Da una decina di giorni don Mario Gretter sta facendo esperienza di “clausura”. Il 48enne sacerdote meranese, parroco del duomo di Bolzano, è da lunedì 24 febbraio in quarantena. Come lui è in quarantena anche il cappellano, padre Timothy Meehan. Entrambi hanno guidato, sabato 22 e domenica 23 febbraio, il corso prematrimoniale frequentato dal giovane 31enne di Terlano, risultato successivamente positivo al test del coronavirus (uno dei cinque casi accertati in tutta la provincia di Bolzano) che attualmente è ricoverato in isolamento nel reparto malattie infettive dell’ospedale cittadino. L’uomo, che non manifesta sintomi particolari, aveva da poco compiuto un viaggio a Castiglione d’Adda per far visita a una parente, risultata successivamente positiva al test del Covid-19. Il 31enne, dopo essere stato contattato dal Servizio di igiene lombardo, si è subito rivolto al 112 e da lì sono scattate le necessarie misure per evitare la diffusione del contagio. In questi giorni, in quarantena, sono stati posti in via cautelativa anche gli altri fidanzati che hanno partecipato allo stesso corso prematrimoniale, nonché i colleghi di lavoro e altre persone, con cui il 31enne di Terlano è entrato in contatto.
Una forma di responsabilità. “Sto bene – racconta don Gretter a Martina Rainer, redattrice del settimanale diocesano di lingua tedesca Katholisches Sonntagsblatt – e non ho la febbre.
La quarantena è stata adottata per prevenire in ogni modo che si diffonda il contagio.
È una forma di responsabilità verso gli altri e anche una forma di amore per il prossimo”. “In un certo qual modo ero preparato a questa possibilità – spiega don Gretter –. Ancora domenica il giovane mi aveva raccontato quello che era accaduto e mi aveva anche detto che il primo tampone a cui si era sottoposto era risultato negativo. La cosa mi aveva fatto pensare che tutto potesse concludersi lì. Poi, però, non è stato così. Quando lunedì ho ricevuto la notizia, ho dovuto comunque ingoiare il boccone”.
Misure precauzionali. L’appartamento nella canonica del duomo, in cui abitano don Gretter e padre Meehan, permette loro di vivere la quarantena senza troppi problemi. “Rimaniamo ciascuno nella propria stanza – racconta don Gretter – che è dotata di servizi igienici. Per comunicare usiamo il telefono. Ogni qual volta esco dalla stanza indosso la mascherina di protezione e guanti monouso. La perpetua del decano Bernhard Holzer ci lascia i pasti, in piatti usa e getta, davanti alla porta del nostro appartamento”.Don Gretter è un sacerdote molto attivo. Il dover stare chiuso nella propria stanza per due settimane ha in un certo qual modo rivoluzionato la sua quotidianità.“Inizialmente ho pensato che avrei potuto impiegare questo tempo per riposare un po’ – spiega –. Gli impegni della parrocchia sono però arrivati anche ‘dentro la quarantena’. C’era da riorganizzare la celebrazione delle messe e poi bisognava trovare chi avrebbe celebrato i due funerali che erano già in programma”. “Soprattutto nei primi giorni, quando la notizia si è diffusa – prosegue don Gretter – il mio telefono suonava in continuazione. Attualmente il telefono e la posta elettronica sono i due canali con cui comunico con il mondo esterno. Oggi il mio tempo lo impiego per pregare e per leggere”.
Chiesa “nella” e “con la” comunità. Quella che don Gretter sta vivendo in queste settimane è un’esperienza totalmente nuova. “Ci sono ordini religiosi che vivono in clausura – chiarisce –. Quella che vivo è una situazione che va accolta. Certo, è un’esperienza per me nuova, ma grazie a Dio sto bene e non ho alcun sintomo. In questi giorni penso spesso ai malati, che sono costretti a stare in ospedale”.
La quarantena ha dato la possibilità a don Gretter di vivere in maniera diversa il suo essere sacerdote.
“Per la prima volta ho celebrato la messa da solo, nella mia stanza – racconta –. In tanti anni di sacerdozio non mi era mai capitato di celebrare senza la comunità. Ed è proprio in questi giorni che sto sperimentando l’importanza dell’essere Chiesa nella e con la comunità. Con padre Timothy abbiamo deciso di celebrare ‘in contemporanea’, ognuno nella propria stanza. Mi manca la vicinanza che vivo quando celebro l’Eucaristia in parrocchia. Questo mi ha portato a pensare alle persone che in molte situazioni della vita si trovano a vivere la solitudine”. E in un contesto di solitudine, anche i gesti più semplici assumono un significato diverso. “Oggi provo un grande piacere quando apro la finestra della mia camera – conclude – anche questa è diventata un’esperienza particolare”.
Irene Argentiero