Azione Cattolica / I custodi del territorio in prima fila contro la corruzione: a Rimini incontro con gli amministratori

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Appuntamento a Rimini con gli amministratori pubblici formatisi nelle fila dell’associazione. Testimonianze coraggiose. Raffaele Cantone: “Solo quando passerà l’idea che la corruzione non è un danno fatto al singolo, ma all’intero sistema sociale, ai giovani, e rappresenta un’ipoteca fortissima sul futuro, allora sarà possibile fare il salto di qualità e combatterla davvero”

L’amministratore locale custode del territorio che gli è affidato. Con quest’immagine come filo conduttore l’Azione riminicattolica italiana (Ac) ha svolto il 14 marzo a Rimini il suo quarto convegno dedicato agli amministratori pubblici formatisi nelle fila dell’associazione. Una “tradizione” cominciata a Roma nel 2010 e che quest’anno si è trasferita nel capoluogo romagnolo per commemorare Alberto Marvelli, giovane di Azione Cattolica, assessore alla ricostruzione nella Rimini del dopoguerra, morto nel 1946 a soli 28 anni e beatificato nel 2004 da Giovanni Paolo II. Egli, nelle parole del presidente nazionale di Ac, Matteo Truffelli, è stato “straordinario interprete di un modo alto e al tempo stesso concreto d’interpretare il significato concreto della politica”, come “riconoscimento dei problemi reali da risolvere, che non possono essere elusi dal gioco verbale”, “a partire dall’attenzione verso i più deboli e marginali”.

Formare buoni amministratori. “Custodire il territorio” – questo il tema dell’appuntamento riminese – per l’Ac si declina concretamente in “lotta alla corruzione, tutela dell’ambiente, rilancio della partecipazione”. “Tre nodi problematici – ha precisato Truffelli – fortissimamente correlati tra loro e che trovano sintesi” in quel compito di custodia “proprio dell’amministratore locale”. Perché, rifuggendo l’interpretazione comune di una politica intesa come commistione con il malaffare, essa è strettamente connessa con l’edificazione del bene comune ed è “urgente – ha chiarito il presidente nazionale – fare qualcosa di concreto per sostenere e continuare a formare persone che si spendano a servizio delle nostre città”. “La competenza – ha richiamato Sara Martini, già presidente Fuci e ora assessore comunale a Sesto Fiorentino – è per noi un dovere assoluto, e non può essere sostituita da buona volontà e buona fede”. Mentre il sociologo Giorgio Osti, affrontando la questione ambientale, ha invitato a “una visione alta e penetrante della realtà” per le scelte che si compiono per l’ambiente, tematica politicamente sensibile perché una cattiva gestione “colpisce in maniera troppo dilatata”, con ripercussioni lontane nel tempo e nello spazio, “oppure oltremodo puntuale”, generando emergenze e catalizzando l’attenzione quando ormai è troppo tardi.

La libertà del bene. Ma è dalla piaga della corruzione, “vero handicap del sistema Italia”, che è partita la riflessione, con la videotestimonianza di Caterina Palazzolo, figlia di Santi, l’imprenditore dolciario di Cinisi che ha recentemente denunciato l’estorsione ai suoi danni, per il rinnovo di una concessione, perpetrata da Roberto Helg, già presidente della Camera di Commercio di Palermo e vicepresidente della Gesap, società che gestisce l’aeroporto Falcone-Borsellino. Cinisi è la città di Tano Badalamenti ma pure di Peppino Impastato, luogo dove da sempre si fronteggiano mafia e antimafia. Ma, in questo caso, c’è un ingrediente in più: la fede e la militanza nell’Azione Cattolica (Caterina è presidente parrocchiale dell’Ecce homo di Cinisi, consigliere diocesano e in passato vicepresidente giovani). “Non si è avuto mai alcun dubbio sulla strada da percorrere; non si è mai avuta esitazione nel denunciare… e non si dimenticherà mai il senso di libertà provato nel farlo”, ha commentato Santi Palazzolo, e “il fatto che nostro padre abbia voluto condividere con noi le sue paure e le scelte – ha raccontato Caterina – mi ha fatto capire che il bene comune non solo è possibile, ma soprattutto va a strutturarsi a partire dalla famiglia”.

 Contro la corruzione impegno dal basso. Per combattere la corruzione “non basta l’attività repressiva”, ha messo in guardia il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone. Certo, “serve un sistema repressivo che funzioni” con una “magistratura che abbia la possibilità d’investigare” e “tempi del processo tali da poter accertare i fatti e sanzionarli”. Ma, oltre a ciò, “bisogna lavorare sul piano della prevenzione, soprattutto a livello locale”, ha chiarito Cantone. Altrimenti succederà come con Mani Pulite, “la più grande attività repressiva messa in campo”: come ha recentemente dichiarato uno dei magistrati di quel pool negli anni Novanta, Piercamillo Davigo, “Tangentopoli ha avuto un effetto darwiniano, lasciando in campo i migliori corruttori e corrotti”. Oltre le leggi e una giustizia efficace, dunque, serve la prevenzione, con i piani anticorruzione, la rotazione degli incarichi “specie in settori sensibili”, un “impegno generalizzato che venga dal basso” e una sempre maggiore trasparenza. Così come le indagini antimafia hanno avuto “il vero salto di qualità” quando “si è affermata l’idea forte che la mafia equivale a un male assoluto”, così – secondo Cantone – è per la corruzione: solo “quando passerà l’idea che non è un danno fatto al singolo, ma all’intero sistema sociale, ai giovani, e rappresenta un’ipoteca fortissima sul futuro, allora sarà possibile fare il salto di qualità e combatterla davvero”.

 Francesco Rossi

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