Carmelo Raspa / La guerra tra realtà e finzione letteraria

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guerra Carmelo Raspa

Presentiamo qui di seguito la riflessione teologica del parroco e professore Carmelo Raspa sulla guerra e al ruolo che quest’ultima ha rappresentato nella storia e nella letteratura, oltre che nelle sacre scritture.

Carmelo Raspa / La guerra nell’Antico Testamento 

“Benedetto il Signore, mia roccia, che addestra le mie mani alla guerra, le mie dita alla battaglia”. Il Sal 144 (143) si apre con una benedizione a Dio presentato come “un istruttore militare, che dispensa al re lezioni di addestramento alle armi, e in caso di pericolo egli stesso sostiene la difesa e l’attacco”. L’immagine non è rara nelle Scritture di Israele, Dio stesso marcia alla testa dell’esercito. Il cap. 20 del libro del Deuteronomio, riservato per l’appunto alle regole da osservare in guerra, ai vv. 1-4 afferma chiaramente:

Quando andrai alla guerra contro i tuoi nemici e vedrai cavalli, carri e gente più numerosa di te, non li temere, perché il Signore, il tuo Dio, che ti fece salire dal paese d’Egitto, è con te. Quando sarete sul punto di dar battaglia, il sacerdote si farà avanti, parlerà al popolo e gli dirà: Ascolta, Israele! Voi state oggi per impegnare battaglia contro i vostri nemici; il vostro cuore non venga meno; non temete, non vi smarrite e non vi spaventate davanti a loro,perché il Signore, il vostro Dio, è colui che marcia con voi per combattere per voi contro i vostri nemici e per salvarvi”.

Guerra / Carmelo Raspa: “Dio è disegnato come un generale”

La certezza della presenza del Signore sul campo di battaglia è assicurata sintomaticamente dalle parole del sacerdote. Esso infatti, apre il suo dire, e non a caso, con lo stesso imperativo rivolto da Dio al suo popolo al cap. 6 v. 4 dello stesso libro, lo Shema’ Ysrael, preghiera quotidiana dell’ebreo e confessione dell’unità e dell’unicità di Dio stesso. Questo appello da parte del sacerdote, espresso nei termini di una confessione liturgica, deve bastare a rinsaldare i cuori dei combattenti, inducendoli a non temere.Stessa affermazione in Gdc 4,14, lì dove la Debora, giudice e profetessa insieme. incita Barak contro Sisara: Debora disse a Barak: “Alzati, perché questo è il giorno in cui il Signore ha messo Sisara nelle tue mani. Il Signore non esce forse in campo davanti a te?”.

In 2Sam 5,22-25 Dio è disegnato come un generale che predispone il piano d’attacco:

“I Filistei salirono poi di nuovo e si sparsero nella valle di Rèfaim. Davide consultò il Signore, il quale gli disse: «Non andare; gira alle loro spalle e piomba su di loro dalla parte dei Balsami. Quando udrai un rumore di passi sulle cime dei Balsami, lanciati subito all’attacco, perché allora il Signore uscirà davanti a te per sconfiggere l’esercito dei Filistei». Davide fece come il Signore gli aveva ordinato e sconfisse i Filistei da Gàbaa fino all’ingresso di Ghezer”.

Carmelo Raspa / Il ruolo delle trombe in guerra nell’Antico Testamento 

In Gs 6,1-5 Dio istruisce Giosuè circa le modalità e gli strumenti d’attacco, questi ultimi costituiti dall’arca e dalle trombe di corno d’ariete, suonate dai sacerdoti:

“Ora Gerico era saldamente sbarrata dinanzi agli Israeliti; nessuno usciva e nessuno entrava. Disse il Signore a Giosuè: «Vedi, io ti metto in mano Gerico e il suo re. Voi tutti prodi guerrieri, tutti atti alla guerra, girerete intorno alla città, facendo il circuito della città una volta. Così farete per sei giorni. Sette sacerdoti porteranno sette trombe di corno d’ariete davanti all’arca; il settimo giorno poi girerete intorno alla città per sette volte e i sacerdoti suoneranno le trombe. Quando si suonerà il corno dell’ariete, appena voi sentirete il suono della tromba, tutto il popolo proromperà in un grande grido di guerra, allora le mura della città crolleranno e il popolo entrerà, ciascuno diritto davanti a sé“.

Come sette sono le trombe, così sette sono i giorni impiegati per la distruzione delle mura della città di Gerico. Il numero, come chiaramente si evince, è simbolico e si lega alla teologia sacerdotale (cfr Gen 1,1 –2,4a: la creazione in sette giorni). In Nm 10,8-9, capitolo riguardante le istruzioni di marcia di Israele nel deserto, fornite da Dio, è scritto:

“I sacerdoti figli di Aronne suoneranno le trombe; sarà una legge per voi e per i vostri discendenti. Quando nel vostro paese andrete in guerra contro il nemico che vi attaccherà, suonerete le trombe con squilli di acclamazione e sarete ricordati davanti al Signore vostro Dio e sarete liberati dai vostri nemici”

Carmelo Raspa / Le marce di guerra di Israele

Il suono delle trombe in guerra è un’ordinanza valida per tutte le generazioni in Israele. La guerra è intesa come difensiva, in risposta all’attacco dei nemici, come induce a credere similmente il v. 1 di Dt 20. Il suono delle trombe ricorda Israele dinanzi al Signore, che pare così configurarsi come il condottiero in battaglia ed il liberatore del suo popolo. Il verbo ricordare, nel testo è d’indole liturgica. Il v. 10 registra l’ordine di suonare le trombe “nelle vostre solennità e al principio dei vostri mesi”, quando si offrono gli olocausti ed i sacrifici di comunione.

Dal v. 11 al v. 28 è descritto “l’ordine con cui gli Israeliti si misero in cammino, secondo le loro schiere” (v. 28), una marcia nel deserto nei termini di una mobilitazione bellica. Il v. 33 rivela che l’arca è in testa agli accampamenti delle dodici tribù in marcia; i vv. 35- 36 trasmettono un canto di guerra, attribuito a Mosè, simile alla teru’ah, l’urlo dell’esercito che si appresta alla battaglia svolto secondo moduli liturgici:

“Quando l’arca partiva, Mosè diceva: Sorgi, Signore, e siano dispersi i tuoi nemici e fuggano da te coloro che ti odiano. Quando si posava, diceva:Torna, Signore, alle miriadi di migliaia di Israele”

Il canto alla partenza dell’arca è ripreso dal Sal 68 (67),2, attribuito a Davide, che evoca le tappe della storia di Israele, dall’esodo dall’Egitto all’universalità del culto di YHWH, in una narrazione che utilizza l’immagine della marcia di guerra del popolo, alla cui testa è YHWH stesso.

Carmelo Raspa / La figura di Dio come combattente in guerra 

Il secondo libro delle Cronache, il più ricco di informazioni sulle tecniche belliche di Israele, ma, al contempo, al riguardo il più complesso, dato il periodo della sua redazione, registra anch’esso la convinzione che Dio combatta per il suo popolo, descritto, a sua volta, come un esercito di fedeli con i testi i ministri del culto, vincitore grazie ai canti di lode, come in 20,1-30, lungo testo che riportiamo.

“In seguito i Moabiti e gli Ammoniti, aiutati dai Meuniti, mossero guerra a Giòsafat. Andarono ad annunziare a Giòsafat: “Una grande moltitudine è venuta contro di te da oltre il mare, da Edom. Ecco sono in Cazezon-Tamàr, cioè in Engàddi”. Nella paura Giòsafat sirivolse al Signore; per questo indisse un digiuno per tutto Giuda. Quelli di Giuda si radunarono per implorare aiuto dal Signore; vennero da tutte le città di Giuda per implorare aiuto dal Signore. Giòsafat stette in piedi in mezzo all’assemblea di Giuda e di Gerusalemme nel tempio, di fronte al nuovo cortile.

Egli disse: «Signore, Dio dei nostri padri, non sei forse tu il Dio che è in cielo? Tu domini su tutti i regni dei popoli. Nelle tue mani sono la forza e la potenza; nessuno può opporsi a te. Non hai scacciato tu, nostro Dio, gli abitanti di questa regione di fronte al tuo popolo Israele e non hai consegnato il paese per sempre alla discendenza del tuo amico Abramo? Gli Israeliti lo hanno abitato e vi hanno costruito un santuario al tuo nome dicendo: Se ci piomberà addosso una sciagura, una spada punitrice, una peste o una carestia, noi ci presenteremo a te in questo tempio, poiché il tuo nome è in questo tempio, e grideremo a te dalla nostra sciagura e tu ci ascolterai e ci aiuterai.

Dio come generale di guerra

Ora, ecco gli Ammoniti, i Moabiti e quelli delle montagne di Seir, nelle cui terre non hai permesso agli Israeliti di entrare, quando venivano dal paese d’Egitto, e perciò si sono tenuti lontani da quelli e non li hanno distrutti, ecco, ora ci ricompensano venendoci a scacciare dalla eredità che tu hai acquistata per noi. Dio nostro, non ci vorrai rendere giustizia nei loro riguardi, poiché noi non abbiamo la forza di opporci a una moltitudine così grande piombataci addosso? Non sappiamo che cosa fare; perciò i nostri occhi sono rivolti a te.

Tutti gli abitanti di Giuda stavano in piedi davanti al Signore, con i loro bambini, le loro mogli e i loro figli. Allora lo spirito del Signore, in mezzo all’assemblea, fu su Iacazièl, figlio di Zaccaria, figlio di Benaià, figlio di Ieièl, figlio di Mattania, levita dei figli di Asaf. Egli disse: «Porgete l’orecchio, voi tutti di Giuda, abitanti di Gerusalemme e tu, re Giòsafat. Vi dice il Signore: Non temete e non spaventatevi davanti a questa moltitudine immensa perché la guerra non è diretta contro di voi, ma contro Dio.

Domani, scendete contro di loro; ecco, saliranno per la salita di Ziz. Voi li sorprenderete al termine della valle di fronte al deserto di Ieruel. Non toccherà a voi combattere in tale momento; fermatevi bene ordinati e vedrete la salvezza che il Signore opererà per voi, o Giuda e Gerusalemme. Non temete e non abbattetevi. Domani, uscite loro incontro; il Signore sarà con voi». Giòsafat si inginocchiò con la faccia a terra; tutto Giuda e gli abitanti di Gerusalemme si prostrarono davanti al Signore per adorarlo. I leviti, dei figli dei Keatiti e dei figli dei Korachiti, si alzarono a lodare il Signore, Dio di Israele, a piena voce.

La vittoria di Giòsafat

La mattina dopo si alzarono presto e partirono per il deserto di Tekòa. Mentre si muovevano, Giòsafat si fermò e disse: «Ascoltatemi, Giuda e abitanti di Gerusalemme! Credete nel Signore vostro Dio e sarete saldi; credete nei suoi profeti e riuscirete». Quindi, consigliatosi con il popolo, mise i cantori del Signore, vestiti con paramenti sacri, davanti agli uomini in armi, perché lodassero il Signore dicendo: Lodate il Signore, perché la sua grazia dura sempre. Appena cominciarono i loro canti di esultanza e di lode, il Signore tese un agguato contro gli Ammoniti, i Moabiti e quelli delle montagne di Seir, venuti contro Giuda e furono sconfitti.

Gli Ammoniti e i Moabiti insorsero contro gli abitanti delle montagne di Seir per votarli allo sterminio e distruggerli. Quando ebbero finito con gli abitanti delle montagne di Seir, contribuirono a distruggersi a vicenda. Quando quelli di Giuda raggiunsero la collina da dove si vedeva il deserto, si voltarono verso la moltitudine, ed ecco non c’erano che cadaveri gettati per terra, senza alcun superstite. Giòsafat e la sua gente andarono a raccogliere la loro preda. Vi trovarono in abbondanza bestiame, ricchezze, vesti e oggetti preziosi.

Il ritorno a Gerusalemme 

Ne presero più di quanto ne potessero portare. Passarono tre giorni a raccogliere il bottino, perché esso era molto abbondante. Il quarto giorno si radunarono nella valle di Beracà; poiché là benedissero il Signore, chiamarono quel luogo valle della Benedizione, nome ancora in uso. Quindi tutto Giuda e tutti quelli di Gerusalemme, con Giòsafat alla testa, partirono per tornare in Gerusalemme, pieni di gioia perché il Signore li aveva riempiti di letizia a spese dei loro nemici. Entrarono in Gerusalemme diretti al tempio, fra suoni di arpe, di cetre e di trombe. Quando si seppe che il Signore aveva combattuto contro i nemici di Israele, il terrore di Dio si diffuse su tutti i regni dei vari paesi. Il regno di Giòsafat fu tranquillo; Dio gli aveva concesso la pace su tutte le frontiere”.

Carmelo Raspa / Il concetto di guerra santa

L’antologia di testi presi in esame non abilita alle conclusioni alle quali perviene R. De Vaux, secondo cui il carattere sacro della guerra prima della monarchia decade con l’avvento dei re. Il testo di 1Sm 8,20, da lui citato come prova delle sue asserzioni, è critico della monarchia, ma poiché essa ha deluso. L’affermazione del v. 20 è da ritenersi più un monito in forma narrativa che non una realtà storica. Essa si inserisce in quelle tradizioni, presenti in 1Sm, che la critica letteraria ha definito antimonarchiche: 8,1-22; 10,17-27; 12,1-25.

Queste si contrappongono ai filoni narrativi filo monarchici, costituiti da 9,1—10,16 e 11,1-15, che paiono essere, analizzando la struttura redazionale del libro ed i dati tradizionali di ciascun filone o tradizione, i più antichi. Non appare, pertanto, necessaria né giustificata dai testi la distinzione tra guerra santa e guerre di religione, condotte quest’ultime dalla famiglia dei Maccabei contro le armate seleucidi: lo stesso De Vaux riconosce che alla fine dell’età monarchia, nei periodi pre-esilico ed esilico, la scrittura della storia di Israele ad opera di circoli scribali ispirantisi al Deuteronomio e di famiglie sacerdotali costruisce una trama che dispiega le vicende dell’oggi nel passato anche secondo una matrice bellica, presente tra altre e legata ad esse.

Carmelo Rapsa: La guerra santa è una struttura attraverso la quale legittimare gli eventi attuali

Le guerre di difesa, come appare in Nm 10,9, si risolvono poi in guerre di conquista, come dimostra il racconto della presa di Gerico (Gs 6). E il concetto di guerra santa subisce una modifica nella sua espressione narrativa, ma non decade, diventando non soltanto un’immagine letteraria, ma una struttura, veicolata dal linguaggio, attraverso la quale legittimare, giustificare o spiegare gli eventi attuali (ritorno in patria degli esuli della diaspora babilonese, loro pretesa di essere il popolo di Dio, annessione di territori sotto il controllo della Giudea, circoncisioni forzate, proibizione dei matrimoni misti, elezione di Gerusalemme e del Tempio in essa quale unico luogo di culto), conferendo loro autorevolezza attraverso una retroiezione nel passato di motivi ideologici quali l’elezione, l’alleanza e le stesse guerre, presentate come un’azione sacra condotta e voluta da Dio stesso.

Carmelo Raspa / La matrice politica degli scritti religiosi 

La fede esplica, pertanto, un potenziale bellico, trasformando le processioni cultuali in scritti di chiara matrice politica, fornendo così uno statuto di legittimità a guerre di conquista, occupazione di territori, assunzione di potere: la presa di Gerico in Gs 6 ne è una prova evidente, sia nella sua composizione letteraria sia che si mettano a confronto i dati scritturistici con quelli archeologici, i quali ultimi non testimoniano a favore di un’occupazione armata della città nel XIII secolo. Ciò che raggiunge il lettore è il racconto che cela l’intenzione dell’autore dietro il fascino della storia narrata; inevitabilmente, ci si schiera dalla sua parte, pur essendo la più violenta.

La verità del racconto presume di essere la narrazione stessa, non il suo accadimento reale in termini di cronaca, poiché in tal modo essa può convincere della giustezza di alcune istituzioni dell’oggi e forzare l’interpretazione dei testi medesimi nei termini della continuità: le crociate sono state giustificate, infatti, attraverso il ricorso alla narrativa biblica. In tal modo, non solo viene redatto un Libro delle guerre di YHWH, andato perduto, di cui dà notizia Nm 21,14, ma YHWH medesimo è definito come “l’uomo della guerra” in Es 15,39; il popolo stesso in armi è definito «esercito di YHWH» in Es 12,41 e deve mantenersi in stato di purità rituale (Gs 3,5) e in continenza (1Sm 21,6) per tutto il tempo del bivacco di YHWH nell’accampamento (Dt 23,10-15)10.

Carmelo Raspa / La legittimazione delle guerra santa

L’istituto del herem, lo sterminio dei nemici e dei loro beni per offrirli a Dio come bottino, presente anche nella cultura bellica delle altre popolazioni del Vicino Oriente Antico ha valenza cultuale. Storicamente, non sembra che esso venne applicato: Gdc 1 elenca le popolazioni che Israele tenne in vita, contrariamente alle disposizioni di Dio espresse in Dt 20,16-18. La permanenza degli abitanti della terra di Canaan e le continue guerre che essi ingaggiarono contro Israele diventa, nella penna del redattore deuteronomista, un motivo teologico che non soltanto attraversa lo stesso libro dei Giudici, fornendone la chiave di comprensione, ma legittima anche le guerre medesime intese come purificazione cultuale dall’idolatria cui Israele era indotto:

“Ora l’angelo del Signore salì da Gàlgala a Bochim e disse: «Io vi ho fatti uscire dall’Egitto e vi ho condotti nel paese, che avevo giurato ai vostri padri di darvi. Avevo anche detto: Non romperò mai la mia alleanza con voi; voi non farete alleanza con gli abitanti di questo paese; distruggerete i loro altari. Ma voi non avete obbedito alla mia voce. Perché avete fatto questo? Perciò anch’io dico: non li scaccerò dinanzi a voi; ma essi vi starano ai fianchi e i loro dèi sarano per voi un inciampo” (Gdc 2,1-3).

Il pensiero di Frye

Il testo presenta così una possibilità, ma entro una cornice di narrazione che insiste sull’opposizione delle possibilità. In tal modo, però, crea un fatto e determina una convinzione che sarà assimilata per tradizione, nonostante la forza dell’esistenza la smentisca. Commenta Frye:

L’obbedienza alla legge rende la vita di una persona una serie prevedibile di condizioni che si ripetono: pace, prosperità, libertà. La disobbedienza alla legge pure rende la vita una serie di sciagure a ripetizione: conquista, schiavitù, miseria, come nel Libro dei Giudici. Nella vera storia o Weltgeschichte, niente si ripete esattamente: Heilgeschichte (la storia delle azioni di Dio nel mondo tra gli uomini e le reazioni di quest’ultimi: ndr) e Weltgeschichte non possono quindi mai venir a coincidere. Un accurato resoconto storico pone in evidenza in ogni situazione elementi unici e differenziatori, confondendo e falsificando in tal modo le assunzioni che la Heilgeschichte tenta di confermare. Ma quale valore può riconoscersi ad un assunto che può essere mantenuto solo falsificando la storia?”.

Carmelo Raspa / Guerra e fede 

La narrazione biblica delle guerre risponde ad un preciso disegno politico-ideologico formulato attraverso racconti di natura cultuale, i quali, a loro volta, rivelano come il linguaggio della fede sia anche portatore di una forza violenta che si disegna come guerra santa. Non sembra necessario richiamare la novità del monoteismo per giustificarne la violenza: sia che si adori un dio, che si sceglie un popolo e combatte per esso, sia che ci si inchini dinanzi ad uno degli dèi preposto ad aprire le porte della guerra, in entrambi i casi la violenza è sempre manifesta nell’atto di fede, essendo una componente della struttura umana.

Carmelo Raspa / Dio autore di guerra e facitore di pace 

Il problema del monoteismo sarà, invece, quello di spiegare come l’unico dio possa essere, ad un tempo, l’autore della guerra ed il facitore della pace e come la sua azione possa essere commisurata a quella dell’uomo, che egli stesso vuole libera, trasparente e responsabile. La questione, in generale, investe il bisogno di certezze assolute,proprio dell’uomo e in particolare del credente: e la conquista di un posto di preminenza nel dialogo tra le fedi non ha nulla di meno dell’occupazione di un territorio. D. Hartmann si chiede pertanto:

Differenze radicali turbano il proprio senso di certezza. Si può vivere con l’incertezza, o si devono avere ferree verità assolute, tramite le quali Dio svela: «Questa è la mia via; seguila e sei salvo, devia da essa e sei perduto»? abbiamo bisogno di assoluta certezza per costruire un modo di vita spirituale? Devo credere che alla fine «l’altro» è solo uno strumento della mia propria redenzione, e che al termine della storia Dio rivelerà chi aveva ragione? […] Per l’uomo di fede, vivere secondo l’opinione maggioritaria è notevolmente diverso dall’accettare l’unica e solo opzione autorevole. Se la tradizione è basata sullo studio, l’interpretazione, il disaccordo tra studiosi, piuttosto che sulla parola assoluta della tradizione profetica, non si può sfuggire alla pervasiva incertezza che sa come vie alternative siano religiosamente attuabili e autentiche“.

Carmelo Raspa / La guerra di conquista di Gerico

La conquista di Gerico, come già notato, è descritta secondo i canoni cultuali: significativamente essa è preceduta dalla circoncisione a Galgala di tutti gli ebrei, figli di quanti erano morti nel deserto durante la peregrinazione durata quarant’anni, e dalla celebrazione della Pasqua. L’ingresso nella terra promessa, inoltre, non avviene da sud, come era stato tentato precedentemente con Mosè (Nm 13-14), ma dalle montagne transgiordaniche.

Le allusioni al ritorno in patria dei deportati a Babilonia è assai evidente né sono celati motivi e problemi che essi, in questa fase di rientro, disegnarono e dovettero affrontare (vd. i libri di Esdra e Neemia). Le scoperte archeologiche non depongono a favore di una conquista armata della terra di Canaan né testimoniano di una presenza israelitica in essa nell’età del Tardo Bronzo e del F115. Le montagne transgiordaniche attestano la migrazione di gruppi proveniente dalle città-stato cananaiche e lì insediatisi, come provano la coltivazione a terrazze e la presenza di cisterne maltate.

Tra scritture e realtà

L’esegesi biblica dei testi e gli studi storici hanno formulato diverse ipotesi per cercare di spiegare il fatto:                                                                                                          a. ipotesi della conquista armata: sostenuta da W. F. Albright, G. E. Wright, Y. Yadin, mira ad un perfetto concordiamo tra testo biblico e dati archeologici;                                       b. ipotesi dell’infiltrazione pacifica: sostenuta da A. Alt e M. Noth, sostiene l’insediamento pacifico di seminomadi nella zona cananaica;                                             c. ipotesi della rivolta sociale: avanzata da G. E. Mendenhall nel 1962 e propagandata successivamente da N. K. Gottwald, secondo il quale gruppi tribali, tra cui gli Hapiru/Habiru delle lettere di Tel Armana, di religione jahwista, ispirati a principi di libertà e uguaglianza, avrebbero fomentato la rivolta contro il dispotismo dei re delle città-stato cananaiche.

Di queste, soltanto l’ultima incontra il favore dei testi e potrebbe concordare con la redazione deuteronomista del libro di Giosuè, che scompone gli eventi della guerra di conquista in tre sezioni: Gs 6-8, conquista del territorio di Beniamino ed Efraim; Gs 10, conquista del sud con vittoria sui cinque re amorrei; Gs 11, conquista del nord con la presa di Hasor.

L’ipotesi della rivolta sociale

battaglia gerico guerra

Il perché di questa scelta si spiega soltanto alla luce del post-esilio; da Babilonia rientrano i reduci delle due uniche tribù che l’avanzata babilonese aveva trovato nel sud di Canaan, quelle di Giuda e di Beniamino. Queste trovano qui altre popolazioni, tra cui Israeliti di religione jahwista non deportati: occorre allora giustificare la loro presenza.

La narrazione elimina popolazioni che nella terra non vi sono mai state o non vi sono più. Lascia le popolazioni attuali, cioè Filistei, Fenici, Edomiti, Moabiti ed Ammoniti; crea eziologie e genealogie per spiegare la centralizzazione e la supremazia di Gerusalemme, i nuovi ordinamenti dinastici e politici, la contesa tra i rimpatriati babilonesi ed i residenti, creando così il precedente letterario (cfr 2Re 17, 24-41) per la divisione storica successiva tra Samaritani e Giudei.

L’origine dei samaritani 

Ogni studio sull’origine dei samaritani ha sempre preso l’avvio da 2Re 17,24-4118. Qui si narra come il re d’Assiria, dopo aver esiliato gli abitanti del regno del Nord, inserisca al loro posto «gente da Babilonia, da Cuta, da Avva, da Amat e da Sefarvaim» (2Re 17,24), ossia dei pagani, che non conoscevano «la religione del Dio del paese» (v. 26). Per questo vennero inviati loro dei leoni a divorarli. Queste genti chiesero allora aiuto al re d’Assiria che inviò loro uno dei sacerdotideportati da Samaria, il quale si stabilì a Betel e insegnò loro a temere il Signore (v. 27). Ma le popolazioni lì impiantate non rinunciarono ai loro culti, che continuarono a celebrare sui templi delle alture che avevano costruito i samaritani.

Questi ultimi sono allora da intendersi semplicemente come gli abitanti del regno del Nord che celebravano anch’essi dei sacrifici sulle alture e che, a detta del nostro brano, furono invece tutti deportati. L’episodio dei leoni, contribuisce a creare l’effetto polemico, velato di ironia, contro Betel e per estensione contro tutta la regione di Samaria. L’accusa formulata è quella di idolatria, o meglio di sincretismo, giacché si afferma che queste popolazioni “temevano il Signore e servivano i loro dei secondo gli usi delle popolazioni, dalle quali provenivano i deportati2 (v. 33) 23. Quest’accusa permane “sino ad oggi”, dove l’ “oggi” indica il periodo post-esilico.

Carmelo Raspa / Le incongruenze storiche sulla guerra nelle scritture

Il brano riflette, dunque, delle polemiche posteriori, che inficiano la storia da esso narrata. Per questo motivo lo si ritiene poco plausibile quando si tratta di studiare l’origine storica dei samaritani. A questo c’è da aggiungere che il brano presenta delle incongruenze e delle contraddizioni. Infatti in 2Cr 30,6 si narra dell’invito rivolto dai funzionari di Ezechia agli Israeliti scampati dalle mani degli Assiri di venire a celebrare la Pasqua in Gerusalemme. L’invito però rimase inascoltato ed i funzionari di Ezechia furono derisi e coperti di beffe (v. 10). Si sconfessa così la notizia di 2Re17,23-24 secondo la quale tutti gli abitanti di Samaria furono deportati.

Inoltre, pare che l’immigrazione di popoli stranieri in Samaria non avvenne in una sola volta, ma in tre ondate successive. Questo allo scopo di rafforzare dal punto di vista amministrativo e militare la provincia stessa di Samaria, nella quale vi erano ancora degli Israeliti. Bisogna perciò concludere che non tutti gli Israeliti furono deportati in Assiria; alcuni rimasero a Betel e in Samaria e convissero o si mescolarono alle nuove popolazioni che vennero ad abitare quelle regioni. È probabile pure che una minoranza degli ebrei dell’antico regno del Nord rimanesse fedele al culto celebrato a Gerusalemme. Rilevante è poi il fatto che qui non si parli del tempio sul monte Garizim.

Carmelo Raspa / Le istanze ideologiche delle narrazioni di guerra

Il caso dei Samaritani testimonia della natura politica dei racconti biblici. Allo stesso modo le narrazioni di guerra celano istanze ideologiche e/o di potere, come nel caso di Gs 6. Scrive Liverani:

“Fatto sta che il racconto sembra riflettere una politica oltranzista, che era una delle opzioni (ma non l’unica possibile) per i gruppi dirigenti che intendevano ricostituire un nuovo Israele. Il paradigma adottato nel libro di Giosuè è quello della «guerra santa», di chiara matrice deuteronomista ma dotato di profonde radici nell’ideologia siro-palestinese sin dai secoli della pressione assira. La storiografia deuteronomista lo applicò retrospettivamente a tutta la storia dei rapporti tra Israele e i popoli «altri», non solo per l’epoca della conquista ma anche per l’epoca dei Giudici e poi per la prima età monarchica […]. La pratica del ḥērem è del tutto funzionale al progetto di totale rimpiazzo dei popoli «estranei» da parte del popolo «eletto».”

“L’idea della conquista come totale sostituzione di una popolazione precedente (sterminata) con una importata per sostituirla non può essere stata concepita prima che prendessero piede le deportazioni imperiali. Ma nei termini in cui questa idea venne formulata, essa diventa una visione del tutto utopica, nella sua implacabile rigidità, e non può appartenere né all’epoca della prima etnogenesi né a quella del ritorno dall’esilio: si pone sul piano del progetto ideale più che della pratica attuazione, fornisce informazioni sull’ideologia di chi lo aveva formulato più che sugli avvenimenti che si produssero”.

Carmelo Raspa / La guerra nella Bibbia: tra realtà storiche e simbolismo 

Il libro dei Giudici è anch’esso fortemente segnato dalla rilettura post-esilica e dalla redazione deuteronomista, pur conservando, più e meglio di Giosuè, tracce della storia antica, almeno in alcuni suoi nuclei, tramandati oralmente sotto forma di saghe o di fiabe o leggende. La dislocazione delle dodici tribù su territori di eguale estensione, assegnati per sorte, è utopica, nascendo come fiction letteraria. I racconti conservano il ricordo di antiche tribù, chiaramente non dodici, che è un numero simbolico, imparentate tra loro, dai confini territoriali piuttosto incerti, in lotta tra loro per l’occupazione di nuovi territori.

Il racconto della guerra tra Israeliti e Beniaminiti, a seguito del delitto di Gàbaa, come appare da motivi letterari, quale il ripetersi del lamento degli Israeliti dinanzi a Dio per la sorte inflitta alla tribù di Beniamino (Gdc 20,23.28) e la concessione delle vergini di Iàbes di Galaad prima e di Silo poi (Gdc 21,8-23), è volto a far riconoscerel’importanza della tribù di Beniamino, alla quale appartenevano i reduci di Babilonia. In tutti il linguaggio della fede è atto, per sua natura, a presentare gli eventi come richiesti dalla volontà di Dio.

Don Carmelo Raspa

estratto dell’articolo apparso in C. Dionisio – C. Raspa, Quasi vitis 8Sir 24,23). Miscellanea in memoria di Antonino Minissale, Quaderni di Synaxis numero speciale 2, Studio Teologico “S. Paolo” – Catania 2012, pp. 273-302.