Bosnia / L’instabilità e il nazionalismo serbo di Dodik

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Dodik bosnia

Da qualche settimana un’aria di instabilità permea la Bosnia Erzegovina, paese cruciale dell’area Balcanica. La causa consistete nell’accertata emersione di una volontà secessionista serba, il cui nazionalismo è supportato dal presidente serbo Milorad Dodik. Lo scorso ottobre, il leader serbo aveva già minacciato il ritiro dalle istituzioni federali della Repubblica Serba dagli Accordi di Dayton del 1995. Come pretesto, aveva addotto una particolare legge imposta dal precedente Alto Rappresentante, Valentin Inzko, lo scorso agosto. Nello specifico, il divieto di negare il genocidio di Srebrenica, punto di svolta del conflitto civile Jugoslavo, ed ora la situazione sembra stia raggiungendo il culmine. E questo potrebbe portare a delle pessime conseguenze per tutti i paesi d’Europa.

Instabilità in Bosnia / L’appello dell’Alto Rappresentante

E’ stato il recentemente instauratosi Alto Rappresentante, Christian Schmidt, ad aver lanciato l’allarme in un rapporto alle Nazioni Unite, pubblicato dal Guardian. Secondo le sue dichiarazioni, una forte spinta secessionista è recentemente riemersa nell’area, sostenuta dalla classe politica e militare alla guida della Repubblica Serba. Dovesse la Repubblica Serba continuare a portare avanti la minaccia di ritirare le proprie istituzioni dai sistemi federali della Bosnia, ha precisato Schmidt, si renderebbe necessario l’intervento di ulteriori peacekeepers internazionali sul campo. Nemmeno trent’anni fa, simili dinamiche devastarono la popolazione dell’ex Jugoslavia. Per comprendere bene cosa stia succedendo, tuttavia, è bene spiegare sommariamente il contesto politico nel quale tale problema sta vedendo la luce.

Instabilità in Bosnia / Un passo indietro

Instabilità Bosnia

L’attuale Bosnia Erzegovina è il risultato degli Accordi di Dayton del 1995, che sancì la fine della guerra bosniaca nel più grande contesto della guerra civile Jugoslava. Parliamo dell’ultimo dei conflitti armati registratisi in Europa dalla fine del secondo conflitto mondiale. Cancellò lo stato totalitario dalle cartine geografiche e ridisegnò i confini dell’area sulla base delle richieste dei maggiori gruppi etnico-nazionalisti che avevano causato lo scoppio delle ostilità. Nel caso della Bosnia Erzegovina, i gruppi furono Bosniaci, Croati e Serbi.

Più precisamente, l’accordo determinò la divisione dei territori della Bosnia Erzegovina. Creò due entità politiche distinte e separate: la Federazione Croato-Musulmana e la Repubblica Serba, riunite in una più grande repubblica parlamentare federale. La presidenza centrale, inoltre, ha la particolarità di essere composta non da un presidente, ma da tre. Uno bosniaco, uno croato ed uno serbo, eletti su base etnica proprio per rafforzare le tre rappresentanze etniche maggioritarie nella regione citate sopra. All’interno di queste dinamiche politiche, l’accordo aveva inoltre imposto la presenza di una figura, l’Alto Rappresentante. Il compito di questo è, per l’appunto, vigilare sul rispetto di tali condizioni ed imporre per decreto qualsiasi misura sia necessaria a garantirle, nei limiti della sua mansione.

Instabilità in Bosnia / Il nazionalismo serbo ed il ruolo di Dodik

Proprio un’imposizione dell’ex Alto Rappresentante risalente all’estate passata, Valentin Inzko, è la causa degli attriti che la rappresentanza serbo-bosniaca sta alimentando. Lo scorso luglio, infatti, era entrato in vigore il divieto di negare il genocidio di Srebrenica. Un abominio condotto durante la guerra nel 1995 da numerosi membri dell’esercito serbo, guidati dal criminale di guerra Ratcko Mladić. Quest’ultimo è stato condannato la scorsa estate all’ergastolo dal Tribunale Internazionale per avere causato la morte di circa 8mila civili musulmani bosniaci, in una zona smilitarizzata e protetta dai peacekeeper ONU.

Instabilità in Bosnia /  Dodik, tra nazionalismo e secessionismo

E’ la definizione di “genocidio”, tra tutto, a causare la controversia. Per chi infatti fa le veci dell’etnia serba, ciò che è successo a Srebrenica fu sì un massacro, ma non appunto un genocidio, inteso come operazione di pulizia etnica vera e propria, definizione appurata e condivisa in ambito internazionale dalle indagini dello stesso Tribunale. Da qui, il membro serbo della presidenza bosniaca, Milorad Dodik, ha inizialmente mosso e supportato le spinte interne ai movimenti nazionalisti serbi. A suo dire, “nessun serbo dovrebbe essere sottoposto a tali leggi”. Ha mosso quindi accuse di interferenza verso l’Alta Rappresentanza, richiedendo la rimozione della legge e recentemente anche quella di Schmidt dalla carica che ricopre, reo probabilmente di aver lanciato l’allarme.

Milorad Dodik

Ma nelle ultime settimane, Dodik ha alzato la posta in gioco. Ha dichiarato che nei prossimi mesi il parlamento serbo prenderà provvedimenti per ufficializzare una totale fuoriuscita della Repubblica Serba dalle istituzioni federative comuni Bosniache. Ciò includerebbe la parte serba dell’esercito nazionale. Il che porterebbe alla ricostituzione dell’Esercito serbo e alle relative complicazioni sul piano squisitamente politico.

Instabilità in Bosnia / Dodik e “l’uso della forza da non escludere”

Per gettare benzina su una situazione già abbastanza calda, Dodik aveva inoltre ammonito non solo che, se Sarajevo avesse provato a interferire con il processo, l’uso della forza non sarebbe stato da escludere, ma anche che se “l’occidente provasse ad intervenire, ci sarebbero degli amici che hanno promesso di sostenere, per l’eventualità, la causa serba”. Riferendosi probabilmente alla Russia ed alla Serbia. Soprattutto alla Russia. Non sarebbe nemmeno la prima volta, in tempi recenti, che Mosca cercasse di estendere la sua influenza proprio sulla Bosnia. E adesso, per l’annuale riconferma delle missioni di pace ONU nella regione, potrebbe minacciare di imporre il veto in caso di ingerenze.

Instabilità in Bosnia / La questione internazionale

La figura di Dodik come promotore di una secessione nell’interesse dei serbi bosniaci è qualcosa che lui stesso cerca di costruirsi da sempre, simili dichiarazioni non sono nuove. Sfruttando tutte le falle nel sistema bosniaco, è riuscito a far leva su ciò che prima aveva caratterizzato la Jugoslavia e poi la stessa Bosnia, ovvero la mancanza di una reale identità civica e le divisioni etniche, che gli accordi di Dayton non acquietarono mai.

Anche attori provenienti dall’UE contribuiscono ad aumentare l’instabilità della Bosnia. Viktor Orban ed Janez Jansa, premier ungherese e sloveno, in linea con le idee sovraniste di cui sono esponenti vedono in Dodik un’alleato, e compromettono la possibilità di una risposta unitaria da parte dell’Unione. D’altra parte, gli organi esteri americani non hanno escluso possibili sanzioni. L’intera vicenda compromette gli Accordi, stipulati sotto l’egida statunitense, ed in tal senso gli USA hanno ribadito come azioni punitive verrebbero intraprese.

Bosnia / Cosa potrebbe significare un nuovo conflitto?

I maggiori osservatori sono momentaneamente concordi nell’affermare che lo scoppio di vere ostilità sia lontano dall’avvenire, causa la mancanza di sufficienti appoggi internazionali. Ma ciò non significa che le probabilità non esistano, ed anzi siano estremamente realistiche. Quanto mendo stando alle parole di Schmidt, soprattutto se il suddetto esercito serbo dovesse prendere vita nei mesi a venire. Gli abitanti delle zone limitrofe bosniache già da settimane vivono spaventate dalla possibilità che la violenza possa tornare realtà quotidiana. Alcuni di loro, gli orrori della scorsa guerra li ricordano bene. E le esercitazioni recenti dei reparti speciali di polizia serbi sul monte Jahorina, nei pressi di Sarajevo, da dove l’esercito serbo aveva mantenuto l’assedio durante la guerra, non aiutano certo a calmare gli animi.

Bosnia Dodik

Tra l’emergenza Covid19 e la gestione delle rotte migratorie, lo scoppio di conflitti armati direttamente alle porte di casa potrebbe dar vita all’ennesima frattura che le istituzioni comunitarie europee, e specialmente i paesi membri dell’area balcanica coinvolti, si ritroverebbero ad affrontare. Come si diceva nei ’90, “tutto ciò sta avvenendo a due ore da Parigi”. Ed avrebbe ripercussioni non solo sulle povere popolazioni locali, ma su tutti i cittadini europei.

Andrea Chiantello