Le isole Galápagos, uno dei luoghi simbolo al mondo per biodiversità e ricchezza di specie protette, famose per le ricerche di Charles Darwin e per le tartarughe giganti, sotto la “minaccia” di una flotta di pescherecci, in gran parte cinesi, che con le loro reti a strascico si rendono responsabili di una catastrofe ecologica, rischiando di compromettere l’ecosistema dell’oceano Pacifico.
È notizia di questi giorni, anche se la questione è di vecchia data e non riguarda solo l’arcipelago, che fa parte del territorio dell’Ecuador. Il “trucco” è presto detto: le navi “sfruttano” il corridoio di acque internazionali esistente tra le isole e il continente, si mettono al confine delle acque territoriali ecuadoriane e nessuno può dire nulla. Un corridoio incredibilmente pescoso, in questo periodo, dato che i pesci migratori seguono le cosiddette “correnti di Humboldt”. Ed è strage quotidiana di tartarughe e squali, tra cui gli squali balena, particolarmente protetti.
Una vera e propria “armata pirata” che depreda il continente. “È un problema molto grave – spiega al Sir, da Quito, Pablo Palacios, presidente della Fondazione Arcandina, che si occupa di progetti ambientali in tutto l’Ecuador e anche nelle Galápagos, per le quali ha lanciato in questi giorni la campagna “Hope for Galápagos” -. Non riguarda solo l’arcipelago, ma tutti i mari del Sudamerica, soprattutto il Pacifico”. Più che una flotta di pescherecci, infatti, quella in azione è una vera e propria “città galleggiante”, in servizio permanente: oltre ai pescherecci, ci sono navi fattoria e piccole petroliere. “In pratica – prosegue Palacios – si tratta di una sorta di armata pirata, simbolo di una depredazione selvaggia di tutte le risorse del mare. Le navi sono prevalentemente cinesi, ma non solo. E si tratta di una presenza che periodicamente minaccia anche gli altri Paesi del Pacifico, come Costa Rica, Perù e Cile o, perfino, l’Argentina. C’è un impatto sulle specie protette, ma anche sulle risorse del continente, che vengono depredate a danno delle attività locali. Lo scorso anno sono state gettate in mare 600 tonnellate di squali morti, ai quali era stata tolta la pinna, l’unica cosa che interessa, molto ricercata nel mercato asiatico. Inoltre, la flotta è molto inquinante, getta in mare grandi quantità di plastica che spesso arrivano sulle coste”.
Eliecer Cruz è un biologo originario delle Galápagos, da direttore del Parco nazionale ha creato la riserva marina dell’arcipelago: “Precisamente, la Riserva marina protetta si estende per quaranta miglia rispetto alle isole. Poi, per 160 miglia, si estende la zona economica esclusiva dell’Ecuador. Quindi, si entra nelle acque internazionali. E qui si trova la flotta perlopiù cinese. C’è preoccupazione, la zona in questione è ricca di specie marine protette. Viene messo a rischio lo sforzo che l’Ecuador, un piccolo Paese, sta facendo per conservare il grande patrimonio di biodiversità esistente. Stiamo lavorando perché tutta la zona economica esclusiva sia dichiarata dall’Ecuador zona protetta, questo aiuterebbe moltissimo, così come sarebbe importante estendere la zona a 200 miglia. Ci si sta lavorando”.
La preoccupazione degli abitanti dell’arcipelago. In effetti, la questione si gioca ora su più tavoli: quello della popolazione locale, che si sta mobilitando, e quello del Governo e delle Cancellerie internazionali. Sempre dall’arcipelago arriva la voce di Alberto Andrade, pescatore che guida il “Frente insular Reserva marina” delle Galápagos: “Il problema risale al 2017, quando la flotta, con navi cinesi e di altri Paesi, per esempio vascelli battenti bandiera panamense, pescarono ben trecento tonnellate di specie protette, come gli squali balena e gli squali martello. Sappiamo che il problema è regionale, di tutto il continente, ma la nostra comunità sta alzando la voce”.
Il danno è ambientale e anche economico, per il lavoro dei pescatori, spiega Andrade, che conferma anche l’arrivo sulle coste di numerosi rifiuti, la cui presenza mette ulteriormente a rischio la fauna dell’isola: “Noi siamo una comunità rispettosa, dobbiamo ammettere che mai le navi sono entrate nelle nostre acque, ma al tempo stesso la nostra presa di posizione è molto decisa”.
Anche la Chiesa locale segue con attenzione la vicenda, come ci conferma al telefono il vescovo del vicariato apostolico delle Galápagos, mons. Patricio Bonilla: “Seguiamo la vicenda e ricordiamo sempre l’importanza del magistero di Papa Francesco sul creato, la centralità della custodia della casa comune. Una presa di posizione articolata è in via di preparazione e uscirà nei prossimi giorni. Certo, si tratta di una vicenda delicata, in mano ai Governi”.
Questione in mano ai Governi. Effettivamente, come dice il vescovo, la questione sta ormai investendo i Paesi del continente, mentre l’opinione pubblica di tutto l’Ecuador sta mostrando un crescente interesse. Ma la soluzione non è semplice, perché implica di mettere mano alle leggi del mare e ad accordi internazionali. Inoltre, ’Ecuador non si trova certo in posizione di forza rispetto a un colosso come la Cina, che ha grandissimi interessi nel Paese latinoamericano, maturati soprattutto negli anni della presidenza Correa, ma mantenuti in buona parte anche dall’attuale presidente Moreno.
Spiega Pablo Palacios: “In Ecuador si sta creando un grande movimento d’opinione. Ma la nostra dipendenza dalla Cina, sia a livello di debito sia di gestione delle risorse petrolifere, è un grosso problema, soprattutto in un momento molto difficile come quello attuale, per la grande diffusione del Covid-19”.
E non mancano altri progetti estrattivi e di grandi dighe, in mano al Gigante asiatico.
Conferma Damiano Scotton, padovano, docente di Relazioni internazionali all’Università dell’Azuay, con sede a Cuenca, sempre in Ecuador: “Il tema è complesso, bisognerebbe riformulare la Condemar, la Convenzione sui mari, ed estendere così la zona economica esclusiva dell’Ecuador, saldando quella continentale con quella dell’arcipelago. Nei fondali ci sarebbe effettivamente una cordigliera sotterranea che unisce le due zone, si sta discutendo di questo. L’Ecuador, su questa base, potrebbe emettere un reclamo”. Il Governo spera di avere come alleati gli altri Paesi latinoamericani del Pacifico, infatti è stato proposto un apposito incontro. “Può essere importante – conclude Scotton – l’appoggio esplicito dato dal presidente statunitense Donald Trump alla causa ecuadoriana, in un momento in cui l’Amministrazione di Washington punta molto sulla propaganda anticinese. Va detto, poi, che l’ambasciatrice dell’Ecuador negli Usa ha un forte legame personale con il presidente”.
Bruno Desidera
giornalista “La vita del popolo”