È la stessa cantante, a rivelare il suo sogno: “Cantare in occasione della firma del trattato di pace tra israeliani e palestinesi. Lo cullo da sempre e non so quando potrà accadere. Ma non è questo il punto. Il punto è tutto quello che facciamo per realizzare questo sogno, ogni giorno, ogni istante con pazienza e determinazione”
La sua ultima raccolta (2014) si intitola “Love medicine”, la medicina dell’amore, e raccoglie tutte le influenze musicali che solo un’artista come lei, cantautrice di origini yemenite-israeliano-americane, può avere. Achinoam Nini, vero nome di Noa, che significa “portatrice di pace”, non è solo una cantante con un pedigree musicale di levatura mondiale – ha suonato anche con Sting, Carlos Santana e Pat Metheny, cantato davanti a Giovanni Paolo II e il 3 luglio scorso davanti a Papa Francesco, scritto e interpretato ‘Beautiful that way’ il tema del film ‘La vita è bella’, di Roberto Benigni – ma anche un’artista animata da una grande passione civile. Il suo impegno a favore del dialogo e della pace l’hanno portata a salire sul palcoscenico con artisti palestinesi, a cantare per i riservisti israeliani che si rifiutano di prestare servizio militare nei Territori Occupati e, in tempi più recenti a criticare il premier Benjamin Netanyahu per il suo operato circa la ripresa dei negoziati di pace con i palestinesi.
Cantare la pace in tempo di guerra. La sua musica è una piccola oasi di pace nel vasto deserto del conflitto israelo-palestinese. Per Noa la vera sfida è proprio questa: “cantare la pace in tempo di guerra. Io metto la mia arte a servizio di questa causa, collaborando con artisti arabi, partecipando a eventi, incontri, concerti per la pace. Questo è il mio piccolo contributo e ognuno può dare il suo” spiega la cantautrice israeliana. “So bene – aggiunge con un sorriso – che l’amore da solo non basta a dare risposte ai conflitti, specie a quello tra israeliani e palestinesi. Alla pace si arriva quando tutte le componenti della società collaborano, dalla diplomazia, all’economia, dalla cultura alla politica. Così si allontana la paura dell’altro e si trovano soluzioni. I musicisti da soli possono fare poco ma con la nostra arte possiamo costruire ponti sottolineando ciò che ci unisce piuttosto che ciò che ci divide”. “La cosa peggiore è non fare nulla, restare a guardare e molti artisti – dice con rammarico – lo fanno. Forse temono di perdere successo e popolarità. Posso capirli ma io sono più preoccupata di perdere l’anima del mio Paese, la sua speranza che è anche quella dei miei figli e del loro futuro”. Poco importa allora se le sue dichiarazioni le hanno provocato problemi sia in patria che fuori con qualche concerto cancellato. È la stessa cantante, in una “lettera aperta al vento” apparsa sul suo blog, a chiarire le sue posizioni: “ci sono solo due parti in questo conflitto, ma non sono Israeliani e Palestinesi, Ebrei ed Arabi. Sono i moderati e gli estremisti. Io appartengo ai moderati, ovunque essi siano. Loro sono la mia fazione. E questa fazione ha bisogno di unirsi!”. Per questo coraggio Noa è per molti “una voce e segno di speranza. E di questo – dichiara – ne vado fiera”. Sono tanti i giovani che la seguono. Una responsabilità che la cantautrice non declina, anzi.
I muri possono cadere. “L’approccio delle nuove generazioni verso il conflitto è di assuefazione – riconosce la cantautrice – molti giovani sono stanchi di questa guerra, quasi abituati, non credono più in un accordo. ‘Non cambierà nulla’ sono soliti ripetere, faticano a sperare, a trovare prospettive nuove di vita”. Ma qualcosa sta cambiando: “in Israele c’è anche chi, in una sorta di movimento sotterraneo, si impegna per cambiare la situazione, per guardare da un’altra angolazione e creare legami, relazioni con i giovani arabi. Penso che qualcosa di inaspettato possa sempre accadere, i muri possono cadere. Quando questo accadrà dovremo farci trovare pronti, essere lì per raccogliere i frutti che, è bene dirlo, non maturano subito”. La mente di Noa corre ai “tanti accordi e incontri della storia recente, per esempio quello di papa Francesco, in Vaticano con il presidente palestinese Abu Mazen e quello israeliano, Shimon Peres. Un tempo di maturazione è necessario per formare le coscienze verso un reciproco riconoscimento, la via migliore per arrivare a due Stati e a due popoli”.“Il mio sogno?” Noa non ha esitazione. Risposta secca: “cantare in occasione della firma del trattato di pace tra israeliani e palestinesi. Lo cullo da sempre e non so quando potrà accadere. Ma non è questo il punto. Il punto è tutto quello che facciamo per realizzare questo sogno, ogni giorno, ogni istante con pazienza e determinazione”. Riprende il tema caro della sua famiglia. “Ho tre figli e cerco di dare loro un buon esempio, concreto e senza tanti ‘bla bla’. Quando i nostri figli ci vedono non perdere la speranza è quello il momento in cui diamo loro le chiavi di un futuro di pace. Facciamo spazio alla speranza. Anche con la musica”.
Cantare la pace in tempo di guerra. La sua musica è una piccola oasi di pace nel vasto deserto del conflitto israelo-palestinese. Per Noa la vera sfida è proprio questa: “cantare la pace in tempo di guerra. Io metto la mia arte a servizio di questa causa, collaborando con artisti arabi, partecipando a eventi, incontri, concerti per la pace. Questo è il mio piccolo contributo e ognuno può dare il suo” spiega la cantautrice israeliana. “So bene – aggiunge con un sorriso – che l’amore da solo non basta a dare risposte ai conflitti, specie a quello tra israeliani e palestinesi. Alla pace si arriva quando tutte le componenti della società collaborano, dalla diplomazia, all’economia, dalla cultura alla politica. Così si allontana la paura dell’altro e si trovano soluzioni. I musicisti da soli possono fare poco ma con la nostra arte possiamo costruire ponti sottolineando ciò che ci unisce piuttosto che ciò che ci divide”. “La cosa peggiore è non fare nulla, restare a guardare e molti artisti – dice con rammarico – lo fanno. Forse temono di perdere successo e popolarità. Posso capirli ma io sono più preoccupata di perdere l’anima del mio Paese, la sua speranza che è anche quella dei miei figli e del loro futuro”. Poco importa allora se le sue dichiarazioni le hanno provocato problemi sia in patria che fuori con qualche concerto cancellato. È la stessa cantante, in una “lettera aperta al vento” apparsa sul suo blog, a chiarire le sue posizioni: “ci sono solo due parti in questo conflitto, ma non sono Israeliani e Palestinesi, Ebrei ed Arabi. Sono i moderati e gli estremisti. Io appartengo ai moderati, ovunque essi siano. Loro sono la mia fazione. E questa fazione ha bisogno di unirsi!”. Per questo coraggio Noa è per molti “una voce e segno di speranza. E di questo – dichiara – ne vado fiera”. Sono tanti i giovani che la seguono. Una responsabilità che la cantautrice non declina, anzi.
I muri possono cadere. “L’approccio delle nuove generazioni verso il conflitto è di assuefazione – riconosce la cantautrice – molti giovani sono stanchi di questa guerra, quasi abituati, non credono più in un accordo. ‘Non cambierà nulla’ sono soliti ripetere, faticano a sperare, a trovare prospettive nuove di vita”. Ma qualcosa sta cambiando: “in Israele c’è anche chi, in una sorta di movimento sotterraneo, si impegna per cambiare la situazione, per guardare da un’altra angolazione e creare legami, relazioni con i giovani arabi. Penso che qualcosa di inaspettato possa sempre accadere, i muri possono cadere. Quando questo accadrà dovremo farci trovare pronti, essere lì per raccogliere i frutti che, è bene dirlo, non maturano subito”. La mente di Noa corre ai “tanti accordi e incontri della storia recente, per esempio quello di papa Francesco, in Vaticano con il presidente palestinese Abu Mazen e quello israeliano, Shimon Peres. Un tempo di maturazione è necessario per formare le coscienze verso un reciproco riconoscimento, la via migliore per arrivare a due Stati e a due popoli”.“Il mio sogno?” Noa non ha esitazione. Risposta secca: “cantare in occasione della firma del trattato di pace tra israeliani e palestinesi. Lo cullo da sempre e non so quando potrà accadere. Ma non è questo il punto. Il punto è tutto quello che facciamo per realizzare questo sogno, ogni giorno, ogni istante con pazienza e determinazione”. Riprende il tema caro della sua famiglia. “Ho tre figli e cerco di dare loro un buon esempio, concreto e senza tanti ‘bla bla’. Quando i nostri figli ci vedono non perdere la speranza è quello il momento in cui diamo loro le chiavi di un futuro di pace. Facciamo spazio alla speranza. Anche con la musica”.
Daniele Rocchi