Brexit / Restare o andarsene? Il Regno Unito in preda ai populismi. Politici divisi, elettori confusi

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Il massmediologo John Downey sta monitorando, assieme a un team di ricercatori dell’università di Loughborough, modalità e linguaggi con i quali il referendum del 23 giugno viene affrontato da tv, giornali e siti d’informazione britannici. Prevalgono gli slogan e si fa leva sulle paure, mentre manca un serio e approfondito dibattito sulle conseguenze delle due scelte: “remain” oppure “leave”.

A pochi giorni dal voto sul Brexit con il quale la Gran Bretagna deciderà se rimanere o uscire dalla “casa comune” europea, i Brexittoni del dibattito si fanno esasperati. In queste isole dove la “flemma” è, da sempre, parola d’ordine, si fa largo il populismo, con i suoi toni sopra le righe, gli accenti forzati, gli slogan urlati da entrambe le parti: “remain”, cioè chi vorrebbe restare nell’Ue, e “leave”, chi vorrebbe imboccare la strada opposta. Chi vuole restare con Bruxelles arriva ad esempio a prospettare un’altra crisi economica, mentre chi se ne vuole andare dice che il Paese verrà invaso da milioni di musulmani che attaccheranno le donne inglesi, come ha fatto Nigel Farage, il leader del partito Ukip contrario all’Europa. John Downey è un massmediologo famoso che, da maggio, studia, insieme a un team di ricercatori dell’università di Loughborough, il modo in cui il tema Brexit viene presentato da televisione, giornali e siti d’informazione britannici. I ricercatori hanno firmato un rapporto sull’argomento che è stato ampiamento ripreso dai media britannici.

Professore, cosa pensa del modo in cui viene gestito il dibattito sul Brexit?
È in corso una discussione molto gretta, dai toni fortemente nazionalisti, tutta concentrata su quale sia la cosa più conveniente da fare per la Gran Bretagna.

Sia che si parli di rimanere con l’Ue o di andarsene, riprendendo addirittura i contatti con le ex colonie, si pensa soltanto a quello che conviene al Regno Unito.

Nessuno parla di amore per l’Europa né vede gli aspetti positivi dell’Unione. Anche chi voterà contro il Brexit dice di farlo perché è il minore dei mali.

Ritiene che il dibattito abbia toni troppo estremi?
Sì, senza dubbio. Si gonfiano le cifre senza motivo. Non è vero che mandiamo 350 milioni di sterline alla settimana alla Ue, come sostiene il partito del Brexit. Entrambi i campi, esagerando, perdono credibilità. Gli elettori si sentono alienati dal voto perché si confondono e si tratta di una situazione preoccupante se pensiamo all’importanza di un referendum che cambierà per sempre la storia dell’Europa.

Perché si esagera in questo modo?
I politici tentano di raggiungere gli elettori meno istruiti e più poveri perché da loro dipende il risultato del referendum.

In realtà i due leader più importanti, il premier David Cameron, che è contro il Brexit, e l’ex sindaco di Londra Boris Johnson, che è a favore, sono rampolli delle élite. Tutti e due usciti da Eton, la scuola privata britannica più prestigiosa.

Le loro differenze politiche sull’Europa erano, fino a qualche settimana fa, insignificanti.

Insomma è arrivato il populismo.
Certo. Il Regno Unito non ha mai avuto una tradizione populista, ma la fazione a favore del Brexit, pur guidata da un personaggio ricco e famoso come Boris Johnson, si presenta a favore dei più poveri contro le ricche multinazionali e gli immigrati che porterebbero via il lavoro agli inglesi. È una retorica che funziona e attira elettori.

Il partito per il Brexit sembra più convinto e più caricato emotivamente. Non è un vantaggio?
Senza dubbio la fazione “out” sta sfruttando tutte le paure e i pregiudizi delle classi più povere e degli anziani dicendo che difende il Paese dagli immigrati, che assaltano servizio sanitario e welfare anche se, in realtà, sono i tagli dell’austerity ad avere indebolito sanità e servizi pubblici. La fazione “in” si attacca all’economia sostenendo che, benché l’Ue abbia tanti limiti, vale la pena rimanervi per ragioni di convenienza.

Che cosa succederà in questi ultimi giorni prima del voto?
I sondaggi danno risultati diversi di settimana in settimana, ma i due partiti sono vicinissimi e il voto darà un margine ristrettissimo di vittoria a chiunque ottenga la maggioranza il prossimo 23 giugno.

Come si riprenderanno il Paese e il partito Tory, al governo, dalle divisioni provocate da questo dibattito, considerato che c’è una lotta senza esclusione di colpi tra le due fazioni?
Non lo so dire, ma certo le cose saranno più facili se il partito pro-Europa prevarrà.

Se l’“out” vincesse, probabilmente il premier Cameron, che si è battuto per rimanere con l’Ue, dovrà dimettersi e il partito Tory potrebbe venire travolto da una guerra tra fazioni interne.

Non che il laburisti non siano a loro volta divisi sull’argomento. Insomma, una situazione davvero difficile con un Paese, il Regno Unito, spezzato a metà.

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