“Crisi economica e condizione infantile”. Questo il tema al centro del convegno, promosso dalla Caritas diocesana di Roma, dal Policlinico Umberto I e dall’Università “La Sapienza”, che si è svolto ieri a Roma. Secondo gli ultimi dati presentati dall’Istat, sono 1,8 milioni in Italia i bambini e i ragazzi che vivono in povertà relativa: oltre 700mila quelli che vivono in povertà assoluta. “La povertà minorile – sottolinea la Caritas di Roma – è una delle conseguenze della crisi economica, quella che, in ambito sanitario, presenta gli aspetti più problematici. La povertà infatti, può essere considerata oggi come il principale ostacolo alla promozione della salute infantile”.
Guardare al futuro. Aprendo i lavori, monsignor Enrico Feroci, direttore della Caritas diocesana di Roma, ha posto l’accento sulla necessità, in questo tempo di crisi, di “guardare responsabilmente al futuro, andare oltre l’ostacolo con precisione e programmazione”: per questo ha voluto evidenziare il ruolo “fondamentale” della popolazione immigrata, “di cui abbiamo urgente bisogno” per far fronte alla “grave crisi demografica che ci sta privando del futuro”. Franco Peracchi, docente di economia all’Università Roma Tre, ha presentato alcuni studi che rilevano come periodi di grande recessione sperimentata nella prima infanzia, abbiano “un’incidenza non solo sullo stato di salute dell’individuo ma anche sulla sua capacità di reddito futura”. “I figli delle famiglie povere – ha specificato Peracchi – tenderanno a esiti peggiori perché non ci sono stati nell’infanzia (da parte dei genitori come dello Stato) investimenti culturali preventivi”.
Salute e integrazione. Sugli effetti della condizione sociale ed economica nella salute del bambino, è intervenuto anche Renato Lucchini del Dipartimento di pediatria e neuropsichiatria infantile dell’Università “La Sapienza”. Lucchini ha esposto gli esiti di una ricerca effettuata nel reparto di neonatologia del Policlinico Umberto I, dalla quale emerge un “rischio raddoppiato di patologia nei bambini nati da mamme immigrate”. Sono il 4,5% i parti pre-termine nelle donne immigrate, contro il 3,5% delle donne italiane: il rischio per il bambino di sviluppare malattie respiratorie raddoppia nei figli partoriti da donne sole, condizione comune a molte straniere. “Nonostante la legge costituzionale garantisca assistenza a tutti i cittadini anche a chi non è in regola col permesso di soggiorno – ha evidenziato Lucchini – carenze culturali, informative e la precarietà del lavoro sono le cause che ancora oggi determinano il divario tra bambini italiani bambini stranieri”: “La salute – ha aggiunto – passa attraverso una maggiore integrazione e un impegno da parte di tutta la popolazione”. Intanto il 20 dicembre 2012, ha reso noto la Caritas, è stato approvato l’accordo tra Regioni e Province autonome per la previsione dell’iscrizione al Servizio sanitario nazionale di tutti i minori, indipendentemente dallo statuto giuridico. “Quando pensiamo ai 5 milioni di stranieri che vivono nel nostro Paese, dobbiamo pensare a delle famiglie, a situazioni di normalità che vanno tutelate”, ha ribadito Salvatore Geraci, medico dell’area sanitaria della Caritas di Roma. Sono infatti il 96% gli stranieri giunti in Italia per motivi familiari, un dato che conferma una “immigrazione strutturata” oggi “necessaria al nostro Paese”. Il 24% della popolazione immigrata è minore, di questi il 70% sono “bambini nati e cresciuti in Italia senza essere cittadini italiani, e forse non lo saranno mai”, ha detto Geraci, elencando alcune delle proposte avanzate dalla Caritas in favore dell’integrazione: tra questi, il divieto di espulsione per i minori scolarizzati in Italia, l’agevolazione del ricongiungimento familiare, estensione del permesso di soggiorno per gravidanza. Maria Francesca Posa, dell’area minori della Caritas romana, ha presentato alcuni dati provenienti dai centri di intervento della Caritas, i quali registrano un aumento dal 26,3% al 29,9% delle persone immigrate in cerca di aiuto: aumentano i nuclei monoparentali e diminuiscono le possibilità di lavoro. “Con la crisi sono aumentati i rimpatri – ha spiegato Posa – con la conseguenza della rottura dei legami primari, il prezzo più alto da pagare per i bambini figli di stranieri”. Una delle conseguenze di questo, il fenomeno degli “orfani bianchi”, bambini che vivono senza cure parentali: “In Romania ce ne sono 350mila”, ha precisato Posa.
Il ruolo dei genitori. “Le opinioni che abbiamo sui bambini condizionano e guidano la cura nei loro confronti e la loro educazione”. Ne è convinta Marina D’Amato, docente di sociologia dell’infanzia alla Facoltà di Scienze della formazione dell’Università Roma Tre. “Il fatto di chiamare con il termine “minori” gli oltre 10 milioni di bambini nel nostro Paese – ha specificato la docente – è indice dell’attenzione che diamo loro: la nostra è l’unica lingua europea che utilizza il termine “minus”: ma i bambini non sono minori a nessuno”. Dal bambino “scientifico” a quello “cherubino”, dal “minus” al bambino “capolavoro”, D’Amato ha evidenziato la necessità di “tornare a occuparci della normalità della condizione sociale dell’infanzia”, riconoscendo innanzitutto il ruolo dei genitori: “Stiano perdendo una grande opportunità, stiamo perdendo i bambini – ha denunciato la docente – i genitori stanno perdendo il ruolo della concezione di sé nel ruolo educativo, fatto di alleanza e non complicità: di responsabilità, termine fondante del rapporto adulti-bambini”.