Cammino sinodale / Orazio Tornabene: ascoltare fragilità e povertà accanto

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Riportiamo sinteticamente l’intervento di Don Orazio Tornabene pervenuto all’evento dal tema “Vita ecclesiale, Cammino Sinodale e informazione”. Un percorso di formazione e confronto dedicato a tutti i giornalisti articolato in tre diverse giornate, ciascuna con un sotto-tema diverso. L’iniziativa è stata promossa da La Voce dell’Jonio in collaborazione con l’Associazione di volontariato Orazio Vecchio, la Diocesi di Acireale, la Delegazione siciliana della Fisc, il Centro di Servizio per il Volontariato Etneo (CSVE) e l’Ordine dei Giornalisti di Sicilia.

Cammino sinodale / Orazio Tornabene: ascoltare fragilità e povertà

Da sempre l’amorevole attenzione della Chiesa ha un particolare riguardo per i poveri. Tornano alla mente immagini evangeliche come “il buon samaritano” (Lc 10-25) o altri innumerevoli riferimenti biblici come le beatitudini (Lc 6,20-23/ Mt 5,1-2). In fondo, tutta la tradizione biblica parla di amore per le persone. Tutta la Sacra Scrittura è una storia di amore tra l’umanità ferita dalla povertà del peccato e l’infinita misericordia di Dio, che non cessa un istante di guarire col suo amore.

Come non ricordare la pericope del giudizio universale (Mt 25,31-46), in cui il Figlio dell’Uomo, rivolgendosi a coloro che hanno dato da mangiare, da bere ecc., ai fratelli piccoli, afferma: lo avete fatto a me. Oppure, come non pensare alla Lettera di Giacomo dove, al capitolo secondo, mette in evidenza le ingiuste preferenze tra ricchi e poveri che, ancora oggi, in una comunità potrebbero venirsi a creare.

Cammino sinodale / Orazio Tornabene: fragilità e povertà

Anche l’antico testamento è pieno di riferimenti a favore dell’opzione preferenziale per i poveri, un esempio emblematico lo troviamo nel libro del Deuteronomio: «Poiché i bisognosi non mancheranno mai nella terra, allora io ti do questo comando e ti dico: “Apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nella tua terra”» (15,11).

Oppure: «Se quell’uomo è povero, non andrai a dormire con il suo pegno. […]. Non defrauderai il salariato povero e bisognoso, sia egli uno dei tuoi fratelli o uno dei forestieri che stanno nella tua terra, nelle tue città. Gli darai il suo salario il giorno stesso, prima che tramonti il sole, perché egli è povero e a quello aspira. Così egli non griderà contro di te al Signore e tu non sarai in peccato» (24,12.14-15). Il grido del povero, la sofferenza di chi a mala pena arriva a fine giornata, è la voce di Dio che denuncia l’egoismo di noi tutti.

Cammino sinodale / Orazio Tornabene: fragilità e povertà

Ieri come oggi le persone bisognose vengono viste soprattutto come esseri umani da aiutare, in modo prioritario, nelle loro necessità primarie, come l’assistenza in vita, la salute, l’alimentazione, l’ospitalità – che non è sbagliato – lasciando in secondo ordine gli aspetti di liberazione dalle cause che hanno generato quelle loro fragilità. Anche se, in tempi più vicini a noi, i Pontefici hanno sensibilizzato la Chiesa su questo secondo versante, spiegando cosa significa amare i poveri. Anzitutto, Paolo VI, subito dopo la feconda esperienza del Concilio Vaticano II, ha voluto la Caritas al posto della POA (Pontificia Opera Assistenza), ponendo l’accento sulla virtù teologale della Carità, anziché l’aspetto meramente assistenziale.

Ma su tutti spiccano le due encicliche del papa emerito Benedeto XVI, illuminati sul tema della carità: Deus Caritas est e Caritas in veritate. Nella prima, il contenuto dell’enciclica condensa l’essenza stessa della permanente novità del Cristianesimo: all’uomo è offerto di legare la realtà del proprio amore a quello divino e, di conseguenza, l’amore di Dio e l’amore del prossimo diventano per lui un solo grande amore, proprio quella carità che non potrà non comprendere la totalità della sua esistenza e delle sue relazioni e non potrà non purificarlo ed elevarlo per condurlo al di là di se stesso, verso il Divino, nel Noi eterno.

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Cammino sinodale / Orazio Tornabene: le questioni sociali del nostro tempo

Invece, con l’enc. Caritas in veritate evidenzia le fondamentali questioni sociali ed economiche del nostro tempo e intende spronare tutti noi ad una riflessione più profonda su di esse. Tale riflessione esige, secondo il papa emerito, un nuovo slancio del pensiero. Un tale slancio del pensiero deve avere significativi contenuti di creatività (tema ripetuto anche da Papa Francesco: la creatività della carità).

Dunque uno slancio del pensiero creativo e coraggioso, perché volto a ricercare soluzioni che sovente dovranno riuscire ad essere assolutamente innovative rispetto alle ricette sin qui sperimentate, vista l’inadeguatezza non di rado dimostrata da quest’ultime, soprattutto in campo economico. Un tale slancio risulta indispensabile dal momento che «la complessiva tenuta morale della società è a rischio» (n. 51). In tali condizioni si impone la ricerca di «un profondo rinnovamento culturale e della riscoperta di valori di fondo su cui costruire un futuro migliore» (n. 21), per fare in modo che la crisi del momento si tramuti in una significativa e ricca opportunità «di discernimento e di nuova progettualità» (n. 21).

Cammino sinodale / Orazio Tornabene: vivere il comandamento dell’amore

Papa Francesco, già nell’esort. Ap. Evangelii Gaudium sottolinea che la scelta dei poveri da parte della Chiesa ha il suo fondamento nella fede, e nessuno può fare a meno dei poveri perché essi rappresentano l’agire di Dio e dello stesso Gesù Cristo, che da ricco che era si è fatto povero per arricchirci della sua povertà (cfr 197-201). L’affermazione che i Pontefici ripetono a tutti i credenti nei vari documenti è quella, secondo cui per vivere il «comandamento che Cristo ci ha lasciato, ogni cristiano deve impegnarsi offrendo all’uomo contemporaneo non solo aiuto materiale ma anche il ristoro e cura dell’anima» (Motu Proprio-Servizio e cura della Carità).

Non possiamo negare che i cambiamenti, voluti anche dal Concilio Vaticano II, hanno comportato un diverso modo di considerare le persone in difficoltà, presupponendo un cambio di mentalità da parte di chi si occupava di accogliere la persona, cioè un diverso modo di considerare il fratello bisognoso di aiuto, non più come una pratica da evadere, un codice da completare, ossia come un oggetto della nostra azione caritativa, ma piuttosto come soggetto e quindi come persona che vive una situazione critica, nella quale potremmo trovarci anche noi (se le cose avessero preso un diverso risvolto) e quindi in grado di collaborare a un progetto che la riguarda e che richiede decisioni e impegni precisi.

Cammino sinodale / Orazio Tornabene: autenticità e verità

Ascoltare, in un cammino sinodale, il mondo che mi circonda, ritengo che non si debba ridurre al cercare ricette nuove o stravaganti. Sono sempre più convinto dell’efficacia del binomio essenziale: autenticità e verità. Autenticità al proprio essere, nel caso dei presenti giornalisti è quello di non fare gli opinionisti, soprattutto se giornalisti di matrice cattolica. Essi non possono svendere la propria fede per qualche spicciolo in più, scrivendo ciò che l’opinione pubblica vorrebbe sentirsi dire, in nome del politicamente corretto. Per questo bisogna essere fedeli alla verità: verità oggettiva della notizia e non, come affermavo prima, opinione soggettiva. Autenticità e verità, che in fondo sono riassumibili in una sola parola: responsabilità. I Giornalisti hanno la responsabilità di raccontare ciò che nasce dal vero ascolto.

Per il tema da me trattato, “Ascoltare fragilità e povertà che mi abitano accanto”, vorrei richiamare alle nostre menti i cinque verbi del Convegno Ecclesiale di Firenze: USCIRE, ANNUNCIARE, ABITARE, EDUCARE E TRASFIGURARE. Ritengo doveroso richiamarli, dacché tali Verbi avrebbero dovuto orientare da 7 anni la nostra chiesa italiana in un cammino che coinvolgesse tutti (ma a che punto siamo rispetto al vivere questi verbi?). Ed intanto, ci stiamo imbattendo nella bella esperienza del cammino sinodale. Non dimentichiamo che il cammino è un processo.

Cammino sinodale / Orazio Tornabene: uscire

Pertanto recuperiamo la bellezza di USCIRE. Per camminare bisogna uscire dalle proprie comfort zones per andare incontro agli altri. Uscire per incontrarsi ed insieme riprendere il cammino, anche per purificare la fede. Uscire implica apertura e movimento, lasciare le porte aperte e mettersi in cammino. Senza apertura non c’è spazio per nient’altro che per se stessi («la fede vede nella misura in cui cammina», Lumen fidei, 9).

Tutto ciò significa uscire dal proprio io, ma anche da un noi difensivo, dai luoghi comuni e dall’ansia di classificare e contrapporre. Siamo capaci di metterci in movimento, spingendoci anche fuori da quei territori dove ci sentiamo sicuri, per andare incontro agli altri? Di ascoltare anche chi non la pensa come noi, non per convincerlo, ma per lasciarci interpellare, purificando la nostra fede, camminando insieme, senza paura di perdere qualcosa? Alle volte per difendere qualcosa non ci curiamo che potremmo smarrire qualcuno. Quanto è sterile l’arroccarsi nelle proprie convinzioni, perdendo l’opportunità di un incontro, di «camminare cantando» (Laudato Si’ 244 cit. sant’Agostino).

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Cammino sinodale / Orazio Tornabene: annunciare e abitare

ANNUNCIARE. Testimoniare il Vangelo con la vita. Per noi cristiani l’annuncio non è una scelta. Se davvero la gioia della buona notizia ci ha toccati nel profondo, non possiamo tenerla per noi. Per annunciare bisogna uscire: «Fedele al modello del Maestro, è vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno» (Evangelii Gaudium 23). «Annunciare» non è sinonimo di «spiegare»: l’annuncio è testimonianza. Siamo testimoni fervorosi della Buona notizia. Cristo e la speranza che sgorga dalla Resurrezione.

ABITARE. Costruire dimore stabili e aperte. Abitare in tante lingue è sinonimo di «vivere», perché solo l’uomo abita. Egli non si limita a scavare una tana per sopravvivere e, inoltre, si esprime costruendo luoghi stabili per l’intreccio delle relazioni, perché la vita fiorisca. Non solo la vita biologica, ma quella delle tradizioni, della cultura, dello spirito. Il vivere, l’abitare, è dimensione essenziale dell’Incarnazione (cfr. Gv 1,14), insieme a nascita e morte. Ci può essere un abitare difensivo, che costruisce muri per marcare distanze, o un abitare accogliente, che vede il mondo come «casa comune», per tutti i popoli e per tutti i fratelli. Qual è oggi il nostro contributo alle forme dell’abitare, nel suo significato più autentico?

Cammino sinodale / Orazio Tornabene: educare e trasfigurare

EDUCARE. Educere: Tirar fuori la passione per ciò che è vero e bello, non riempire di nozioni. A che cosa e in che modo vogliamo educarci ed educare per realizzare la nostra umanità? Come educare? Prima di tutto «uscendo»: Uscire dai luoghi comuni, dal dato per scontato; riscoprire la meraviglia e la passione per ciò che è vero e bello. Educare allo stupore. Rimettere al mondo: l’educatore è in un certo senso un ostetrico, che fa nascere la nostra umanità più piena. Con l’esempio prima di tutto, risvegliando la scintilla di infinito che è in ciascuno. O forse preferiamo rifugiarci nel sapere preconfezionato?

TRASFIGURARE. La capacità di vedere oltre i limiti umani. Trasfigurare è ciò che compie Gesù, quando, dopo aver vissuto la propria umanità fino in fondo, fino alla morte in croce, rivela la propria natura divina apparendo ai discepoli nello splendore della luce. Trasfigurare, sintesi delle cinque vie, non è un’azione in nostro potere. Possiamo solo metterci a disposizione, fidandoci e lasciandoci portare dove non sapremmo mai andare da soli. La via della trasfigurazione è via di bellezza, che rivela l’unità profonda tra bontà e verità, terra e cielo. Ci rende capaci di vedere oltre i confini delle cose, cogliendo l’unità profonda di tutto, e, pur coi nostri limiti, di essere testimoni di Gesù. Siamo capaci di coltivare la nostra capacità di aprirci alla grazia, con la vita spirituale e i sacramenti? Di testimoniare in modo profetico la bellezza del Vangelo?

Cammino sinodale / Orazio Tornabene: la via degli ultimi

Direte: ma cosa c’entra tutto questo? Questi verbi danno senso ad ogni azione pastorale, che non riguarda solo i preti, ma tutti i fedeli. Saremo capaci di ascoltare le fragilità e le povertà solamente se usciremo da noi stessi, solo se abiteremo responsabilmente la città, annunciando la bella notizia ed educando a quei valori veri e belli. Solo così saremo capaci di trasfigurare luoghi e persone.

Alla luce dei 5 verbi di Firenze si comprendono le 3 vie di papa Francesco tracciate al 50° di Caritas Italiana: partire dagli ultimi, custodire lo stile del Vangelo e sviluppare la creatività. La via degli ultimi. È da loro che si parte, dai più fragili e indifesi. La carità è la misericordia che va in cerca dei più deboli, che si spinge fino alle frontiere più difficili per liberare le persone dalle schiavitù che le opprimono e renderle protagoniste della propria vita. Strumenti capaci di avvicinare le realtà locali sono i Centri di ascolto e gli Osservatori delle povertà e delle risorse, in cui il povero ha qualcosa da dire.

La seconda via è quella del Vangelo, ossia lo stile dell’amore umile, concreto ma non appariscente, che si propone e non si impone. È lo stile dell’amore gratuito, che non cerca ricompense. È lo stile della disponibilità e del servizio, a imitazione di Gesù che si è fatto nostro servo. Infine, la terza strada, quella della creatività: l’amore per sua natura è creativo, genera sempre novità.

Cammino sinodale / Orazio Tornabene: ripartire dagli ultimi

Si parte dagli ultimi, sicché l’ultimo è il primo che deve aiutarsi. A noi spetta ascoltarlo per capire quali sono i suoi bisogni, ma anche le risorse che può mettere in campo. L’ascolto diventa l’occasione per studiare insieme un possibile progetto che abbia come obiettivo l’aiuto per una situazione di emergenza. Ascoltare senza preconcetti. Diversi sono i modi, i tempi, i luoghi e le occasioni per condurre un ascolto. Attualmente la Caritas prevede diversi tipi di organizzazioni:

  • Centri d’Ascolto Diocesani
  • Centri d’Ascolto Interparrocchiali
  • Gruppi o Punti d’Ascolto Parrocchiali (es. Caritas della Parrocchia Sant’Isidoro Agricola di Giarre e SS. Apostoli di Riposto o le varie Società san Vincenzo de’Paoli)

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Cammino sinodale / I centri di ascolto

I Centri d’Ascolto Diocesani o Interparrochiali sono caratterizzati da una struttura organizzativa con linee di responsabilità ben definite, con un buon numero di volontari, strutture e dotazioni tecniche che permettono la gestione dei servizi e delle persone accolte in modo puntuale e continuativo. Sono nati, in genere tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta, però, ahimé devo constatare che le nostre parrocchie non abbiano veri e propri centri di ascolto. Come Caritas Diocesana stiamo avviando percorsi di formazione per le Caritas parrocchiali, aiutati da Caritas Italiana.

Le azioni che gli operatori dell’ascolto devono svolgere sono: Accogliere, Ascoltare, Orientare, Accompagnare e fornire una prima risposta alle emergenze.

Cammino sinodale / Accogliere e ascoltare

ACCOGLIERE: Ogni persona che si presenta deve sentirsi accolta, deve sentirsi persona, con la sua dignità. Al di là degli spazi minimi indispensabili, i volontari dell’ascolto devono far percepire alla persona che si rivolge a loro disponibilità di tempo e attenzione.

ASCOLTARE: L’ascolto è la prima forma di aiuto. Chi chiede di essere ascoltato non è una pratica da evadere, ma una persona che, oltre ad essere portatore di bisogni, è un essere umano con una propria dignità. L’ascolto, se è profondo, permette di capire anche i bisogni non esplicitati, quelli che non si vogliono dire ma si lasciano sottintendere. Ci sono poi bisogni che la persona non dichiara, perché non sono da lei percepiti come tali. Il tempo farà maturare fiducia e questa un’ulteriore apertura. Inoltre, l’ascolto ha una funzione liberatoria perché una persona che vive il disagio sociale porta con sé il peso di fallimenti e paure. Dopo averli comunicati e condivisi si sentirà sollevato dai suoi problemi.

Cammino sinodale / Orientare e accompagnare

ORIENTARE: Chi si trova in difficoltà, molto spesso, non riesce ad essere consapevole dei propri bisogni e discernere quali siano i più importanti o i più urgenti. Compito dei volontari dell’ascolto è quello di aiutare a rileggere il bisogno espresso, nell’ottica delle risorse disponibili sul territorio e sulle modalità di accesso. Quindi, l’ascolto svolge anche un ruolo di informazione su come la persona in esclusione sociale possa trovare una rete su cui appoggiarsi.

ACCOMPAGNARE: In prima istanza significa attivare tutte le risorse disponibili per promuovere le persone in difficoltà liberandole dalle cause che hanno generato il bisogno. Le prime risorse da attivare sono quelle di cui è portatrice la persona stessa. La persona in disagio sociale, in molti casi, a causa di fallimenti, penalizzazioni, ingiustizie, ingenuità, che la vita le ha riservato, ritiene di non essere abile a rialzarsi dalla situazione di disagio in cui vive. Accanto ai talenti della persona si attiveranno le risorse, private o pubbliche, presenti sul territorio. Accompagnare significa, oltre a verificare l’esistenza di risorse disponibili, anche verificare se la persona sia realmente in grado di fare i passi richiesti oppure li abbia realmente già posti in essere.

Ritengo che il centro di Ascolto è il luogo di partenza per una buona attività pastorale, perché, volendo citare il Piccolo Principe: è il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante. Sì, è il tempo donato ad una persona, che renderà tale persona importante.

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