Si è appena conclusa la 62° edizione del Festival della canzone italiana, che non si ricorderà di certo per i cantanti e le loro canzoni, quanto per i problemi tecnici, le bufere mediatiche, gli attacchi di nostalgia-sciatalgia e soprattutto per i sermoni del cantante milanese Adriano Celentano. E’ stata proprio la sua incerta partecipazione l’espediente che ha richiamato sul festival l’attenzione della stampa e dei suoi molti fans; anche il compenso da capogiro, quasi 700milaeuro per due interventi, richiesto e poi subito promesso in beneficienza, ha suscitato un clamore non indifferente, tanto che il quotidiano Avvenire ha evidenziato “con quel che costa lui alla Rai per una serata si potevano non chiudere le sedi giornalistiche Rai nel Sud del mondo (in Africa, in Asia, in Sud America) e farle funzionare per un anno intero”.
Durante la prima serata della kermesse sanremese, il Molleggiato non poteva non controbattere alle critiche ricevute e l’ha fatto tenendo uno show nello show, alternando provocatori monologhi e farneticanti dialoghi ad esibizioni di sue celebri canzoni. Nei 45 minuti di cui si è appropriato, ha detto la sua riguardo la crisi economica, l’inutilità dell’Unione Europea, la sovranità popolare, il referendum sulla riforma della legge elettorale bocciato dalla Corte Costituzionale, ma soprattutto ha attaccato le testate cattoliche Avvenire e Famiglia Cristiana: “ Giornali inutili come l’Avvenire, Famiglia Cristiana: andrebbero chiusi definitivamente. Si occupano di politica e delle beghe nel mondo, anziché parlare di Dio e dei suoi progetti (…) il discorso di Dio, per loro, occupa poco spazio: lo spazio delle loro testate ipocrite. Ipocrite come le critiche fanno a uno come Don Gallo, che ha dedicato la sua vita, ancora adesso, per aiutare gli ultimi.” Queste dichiarazione hanno diviso l’opinione pubblica, suscitando un forte dibattito tra gli editorialisti e le agenzie più importanti, sui social network, nei salotti televisivi del pomeriggio ma soprattutto fra la gente comune.
Rossella Maugeri, edicolante di Piano d’Api, apprezza i contenuti dell’ arringa: “Ho seguito la vicenda solo attraverso internet e posso solo dire che tutto quello che ha detto mi trova d’accordo ,anche se a me Celentano non è mai piaciuto come personaggio quindi riesce ad attirare ben poco la mia attenzione, è troppologorroico. Ma se le stesse parole dette da altri avrebbero avuto un peso minore , che ben venga. Non credo sia giusto che vengano chiuse ma le testate religiose dovrebbero essere un po’ meno politicizzate.” Celentano è anche stato pubblicamente appoggiato anche da don Mario Pieracci: “Ho seguito molto attentamente la sua performance e ho sentito la presenza forte di Dio che parlava in quel momento. Lui vuole che i preti siano veramente preti, il che non significa non andare in tv, ma andarci per parlare di Dio. Ha fatto benissimo a parlare di questo con 16 milioni di persone. Al di là di dove lo si dice, ognuno deve poter dire il suo sentimento religioso pubblico, manifesto e chiaro”.
Giuseppe Massimino, libero professionista catanese, si dice, invece, infastidito dalle “trovate pubblicitarie” del ragazzo della via Gluck: “Mi sono sentito offeso e umiliato dalle parole di Celentano, che di chiesa e cattolicesimo, fortunatamente, ne sa ben poco. Esistono diversi giornali, ognuno con la loro visione del mondo e se non la condivido non li acquisto. Si deve smettere di pensare che la religione sia roba estranea dal mondo e dalla vita quotidiana. Io non riesco a capire perché i cantanti non debbano continuare a fare quel che hanno sempre fatto e soprattutto perché ancora si ostinino a farci pagare il canone tv, quando non si prendono cura dei contenuti che ci propinano”.
Dello stesso avviso è Maria Cutrufello, casalinga: “ A me piace che Famiglia Cristiana, a cui sono abbonata da oltre un decennio, mi parli del mondo e mi dia una spiegazione “religiosa” degli eventi che succedono. Inoltre io pago per ascoltare canzoni, non le idee di Celentano”.” Il cantante, durante l’ultima serata del festival, ha di nuovo parlato di Dio e quasi giustificandosi della precedente dichiarazione ha sottolineato “hanno estrapolato una mia frase e ne hanno cambiato il significato (…) non ho detto che questi giornali devono chiudere, ma che dovrebbero essere chiuse oppure cambiare testata”, ma tutto ciò non gli ha risparmiato i fischi dalla platea. Non vorremmo, però, che tutte queste polemiche offuscassero la vera notizia di riscatto ed integrazione che è stata portata sul palco del Teatro Ariston dal cantautore Eugenio Finardi. Durante la sua esibizione con la canzone “E tu lo chiami Dio” è stato accompagnato dai ragazzi del Piccolo Ensemble Futuro, composto da allievi italiani e rom cresciuti in mezzo a tante difficoltà ma pieni di talento che hanno potuto esibire, grazie al progetto di inserimento attraverso la musica creato dalla Casa della Carità di don Virginio Colmegna in collaborazione con il Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano. Queste sono le storie che parlano di Dio e dovrebbero scuotere le nostre sopite coscienze, queste sono le storie che devono creare dibattito e, purtroppo, queste sono le storie di cui ci si occupa sempre meno.
Chiara Principato