In vista della Giornata mondiale del volontariato, che si terrà martedì 5 dicembre prossimo, l’ufficio stampa dell’Ape (Associazione Progetto endometriosi), ha curato un’intervista ad Annalisa Frassineti, che dell’associazione è presidente.
“Il volontariato può cambiare la vita – si legge nel preambolo del comunicato stampa -. Lo sanno bene le donne dell’Ape, che da 18 anni lavorano come volontarie a sostegno della popolazione femminile, per fare informazione e creare consapevolezza sulla malattia cronica per la quale le cause sono ancora sconosciute e non ci sono cure definitive”.
Quella di martedì è per l’Ape una giornata utile per fare conoscere l’impegno e l’intraprendenza delle sue tante volontarie che in tutta Italia organizzano iniziative e svolgono un’informazione capillare per far conoscere l’endometriosi.
Cosa significa fare volontariato per un’associazione come l’Ape?
«Prima di tutto è accettare la patologia – sottolinea la Frassineti. Fare un percorso di accettazione della malattia, perché l’Associazione è costituita da donne affette da endometriosi. Esse sanno bene che, prima di aiutare gli altri, bisogna aiutare sé stessi. E’ intraprendere un percorso di consapevolezza, informazione e accettazione. Vuol dire metterci cuore, passione, inventiva che solo una volontaria può avere, ma anche professionalità».
Quali le maggiori difficoltà di azione?
«Il tempo. Essendo tutte volontarie, non è semplice ritagliarsi il tempo al di là del lavoro e della famiglia e poi ci sono le difficoltà dovute alla malattia, lo scontrarsi con una società in cui l’endometriosi è sminuita, perché è una patologia di sesso femminile, ed ancora persiste lo stigma legato al dolore durante le mestruazioni».
Qual è il progetto che vi ha dato più soddisfazione?
«Il Progetto di informazione. Ciò che abbiamo fatto, in effetti, era inimmaginabile, perché ha contribuito negli anni a cambiare il modo di vedere l’endometriosi. Fare informazione e, quindi, prevenzione che portiamo avanti grazie agli incontri nelle scuole, è stato e continua ad essere importantissimo, al fine di cambiare la mentalità degli adolescenti. Far loro capire quanto è importante prendersi cura di sé, smettere di sminuire il dolore mestruale, andare dal ginecologo. E’ fondamentale, infatti, far conoscere l’endometriosi per avere una diagnosi precoce”.
“I corsi di formazione che organizziamo per il personale sanitario – aggiunge la presidente dell’Ape – sono fondamentali, grazie alla collaborazione con medici e ginecologi esperti di endometriosi e ai fondi raccolti con il 5×1000. Posso testimoniare che diversi ginecologi, dopo averli frequentati ed aver conosciuto anche il vissuto di alcune pazienti, hanno deciso di specializzarsi in endometriosi. Sono corsi di alta formazione e innovativi, perché c’è la componente didattica e quella umana grazie alla presenza delle volontarie».
Alla domanda su come è cambiata l’attività dell’Ape da 18 anni fa ad oggi, Annalisa Frassineti ha ricordato che le volontarie si sono evolute e cresciute. “Abbiamo cominciato con tavoli informativi, incontri di sostegno, piccole conferenze, quando non si sapeva proprio cosa fosse l’endometriosi. Oggi la parola è diventata di utilizzo comune, anche se spesso non si sa bene cos’è la malattia”.
Negli anni è aumentato l’ascolto delle esigenze delle donne, mentre sono stati realizzati progetti dedicati. “Fare volontariato per una patologia sminuita non è semplice. Spesso ci si approccia al volontariato con la rabbia di coloro che non sono state accolte, ascoltate, di coloro che non hanno potuto avere figli e di coloro che hanno dovuto affrontare percorsi difficili fatti di dolore e costi altissimi da sostenere per visite, spostamenti e terapie”.
Quali conquiste sulla cura per l’endometriosi?
«In questi 18 anni la ricerca ha fatto importanti passi avanti, sia in termini di cura, che non vuol dire guarigione, sia in termini di chirurgia. Di strada da fare però ce n’è ancora tantissima. Sempre più la comunità scientifica si occupa di endometriosi. Speriamo si possa capire da dove viene questa patologia, come prevenirla e come curarla nel miglior modo possibile».
Circa le maggiori necessità per le donne oggi con endometriosi, la presidente dell’Ape auspica la realizzazione, in ogni regione, di almeno un centro specializzato. “Solo partendo da una diagnosi precoce e da una gestione corretta della paziente, si può affrontare la patologia”, sottolinea. E poi: “Creare una rete, i PDTA (Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali), che accolgano la paziente, grazie alla collaborazione con gli altri centri presenti sul territorio regionale. Sarebbe finalmente utile un riconoscimento sociale tale da avere le esenzioni che la paziente necessita: farmaci, visite, antidolorifici. Il carico economico è elevato e non tutte possono permettersi di sostenerlo e conseguentemente alcune rinunciano alle cure di cui avrebbero necessità”. Infine, l’intervistata ricorda che per le terapie mediche non c’è alcun supporto. Mentre il tema del lavoro è, inoltre, importantissimo: non ci sono leggi che tutelano le donne se si assentano dal lavoro a causa della patologia.
Insomma, non dovrebbero esserci malattie di serie A e di serie B. “Ancora oggi però l’endometriosi è considerata una malattia di serie B. A quando il cambiamento?».
Maria Pia Risa