Riportiamo l’intervento del giornalista Giovanni Lo Faro pervenuto all’evento dal tema “Vita ecclesiale, Cammino Sinodale e informazione”. Un percorso di formazione e confronto dedicato a tutti i giornalisti articolato in tre diverse giornate, ciascuna con un sotto-tema diverso. L’iniziativa è stata promossa da La Voce dell’Jonio in collaborazione con l’associazione di volontariato Orazio Vecchio, la Diocesi di Acireale, la Delegazione siciliana della Fisc, il Centro di Servizio per il Volontariato Etneo (CSVE) e l’Ordine dei Giornalisti di Sicilia.
Cammino sinodale / Lo Faro, lo sport presidio di formazione umana
Sul tema (Lo sport presidio di formazione umana) esiste una letteratura vastissima. La Chiesa stessa ci ha regalato un preziosissimo testo («Dare il meglio di sé», ElleDiCi edizioni, 2018), che raccoglie riflessioni profonde “sulla prospettiva cristiana dello sport e della persona umana”.
“La Chiesa – si legge nel documento – valorizza lo sport in sé, come una palestra di vita in cui le virtù della temperanza, dell’umiltà, del coraggio, della pazienza possono essere interiorizzate e fatte proprie. In cui è possibile incontrarsi con ciò che è bello, buono e vero, in cui è possibile testimoniare la gioia di vivere […]. È un documento che vuole parlare a tutti coloro che amano e promuovono lo sport, siano essi atleti, insegnanti, allenatori, genitori […]”.
“Il legame tra la Chiesa e lo sport – sono parole di Papa Francesco – è una bella realtà che si è consolidata nel tempo. Perché la comunità ecclesiale vede nello sport un valido strumento per la crescita integrale della persona umana. La pratica sportiva, infatti, stimola a un sano superamento di sé stessi e dei propri egoismi. Allena allo spirito di sacrificio e, se ben impostata, favorisce la lealtà nei rapporti interpersonali, l’amicizia, il rispetto delle regole”. “E’ bello quando in parrocchia c’è il gruppo sportivo – qui siamo in tema di ambienti della pastorale dello sport – e se non c’è un gruppo sportivo in parrocchia, manca qualcosa […]”.
Cammino sinodale / Lo Faro: vivere lo sport in famiglia e in Parrocchia
La famiglia e la Parrocchia hanno avuto un ruolo fondamentale nella mia formazione. Sono stati i prodromi di un’esperienza di vita che mi ha dato la possibilità di vivere lo sport sia dall’interno sia dall’esterno. La famiglia mi inculcò subito l’amore per lo sport. Pallone e bicicletta mi fecero compagnia, sin dai primi anni di vita. Mio padre, da giovane, aveva giocato a calcio. A quali livelli non saprei (peraltro, di tempo a disposizione ne ebbe davvero poco, la guerra lo piagò, rubandogli la giovinezza e lasciandogli segni visibili nel corpo). Sia come sia il calcio me lo ritrovai nel sangue.
In Parrocchia, ebbi una figura di riferimento eccezionale: Padre Di Prima. Giovane viceparroco di mons. Guglielmino, la sua missione la viveva con le decine di ragazzini che bazzicavano nei cortili della Parrocchia. Lui, padre Di Prima, c’era sempre. Anche nel ruolo di arbitro a bordo campo. Nel senso che si muoveva poco, e un po’ goffamente, anzi, intralciato com’era da una tonaca pesantissima alla quale mai lo vidi rinunciare. Ma conosceva le regole del calcio e, soprattutto, conosceva le regole non scritte. Le regole del buon senso, quelle che giovavano alla fine a far sentire appagati i protagonisti in campo.
Cammino sinodale / Lo Faro: tra campo e parrocchia
Fuori dalla Parrocchia, un Oratorio ben organizzato lo trovammo a San Gregorio, dai Salesiani, figli di Don Bosco, bravi come pochi a lavorare con i giovani. E fu dopo l’esperienza di San Gregorio che convinsi padre Di Prima ad alzare l’asticella. Ci avvicinammo al CSI (Centro Sportivo Italiano). Vivemmo una bella esperienza, tra campo e Parrocchia, il nostro mondo considerava orizzonti sempre più ampi a mano a mano che crescevamo e diventavamo grandi, pronti a mettere in pratica quei valori che avevamo sperimentato sul campo.
Personalmente, fui il primo ad uscire di scena. Un bell’infortunio, una capocciata terribile e l’impatto sul terreno di gioco mi costrinsero in uno stato di semi-incoscienza. Con quale angoscia per i miei genitori, vi lascio immaginare. Fu, per me, quella domenica, l’ultima domenica di calcio giocato. Da qual momento in poi non avrei più toccato palla in una competizione ufficiale. Anche se il calcio avrebbe continuato a far parte della mia vita, da spettatore, da tifoso. Negli anni Settanta, pure da giornalista, in risposta ad una vecchia passione che mi avrebbe fatto arrivare là dove mai, ragazzino che accompagnava il papà-tifoso-rossazzurro allo stadio Cibali, avrei potuto pensare di arrivare. A scrivere, da giornalista del maggiore quotidiano isolano, del Catania in Serie A per otto anni di fila.
Lo Faro / Lo sport presidio di formazione umana
Tra parentesi, vi dirò che, dopo i primi anni di insegnamento, pensai di cogliere l’opportunità che mi veniva offerta dal primo concorso ordinario a Preside che la storia ricordi, un concorsone, con migliaia di concorrenti. Andai a Roma, sostenni la prova scritta, tornai a casa e dimenticai. A quei tempi molto mi solleticavano le prospettive che sembravano schiudersi per l’attività giornalistica. Con l’offerta di Pippo Fava che, assunta la direzione del neonato Giornale del Sud, aveva pensato a me per la redazione sportiva. Ma non ebbi il coraggio di cambiare. Declinai l’offerta, la ragione prevalse sulla passione. Con moglie e due figli a carico non potevo rischiare salti nel buio. Divenni Preside ma restai giornalista.
Raccontare il calcio, e lo sport in genere, è ben altra cosa che praticarlo sul campo ma offre una grande opportunità. Quella di dare rilievo a quei valori (la solidarietà, la lealtà, l’amicizia, il rispetto delle persone e delle regole condivise…) dai quali lo sport non può prescindere se vuole assolvere alla sua funzione educativa e sociale.
Lo faro / Il gioco e lo sport come strumenti per educare
In questo senso, mi ha fatto riflettere moltissimo un articolo di un cronista sportivo algerino di religione islamica, Lakrout Ahmed, pubblicato sul quotidiano El Heddaf di Algeri che ho avuto modo di leggere su Sportmeet (Sportmeet for a United World): “Partendo da un principio forte conosciuto nell’Islam, secondo cui il buon credente deve operare per promuovere la buona educazione nella società e la pace tra i popoli, abbiamo scelto di osservare alcune regole di etica quando si tratta di pubblicare delle informazioni o degli articoli che trattano di competizioni tra squadre di nazioni diverse. Ci sforziamo di mettere in evidenza tutto ciò che c’è di positivo nell’una e nell’altra squadra, privilegiamo la scelta di vocaboli che evocano la competizione, non il conflitto”.
Mi piace chiudere proprio con una bellissima frase letta sul manifesto della Summer School di Sportmeet dell’estate 2019: Educare alla pace ed allenare i valori nel gioco e nello sport – “Il gioco e lo sport sono straordinarie occasioni di incontro e di relazione. Metafore della vita, possono rivelarsi straordinari strumenti per educare”.
Giovanni Lo Faro