«La caduta del muro di Berlino il 9 novembre 1989 è stato uno degli eventi più importanti della storia europea degli ultimi decenni. Fu un momento pieno di emozioni. Dopo essere stati separati da un muro di cemento per più di ventotto anni, gli abitanti di Berlino – parenti, amici e vicini di casa – che vivevano nella stessa città, poterono incontrarsi, festeggiare ed esprimere la loro gioia e le loro speranze. Da questo momento in poi il mondo è cambiato» (dalla “Dichiarazione dei Vescovi della Commissione degli Episcopati dell’Unione Europea in occasione del 30esimo anniversario della caduta del muro di Berlino”).
Il Muro divideva la città di Berlino Est, capitale del regime comunista della Repubblica Democratica Tedesca, e Berlino Ovest che faceva invece parte della Repubblica Federale Tedesca. La barriera che tagliava in due la città era stata costruita nel 1961 ed era severamente sorvegliata da torrette militari di osservazione. Ai cittadini dell’Est era proibito attraversarla. C’erano due mondi paralleli che vivevano a Berlino; il Muro li separava in due opposti modelli.
Trent’anni fa, i miei amici e amiche quarantenni e giù di lì forse neppure lo immaginano, si respirava speranza. Vi erano tante aspettative per un futuro migliore in quel momento storico del novembre 1989. Si credeva in un’Europa libera e unita, in un processo di dialogo che superasse finalmente ideologie totalitarie, mentalità e culture opprimenti e contro l’uomo. Si credeva ad una cultura dell’incontro, ad una capacità di respiro “a due polmoni”, orientale ed occidentale, come ebbe a dire Giovanni Paolo II. Ed a me, come a quelli della mia generazione, cresciuto con la musica dei Pink Floyd, venne subito spontaneo canticchiare: Another brick in the Wall.
Trent’anni fa, come oggi, mi trovavo, giovanissimo prete (ero stato ordinato il 16 settembre), a Roma, come studente dell’Accademia Alfonsiana, per conseguire la licenza in Teologia Morale. Ero ospite presso una parrocchia romana, Santa Maria Consolatrice, nel quartiere di Casal Bertone, tra la Tiburtina e la Prenestina.
Occorre sapere che ogni cardinale è “titolare” di una parrocchia della diocesi di Roma. Anche Santa Maria Consolatrice aveva il suo cardinale, dunque. Era il card. Joseph Ratzinger (che nel 2005 sarebbe diventato papa Benedetto XVI).
Con il card. Ratzinger i rapporti erano più che cordiali. Lo si andava a trovare almeno due volte l’anno nel Palazzo della Congregazione della Fede (per porgere gli auguri natalizi e per la festa di san Giuseppe, il suo onomastico). E anche lui veniva in parrocchia almeno un paio di volte l’anno (per presiedere una celebrazione eucaristica, per la Festa di Maria Consolatrice, per le Cresime…). Un uomo di grande garbo, gentilezza, finezza d’animo. Spesso ci mandava i dolciumi tipici della Baviera. Spesso si fermava a cena o a pranzo.
Proprio durante uno di questi pranzi colloquiali avvenuti alcuni mesi dopo il crollo del muro, chiesi al cardinale un suo commento (ripensadoci ora…un pivellino che fa domande al Prefetto dell’ex Sant’Uffizio!…la spontaneità giovanile!) su quel che era accaduto in Germania (la sua patria) e su quel che poteva accadere. Mi rispose con amabilità (ricordo ancora il suo sorriso mite), parlandomi del Muro di Berlino come di uno “spartiacque nella storia mondiale”. Si sentiva vicino alla “sua” Germania. Viveva con intensità questo “spartiacque”. La caduta del muro la paragonò al crollo di pericolosi simulacri e di una ideologia oppressiva, dimostrando che le libertà fondamentali, che danno significato alla vita umana, non possono essere represse e soffocate a lungo.
Un Muro che sembrava “eterno” trent’anni fa è crollato. In una notte è stato abbattuto.
Non abbiamo più bisogno di muri, ma di ponti. Sono convinto che i Muri che ancora separano i popoli (come quello in Terra Santa, che ho rivisto la scorsa estate) sono destinati a crollare. Non crolleranno per opera di carri armati, ma perché travolti dalle idee di libertà e di pace. Ne sono certo. Se trent’anni ci speravo, ora ne sono certo. Questo è il momento non solo della speranza, ma del coraggio della speranza.
E tu, quarantenne di oggi o giù di lì, ci stai a costruire insieme questa nuova civiltà?
Don Vittorio Rocca