Riportiamo sinteticamente l’intervento di Don Orazio Barbarino pervenuto all’evento dal tema “Vita ecclesiale, Cammino Sinodale e informazione”. Un percorso di formazione e confronto dedicato a tutti i giornalisti articolato in tre diverse giornate, ciascuna con un sotto-tema diverso. L’iniziativa è stata promossa da La Voce dell’Jonio in collaborazione con l’Associazione di volontariato Orazio Vecchio, la Diocesi di Acireale, la Delegazione siciliana della Fisc, il Centro di Servizio per il Volontariato Etneo (CSVE) e l’Ordine dei Giornalisti di Sicilia.
Don Orazio Barbarino / Tornare all’educazione della mente e del cuore
Mesi addietro ho sentito l’impellente bisogno di farmi più presente come presbitero nella Comunità ecclesiale dove vivo da sempre, prendendo la parola. Tutte le questioni, oggi, passano inevitabilmente attraverso l’opera della nostra presenza e delle relazioni che sappiamo tessere con gli altri. Prendere la parola nella Chiesa è importante. In un tempo come il nostro, equivale ad un cammino che si fa insieme a tanti altri.
Il dono della parola, come il dono dello scrivere sono anche un’arte e oggi sono necessari e vitali, perché siamo seppelliti da infinite chiacchere. Da parole che provengono da interessi particolari di gruppo, di sistemi economici sempre più marcati. Da fazioni che dilaniano la casa comune e quanti vi abitano. In Ucraina, in questo momento, si stanno combattendo due guerre: una con le armi tradizionali e l’altra a colpi di fake news. La disinformazione ha assunto un ruolo di primo piano in questo nuovo conflitto. Tutto sembra uno spettacolo e gli hacker diventano killer dei sistemi informatici per destabilizzare.
Cammino sinodale / La riflessione di don Orazio Barbarino
Dinanzi all’orrore di una guerra in atto, si rimane costernati, disorientati e impietriti. Anche le parole dimostrano la loro fragilità e non si trovano parole per poter spiegare una guerra. Esse sono sempre più vuote e faziose, quasi sempre a difesa di uno schieramento o a protezione dell’altro. “Quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca. Siamo, dunque, in uno di quei momenti nei quali i cambiamenti non sono più lineari, bensì epocali.
Costituiscono delle scelte che trasformano velocemente il modo di vivere, di relazionarsi, di comunicare ed elaborare il pensiero. Di rapportarsi tra le generazioni umane e di comprendere e di vivere la fede e la scienza”. Così diceva, lungimirante, Papa Francesco nel Natale 2019, e realmente ci siamo, fine di un’epoca! Siamo costretti per forza di cose a misurarci con le macerie e a trovare nuovi approdi. Ma una cosa appare chiara: in questi anni sono venuti a mancare i profeti, i grandi statisti, gli uomini e le donne di grandi vedute. Si è pensato di gestire il presente e non ci siamo preoccupati di abitarlo, di riempirlo, anzi dilatarlo con le nostre scelte.
Cammino sinodale / Don Orazio Barbarino: educare la mente e il cuore
Negli ultimi decenni, per usare una espressione di Giuseppe Dossetti, abbiamo dilapidato continuamente una immensa eredità che avevamo ricevuto. E adesso? Oltre a leccarci le ferite, cosa si può fare? Ecco che il Sinodo, indetto da Papa Francesco, è un momento forte di crescita, che possiamo cogliere per evitare che la casa crolli rovinosamente su noi tutti. È paradossale che tutto quello che sta accadendo in Ucraina e non solo, avvenga negli anni in cui la Chiesa Cattolica si prepara a vivere un tempo di grazia e di conversione. Questo attraverso un ritorno alle radici, alla vita vera da parte dei suoi fedeli, nell’accoglienza del Sinodo.
Cioè del camminare insieme, condividendo la forza della fede, convergendo verso l’essenziale che è il Vangelo e portando l’amore di Dio dentro e fuori l’accampamento. Questo ultimo riferimento tolto dalla Lettera agli Ebrei del Nuovo Testamento, lo prendo come una chiave di lettura del tempo presente. Il mondo cattolico, chiamato a vivere il Sinodo, non può pensare di conseguire l’obiettivo con riunioni più o meno plenarie o proponendo corsi per formatori, i quali a loro volta dovranno formare altrettanti formatori.
Cammino sinodale / La riflessione di Don Orazio Barbarino
Nella Chiesa Cristiana i cambiamenti sono stati colti da uomini e da donne che hanno saputo camminare alla presenza del Signore, avendo una speranza al di là di ogni speranza umana. Per uscire dall’accampamento e portare l’amore di Dio, testualmente “l’obbrobrio di Cristo”, bisogna aver sentito l’odore di Cristo ed avere il cuore rinsaldato dalla grazia (Eb 13,8).
“Solo i Santi hanno il genio dell’amore, perché sono bambini animati dal coraggio della speranza che non tramonta. Essi custodiscono quella vita interiore senza la quale l’umanità si degraderà fino a morire. È nella vita interiore che l’uomo trova le risorse necessarie per sfuggire alle barbarie del formicaio totalitario” (Georges Bernanos).
Don Orazio Barbarino / Tornare all’educazione della mente e del cuore
Mi sia permesso di riportare qui l’esperienza di Gregorio Magno. Egli non rimase insensibile alla fine di Roma assediata ed invasa dai Longobardi di Agilulfo. Alla sua gente affamata offrì il pane di ogni giorno e quell’altro pane che esce dalla bocca di Dio. Diventando così lui stesso l’interprete di Dio presso gli uomini del suo tempo, leggendo e interpretando le profezie del profeta Ezechiele. E ancora l’interprete degli uomini presso Dio con la potenza della sua umile preghiera, della sua eroica testimonianza.
Le parole che Dio rivolse ad Ezechiele, Gregorio Magno le sentì rivolte a se stesso. Queste lo indussero ad un serio esame di coscienza, allorquando commentò le parole: “Figlio dell’uomo ti ho posto per sentinella alla casa d’Ismaele”. I barbari per lui non erano e non furono, come per i bizantini, predoni da sterminare. Ma popoli nuovi, chiamati a formare con i popoli antichi, come quello romano, un unico popolo di Dio, mediante il Vangelo. La sua testimonianza si fa veramente drammatica se proviamo a leggere qualche parola delle sue omelie su Ezechiele, che risalgono proprio al 593/4.
Cammino sinodale / Don Orazio Barbarino: Gregorio Magno testimone del popolo di Dio
In quel drammatico crogiuolo di popoli, Gregorio vide la culla del popolo nuovo che Dio voleva formare per sé. Egli ne diventa il testimone, anzi ne diventa l’interprete con una partecipazione lancinante sino ad interrompere bruscamente la stessa spiegazione della Scrittura; la parola gli muore sulle labbra.
“Nessuno mi rimproveri se ora pongo fine al mio discorso, poiché, come tutti potete vedere, le nostre tribolazioni sono cresciute oltre misura. Da ogni parte siamo circondati da spade, da ogni parte temiamo imminente il pericolo di morte. Alcuni tornano a noi con le mani troncate, altri sono stati fatti prigionieri. Di altri ci giunge notizia che sono stati uccisi. Sono costretto a interrompere il commento, poiché l’anima mia sente il tedio della vita. Nessuno mi chieda di occuparmi ancora delle Sacre Scritture. Come faccio a parlare dei mistici sensi della Scrittura se non mi è consentito di vivere?”. Eppure, Gregorio, la sentinella, non piange mai senza guardare avanti. La sua tristezza non è quella di chi è senza speranza. Egli, soltanto, non alimenta le “cieche speranze”, ma diventa un testimone “della speranza che non può deludere”.
Don Orazio Barbarino / Il cammino sinodale voce della Chiesa
Alla luce anche di questa autorevole testimonianza, ogni cosa mi fa dire che se vogliamo una Chiesa sinodale, questo può accadere lì dove un uomo o una donna si fanno indicibilmente sinodali per una chiamata interiore, personale e non come risposta ad un programma più o meno imposto. Però tutto è grazia, tutto è provvidenziale. Il sinodo è voce della Madre Chiesa che chiama tutti a diventare figli e figlie e perciò ad essere fratelli e sorelle. Ecco che, nuovamente, tutto questo rientra nella logica dell’ascolto dello Spirito che parla nella Chiesa.
Ossia nel cuore dei suoi fedeli che in essa vivono e attendono il Regno di Dio, inserendolo nella loro esistenza, nelle loro viscere. Nella Nazaret o Cafarnao, nelle quali è toccato vivere. Francesco d’Assisi, Vincenzo de Paoli o in tempi più recenti a noi, Oscar Romero, Marianella Garcia Villas. Ancora Teresa di Calcutta, Rutilio Grande, dei gesuiti assassinati a San Salvador, dei Trappisti uccisi a Tibhirine in Algeria e tanti altri uomini e donne. Essi sono soltanto la voce più eloquente di una Chiesa sinodale. Il tempo del Sinodo coincide allora con l’ora delle nostre responsabilità: bisogna diventare uomini e donne responsabili, ci ricorderebbe Dietrich Bonhoeffer.
Cammino sinodale / Don Orazio Barbarino: analfabeti di civiltà
Il ritorno all’educazione del cuore e della mente è una necessità che offre e pretende responsabilità di una nuova cultura e di una nuova politica. Oggi stiamo soccombendo di fronte ad un analfabetismo di ritorno non solo di tipo religioso, ma anche politico-sociale. Rischiamo di essere analfabeti di civiltà. Però, anche nelle epoche più oscure, anche nel buio della persecuzione nazista, è stata possibile vedere una luce, come quella vista da Etty Hillesum. Dal suo diario, il giorno 29 maggio 1942, si può leggere questa splendida testimonianza, un autentico atto di amore che sembra scritto per i nostri giorni:
“Dio, certe volte non si riesce a capire e ad accettare ciò che i tuoi simili su questa terra si fanno l’un l’altro, in questi tempi scatenati. Ma non per questo io mi chiudo nella mia stanza, Dio. Continuo a guardare le cose in faccia e non voglio fuggire dinanzi a nulla. Cerco di comprendere i delitti più gravi, cerco ogni volta di rintracciare il nudo, piccolo essere umano che spesso è diventato irriconoscibile. In mezzo alle rovine delle sue azioni insensate.
Io non me ne sto qui, in una stanza tranquilla ornata di fiori, a godermi Poeti e Pensatori glorificando Iddio. Questo non sarebbe difficile, né credo di essere così estraneo al mondo come dicono inteneriti i miei buoni amici. Io guardo il tuo mondo in faccia Dio, e non sfuggo alla realtà per rifugiarmi nei sogni. Voglio dire che anche accanto alla realtà più atroce c’è posto per i bei sogni. E continuo a, lodare la tua creazione, malgrado tutto!”
Don Orazio Barbarino / Il ritorno dell’educazione di cuore e mente
Io vedo che le nostre Comunità Parrocchiali sono chiamate a vivere una nuova responsabilità che non è paragonabile a quella precedente. Oggi il sentiero si è interrotto ed è tempo di diventare da parte di noi stessi, delle strade, dei punti di riferimento. Non viviamo più nel tempo della Cristianità, perché questa semplicemente non c’è più. Anche se non tutti, ancora, se ne sono accorti! Non è finito il Cristianesimo. È finita la cristianità!
Questa è l’ora delle scelte dolorose, se fosse necessario! E a tutto questo non siamo assolutamente preparati. È tempo di ricominciare a testimoniare, a pregare, a riflettere. A prendere la parola, soprattutto, sulle cose che contano e che ci fanno sperare. Diciamo più chiaramente che è tempo di essere cristiani sul serio. “Se un giorno diventerò cristiano sul serio, dovrò vergognarmi soprattutto, non di esserlo diventato prima, ma di aver tentato prima tutto le scappatoie” (S. Kierkegaard). E, infine, “Se dicessi che credo in Dio direi troppo poco perché gli voglio bene. E capirai che voler bene a esso è qualcosa di più che credere nella sua esistenza” (Lorenzo Milani, Lettera a Giorgio Pecorini).
Don Orazio Barbarino
Arciprete di Linguaglossa