la metafisica di de Chirico alla filosofia di Nietzsche, e quello del tempo che lega il passato al presente e viaggia verso il futuro.
Adolfo Parente