Nelle stesse ore in cui la Nazionale di Prandelli, nel campetto di Quarto, uno dei luoghi simbolo che legano lo sport alla lotta contro la camorra, dava un ulteriore dimostrazione di come il calcio può lanciare messaggi a favore della legalità, nelle segrete stanze della finanza si perfezionava quello che è già stato definito l’affare spartiacque per il nostro calcio: l’Inter, alias la Beneamata, uno dei club più prestigiosi a livello mondiale, passava nelle mani di una cordata di imprenditori indonesiani, capeggiati dal magnate Erick Thohir. Massimo Moratti non esce comunque di scena, ma resta come garante di un patrimonio, tecnico, storico, finanziario ma soprattutto umano che ha scritto pagine leggendarie del nostro sport più popolare. La notizia, che era nell’aria ormai da mesi e che non può sorprendere più nessuno, ha comunque fatto registrare le reazioni più disparate: intanto Piazza Affari, pur non essendo l’Inter una società quotata in Borsa, ha fatto schizzare all’insù i club italiani quotati, dalla Roma alla Juventus, segno che la comunità finanziaria internazionale crede che l’immissione di capitali esteri nel nostro calcio sia in grado di renderlo più competitivo.
Noi ci sono i nostalgici morattiani, quelli che hanno sempre vissuto all’ombra della grandeur (con relativi trionfi euro mondiali) della famiglia dei petrolieri italiani, prima con il padre Angelo e poi con il figlio Massimo, e che ora si sentono minacciati da parte del magnate straniero, senza cultura calcistica, che arriva per condurre i suoi affari secondo logiche estranee alla tradizione del Biscione. Peccato che molti di questi tifosi, oggi inconsolabili, siano gli stessi che fino a ieri criticavano Moratti perché non rinforzava adeguatamente la squadra, arrivando addirittura a chiederne la cessione. In effetti si incontrano due esigenze: quella, ormai manifesta, che nel nostro calcio non è più tempo per i mecenati e che per restare competitivi soprattutto a livello europeo sono necessarie robuste iniezioni di denaro fresco. La seconda, è che il calcio è ormai un fenomeno globale, con i grandi investitori planetari che, ad eccezione della conduzione americana della Roma, avevano un po’ snobbato il Belpaese, concentrando le loro acquisizioni nel Regno Unito, in Spagna, Germania e addirittura in Francia, fino a qualche anno fa campionato di seconda fascia.
La trattativa Thohir è non solo destinata a cambiare gli equilibri tecnici, ma probabilmente finanziari nel mondo del pallone nostrano, inducendo magari qualche altro grande gruppo, dalla Russia, dagli Emirati o da qualche altra Nazione ricca, a investire a sua volta nel nostro campionato. Di sicuro, una parte di passione evaporerà: starà ai tifosi tramandare una tradizione centenaria e alla vecchia guardia della dirigenza, Moratti in primis, ma anche Tronchetti Provera e gli altri, accompagnare questo processo senza strappi. Di sicuro, questa scelta ha già scatenato gli sfottò degli eterni rivali juventini: il presidente bianconero Andrea Agnelli, parlando di Jacarta capitale indonesiana e poi di Jacartone, ha voluto, con un gioco di parole, legare il passaggio di consegne a quel fantomatico scudetto emigrato d’ufficio sulle maglie nerazzurre durante Calciopoli. Ma queste sono battute, vedremo la sostanza alla distanza.
Leo Gabbi