Buone Pratiche / Quando le carceri si fanno eccellenze

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E’ da un po’ di tempo che in Italia si diffondono sempre più buone pratiche tra le carceri, ed in alcuni casi queste si concretizzano in vere e proprie eccellenze, su più fronti. Coadiuvate dalla partecipazioni di numerose associazioni ed enti, supportate dalle istituzioni centrali, queste esperienze cercano di delineare un modello differente rispetto a una certa stagnazione che la giustizia penitenziaria italiana vive da decenni. Vediamo insieme quali sono.

Buone Pratiche / Quando le carceri diventano eccellenze

Quando parliamo di innovazione e progresso nelle carceri italiane, sono pochi gli aspetti che di solito trapelano nel dibattito pubblico. Non perché questi non esistano, bensì perché molte volte sono gli avvenimenti più truci che si svolgono tra le mura degli istituti a fare più scalpore. E’ ancora vivo, ad esempio, il ricordo delle buie vicende del Carcere di Santa Maria Capua Vetere, nell’aprile 2020. Nonostante sia sacrosanto mantenere la giusta copertura mediatica rispetto a sfregi del diritto proprio di una società civile, affinché venga mantenuta alta la guardia di fronte a tali orrori, è altrettanto sacrosanto cercare di mettere in luce quei posti e quei momenti in cui le istituzioni svolgono il loro ruolo nel pieno delle loro competenze e possibilità.

E’ solo così che infatti la comunità nella sua interezza può riuscire a trovare un equilibrio proprio, ed una tutela da futuri disagi. Anche interni alle istituzioni stesse, si intende. All’interno del contesto penitenziario questo atteggiamento si traduce nella ricerca di possibili opportunità di riscatto della dignità umana da parte del detenuto, e non solo nella sottomissione passiva ad una solitaria ed appariscente pena.

Carceri ed eccellenze / L’esperienza di Milano-Bollate

Uno dei più famosi esempi di buone pratiche sul fronte penitenziario in Italia è il carcere di Bollate, a Milano. All’interno della struttura sono numerosissime le iniziative di formazione scolastica, ricreative e di reintroduzione al mondo del lavoro fornite ai detenuti. La start up di energia digitale NeN e la cooperativa sociale interna al carcere Bee4 hanno dato vita ad una collaborazione col nome di “IntegrazioNeN”.

Questo progetto nasce dalla volontà di raggiungere un duplice scopo, sociale e di business, attraverso un’attività di Responsabilità sociale d’impresa. Le persone coinvolte dall’interno del carcere si occupano di attività quali data entry, validazione documentale, controllo e inserimento delle autoletture. In questo modo, i detenuti si avviano in percorsi individuali dieccellenze responsabilizzazione e formazione professionale, quindi a percorsi di rieducazione e partecipazione alla vita sociale in vista del futuro.

Sempre tra le mura di Bollate

Un’altra realtà che coinvolge i detenuti in attività alternative è il Ristorante sociale In Galera. Situato all’interno della struttura, è una vera e propria sede ristorativa di alta cucina gestito con l’aiuto della cooperativa ABC Catering. Anche questa cooperativa sociale, formata da cuochi professionisti, coinvolge più soggetti nel tentativo di eliminare lo stigma che la società imprime a chi ha trascorso un periodo della propria vita in carcere. E nel farlo offre anche un vero e forte curriculum lavorativo.

Con un’intera serie di lavori encomiabili, le amministrazioni del carcere di Bollate si sono susseguite nel tempo con costanza ed impegno sin dal 2000. Attraverso la creazione di opportunità e di impiego del tempo della pena dei detenuti in attività costruttive, ad oggi la struttura ha registrato un tasso di recidiva del 17% contro la media nazionale del 70%. Non mancano le occasioni di reciprocità e sport condiviso, come il progetto portato avanti dalla Rete Europea Risorse Umane (RERUM) on collaborazione con l’area educativa dell’istituto. Nello specifico, si tratta del progetto Intercultura 2.0, #OltreLaBarriera, capace di portare calciatori, artisti, giornalisti, attori e associazioni all’interno del carcere per condividere occasioni di svago e socializzazione.

Carceri ed eccellenze / L’esperienza di Padova

Nella casa detentiva Due Palazzi di Padova la cooperativa Work Crossing accompagna l’attività lavorativa dei detenuti locali in molteplici settori. Ma la più importante è sicuramente l’Officina Giotto, una vera e propria pasticceria circondariale diventata eccellenza tra le carceri. In opera da 15 anni all’interno della struttura, la Pasticceria Giotto è da tempo un marchio affermato di qualità. Torte, biscotti, brioche, praline e molto altro viene lavorato con l’aiuto dei detenuti e poi esportato in Italia come all’estero. Tra tutti i prodotti dolciari sfornati i più richiesti sono i panettoni, annoverati dal New York Times tra i migliori prodotti gastronomici d’Italia in tempi recenti.

Ad oggi sono 150 le persone detenute coinvolte nel progetto, e svolgono la propria attività lavorativa volontariamente senza alcuna costrizione. Sebbene inframmezzata da obblighi legati a percorsi giuridici o di altra natura, questo lavoro contribuisce a dare loro una reale prospettiva. Grazie a stipendi dignitosi in linea con i contratti collettivi di settore, anche qui i Eccellenze carceridetenuti si avviano ad un reinserimento nella società civile. E nel farlo, riescono ad aiutare le proprie famiglie ed a sostenere i costi di mantenimento interni alla struttura.

Recentemente, la stessa cooperativa ha inaugurato l’apertura di una nuova pasticceria gemella al di fuori della struttura. Questa ospita tutti gli ex-detenuti diplomati in pasticceria che hanno voluto continuare il loro percorso nel settore. Anche in questo caso, l’adozione di questo tipo di modello nel tempo ha permesso un’abbassamento della recidiva indicativa. Ha garantito un processo di pacificazione all’interno della struttura. E soprattutto ha permesso il recupero della dignità e della capacità di mettersi in gioco di quanti volessero tra gli ospiti del Due Palazzi.

Carceri ed eccellenze / L’esperienza di Andria

Ad Andria, in Puglia, un’altra realtà che punta al riscatto dei detenuti grazie al lavoro è riconosciuta come eccellenza. Nata da un progetto della Diocesi di Andria nel 2019, Senza Sbarre, vede gli ospiti della struttura alternativa San Vittore sfornare ogni giorno molteplici varianti dei rinomati taralli pugliesi. Seguiti dalla cooperativa A mano libera, detenuti ed anche ex detenuti trovano un punto di supporto per recuperare un’autonomia attraverso competenze sul campo. Sono molteplici i professionisti locali che si sono offerti come volontari per fornire il know-how in materia. E sono soprattutto i più giovani che hanno avuto passati giuridici turbolenti a giovarne.

Il progetto prende forma in un ex masseria nelle campagne locali, riabilitata e adattata per permettere i lavori in piena sicurezza. Tra varianti al finocchio, al vino dolce, al pomodoro e molte altre, i taralli rigorosamente fatti a mano di A Mano Libera hanno acquisito nel tempo la giusta spinta alla diffusione in tutto il territorio italiano. La scorsa estate anche il marchio premiato “Terre di Puglia” si è mosso in supporto del progetto. Aprendo i suoi canali commerciali, i prodotti della cooperativa arriveranno non solo in tutt’Italia, ma anche all’estero.

Carceri Eccellenze

Don Riccardo Agresti, responsabile e fondatore del progetto, è la persona che sempre ha sostenuto la necessità di un’alternativa al carcere per i più giovani. Dichiara che “c’è bisogno di delicatezza e sensibilità umana”, ed “è esclusivamente con l’arma dell’amore che riusciamo a calmare e rieducare le persone”.

Buone pratiche / Le carceri italiane

Tra le carceri le eccellenze sono molteplici in Italia. Progetti di formazione interna, lavoro e rispetto della dignità umana diventano i concetti alla base della riabilitazione delle persone giuridicamente compromesse. Ma si tratta di realtà ancora troppo poco diffuse. E riproponendo un vecchio adagio, “Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri”. Secondo i dati forniti dal Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria al 31 ottobre 2021, i detenuti negli istituti di pena italiani sono complessivamente 54.307, numero in calo rispetto ai precedenti anni. Di questi, la popolazione straniera, di 17.315 persone, è in calo dal 2015. Segue lo stesso trend il numero di donne presenti negli istituti, con 2.283 persone.

A fine 2021 il problema sovraffollamento è ancora presente, nonostante la capienza regolamentare nazionale sia comunque aumentata a 50.500. Nonostante questo, il fenomeno rimane critico in alcune regioni e in alcuni istituti di pena. Alto rimane il numero di suicidi tra le mura degli istituti di pena. Nonostante il numero di detenuti in calo, il numero di persone che si sono tolte la vita durante le restrizioni della pandemia è aumentato dalle 53 del 2019 a 61, in pari con i dati del 2017.

Carceri ed eccellenze / Un supporto ancora minimo

Un altro dato, attinente agli argomenti trattati nell’articolo, è relativo alle realtà lavorative per e con i detenuti. Secondo l’Osservatorio sulle condizioni di detenzione dell’associazione Antigone, un buon numero di persone che svolgeva lavori sociali è in fermo da due anni causa restrizioni covid. Con percorsi di crescita personale e professionale interrotti. “In carcere, dove non si è autonomi in niente, neppure per fare la doccia, visto che anche per questa pratica di igiene quotidiana bisogna essere accompagnati, l’isolamento dagli altri detenuti di chi esce per lavorare è impraticabile”, dichiara Alessio Scandurra, coordinatore dell’Osservatorio. Per questo il lavoro in carcere e fuori rischia di essersi compromesso, vista la fragilità che questo meccanismo aveva già prima del virus.

In media, infatti, nel 2021 lavorava il 43,7% dei detenuti. Ma la stragrande maggioranza è alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria, con mansioni che spesso non hanno alcuna spendibilità all’esterno degli istituti. Troppo pochi sono i progetti che vengono sostenuti stabilmente a tutela di un percorso di rieducazione ed inserimento della popolazione carceraria, a fine 2021. Senza spazio e supporto adeguato, le persone fanno fatica a mettersi in gioco in un processo di responsabilizzazione ed emancipazione.

Il tutto in un paese dove la recidiva è tra le più alte in Europa, stabile al 70%. Tutto ciò viene sempre minimizzato nel dibattito pubblico, e solo recentemente al ministero della giustizia si da spazio a questi temi su una scala nazionale. La speranza è che esperienze locali, quali quelle riportate sopra, possano dare nuova linfa a progetti di riforma che possano aiutare la comunità italiana a riscattarsi.

Andrea Chiantello

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