Diffondere, concretamente, la speranza evangelica nel mondo; portare le pulsioni del mondo nel cuore della Chiesa. Con questa duplice traiettoria i laici cristiani – raccolti in una molteplicità di associazioni, circoli, opere caritative, sindacati, partiti politici – sono stati tra i protagonisti organizzati della storia europea soprattutto nell’ultimo secolo e mezzo. E, almeno fino al Concilio Vaticano II, questa presenza ha principalmente assunto nei diversi Paesi del vecchio continente la denominazione di Azione cattolica.
Anche se l’Ac con l’iniziale maiuscola è intesa dagli storici come la forma associata di laici che sostanzialmente operano la “scelta religiosa”, la quale sarà “codificata” solo nei nuovi statuti dell’Azione cattolica italiana del post-Concilio. La riflessione sul “nome” di questa presenza, irradiatasi dalla metà dell’800 in Svizzera, Italia, Francia, Germania, Austria, Spagna, Belgio, Polonia, Romania e oltre, per poi estendersi in altri continenti, non è secondaria. Giorgio Vecchio, docente di storia contemporanea dell’università di Parma, lo ha chiarito nel corso del convegno svoltosi a Roma il 6 e 7 marzo, proprio attorno alla vicenda dell’Azione cattolica in Europa e nel mondo.
Lo studioso ha affermato che l’Ac “fa della fede cristiana piena professione e completa testimonianza, interiore e pubblica, nella fedeltà alla gerarchia, con la quale intende partecipare all’evangelizzazione”. In tal senso essa “si adegua alle indicazioni magisteriali e alla loro evoluzione nel tempo; determinante, per esempio, è oggi l’accettazione convinta del Vaticano II”. Un’associazione, quindi, che, raccoglie i laici, coinvolgendoli “in una formazione permanente alla fede e alla spiritualità”; che sottolinea la dimensione organizzativa; che “esclude la politica come ambito specifico della propria attività, delegandola ad altri organismi (partiti, movimenti); al tempo stesso, però, rimane attenta alla dimensione politica, sindacale o sociale in genere, credendo nel diritto-dovere di formare i suoi aderenti anche alla testimonianza diretta o indiretta nella politica”.
Dalle “storie al plurale” delle Ac europee – come ha sottolineato Paolo Trionfini, presidente dell’Istituto Paolo VI per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico – emergono e si rafforzano, nel corso dei decenni, e attraverso le due guerre mondiali, la ricostruzione post-bellica fino agli anni più recenti, il prioritario impegno formativo delle associazioni nelle differenti nazioni, la stretta relazione con l’episcopato, la presenza entro le strutture territoriali della Chiesa a partire dalla parrocchia e dalla diocesi, nonché quel ruolo di “fermento” sul piano sociale e culturale, che hanno assegnato ai cristiani uno spazio da protagonisti della storia europea tout court.
Secondo Trionfini, il percorso secolare delle Ac sotto le molteplici bandiere nazionali si può ricondurre a una “discontinua continuità”, comunque caratterizzata da impegno educativo, robusta spiritualità, collaborazione con i Pastori, tratto solidaristico, vocazione al dialogo, chiamata a “trattare le realtà temporali, ordinandole secondo Dio”. Eppure si aprono altri quesiti che ci portano all’oggi della presenza pubblica dei cristiani, presi come singoli o come “comunità credente”, i quali, uscendo dalle sacrestie, provano ancora a far camminare il messaggio cristiano nell’era globale. Si tratta, in definitiva, di una presenza destinata a incidere nei nuovi scenari, a plasmare in positivo il futuro dell’umanità sotto i diversi profili morale, ideale, culturale, sociale, civile?
Dalla storia non giungono premonizioni per il futuro, ma indicazioni interessanti e fondate sì. E dalla operosa, intelligente, appassionata, ancorché non sempre lineare, traiettoria dei cristiani negli ultimi 150 anni, ci si può attendere una rinnovata presenza in scenari in rapido mutamento. Come nel passato i laici hanno saputo dinamicamente trovare le modalità più disparate di apostolato, anche oggi, e nel futuro, è lecito attendersi altrettanto. I sentieri con i quali il vangelo ha provato a procedere – grazie a innumerevoli donne e uomini di fede – tra XIX e XX secolo, dovranno essere ripensati e rinnovati, ma non verranno meno. Occorrerà semmai fare i conti con la storia, con gli errori e le incoerenze che certo non sono mancati; eppure sono sempre in azione coscienze credenti che hanno a cuore il bene comune e che intendono innervare il domani con la logica del dono e della croce, con le virtù evangeliche, con la “fantasia della salvezza” che scaturisce il mattino di Pasqua.
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