Chi decidesse di leggere don Milani, non può che restare scosso, colpito, proprio come accadde allo stesso Lorenzo quando si incontrò con il Gesù del Vangelo delle Beatitudini. Quell’incontro e solamente quello è il vero segreto di don Milani.
A lui si possono applicare le bellissime parole di Kierkegaard: “Quando un giorno diventerò cristiano sul serio, non dovrò vergognarmi perché non lo sono stato prima, ma perché prima ho tentato tutte le scappatoie”.
Nella prefazione del libro “Don Milani e suo padre. Carezzarsi con le parole” di Valeria Milani Comparetti, nipote di don Milani, padre Josè Luis Corzo sostiene: “La più vera ed enorme trasformazione del Lorenzino familiare fu diventare cristiano” in punto di morte. Infatti, don Lorenzo disse: “un grande miracolo sta avvenendo in questa stanza. Un cammello che passa nella cruna di un ago”.
Don Lorenzo Milani stesso, scrivendo nel luglio del 1960 ad Aldo Capitini, punta di diamante del movimento non violento in Italia, gli rivelò, chiaramente, che stava per correre il rischio di diventare, se avesse ceduto anche per un attimo, alle continue polemiche sollevate dalla pubblicazione del suo libro Esperienze Pastorali, “un prete di salotto. E prete di chiesuola intellettuale, prigioniero di una piccola società di mutuo incensamento”!
Io, di don Milani, mi son fatto questa idea: don Lorenzo è una invenzione di Dio per gli uomini e le donne del nostro tempo!
Il Milani che conosciamo è quel giovane, attento e inquieto, della colta ed alta borghesia italiana, residente in Toscana, che si è lasciato coinvolgere, sino in fondo, in una storia imprevedibile prima e non del tutto compiuta definitivamente nella sua vita. Una storia che lo ha conquistato e afferrato, atterrato e rialzato sulle strade di Firenze, come Paolo sulla via di Damasco. E che da lì fu inviato per essere un vaso eletto e fragile nella diocesi fiorentina di quegli anni.
Una lettera scritta di proprio pugno – Dio dettante e Milani scrivente – mentre carta e penna furono i personaggi e gli eventi di quel difficilissimo e preziosissimo periodo.
Una staffetta che portava in mano una fiaccola che andava accolta, per essere consegnata ad altri, per preparare quel popolo ben disposto ad accogliere il Signore, come lo fu il Battista e come lo è stato, dopo tanto tempo, Francesco di Assisi!
Milani, certamente, non è entrato e mai potrà entrare nei salotti borghesi di certi ambienti anche ecclesiastici!
Sergio Tanzarella, grande conoscitore e fra i curatori dell’opera omnia di Lorenzo Milani, (Mondadori 2017, per la collana I Meridiani), nel volume del 2007, “Gli anni difficili” sostiene che l’Italia è un paese senza memoria storica e il fatto che l’opera principale di Milani, il libro Esperienze Pastorali del 1957, non fu letto né studiato a dovere, fu semplicemente un disastro.
Se l’Italia è diventata un paese senza memoria, anche la stessa Chiesa in questi ultimi decenni, è stata gravemente colpita dalla stessa malattia. Preferendo imboccare la rassicurante strada dell’autoreferenzialità e delle estenuanti consultazioni di rito.
Milani non fu capito, ma, soprattutto, fu frainteso, e per alcuni diventò solo una bandiera da agitare all’occorrenza. Per inquadrare meglio il periodo, desidero raccontare una mia personale e significativa esperienza.
Un giorno del 1978, il vescovo mons. Pasquale Bacile, persona attenta e colta, venne a far visita ai sacerdoti e ai seminaristi in Seminario ad Acireale. E vedendomi con il libro delle Lettere di don Milani tra le mani, mi richiamò dicendo che quella non era una buona lettura. Era deviante e non si addiceva ad un giovane sacerdote!
Ricordo di essermi difeso, asserendo di star leggendo un libro di esperienze di un certo prete Lorenzo Milani, per il piacere di conoscere. Tutto finì lì! Dopo alcuni giorni, però, il Vescovo mi convocò e mi regalò un libro, più adatto, a suo avviso, alla mia maturazione sacerdotale: “Il Sacerdozio Ministeriale” di Enrico Bartoletti – edito da Città Nuova Editrice – con questa dedica: “Al sac. O. Barbarino, nel giorno del suo onomastico, con l’augurio paterno di poter trarre frutti abbondanti dalla meditazione di questo aureo libro sul sacerdozio ministeriale. Acireale 2.7.78 +Pasquale Bacile-Vescovo”.
Dove sta la particolarità? In quel momento, né il Vescovo Bacile, né io, sapevamo che proprio l’autore dell’aureo libro donatomi “per distogliermi” era di quell’Enrico Bartoletti che era stato proprio insegnante di Sacra Scrittura di Milani al Seminario di Firenze. Che i due si conoscevano prima per altra strada come amici di famiglia. E che esiste un importante epistolario tra Milani e Bartoletti, anche se non è esteso, ma fortemente milaniano, sia nei toni che nei contenuti.
Monsignor Enrico Bartoletti, figura di spicco dell’Episcopato italiano, nel 1958 fu nominato da Pio XII vescovo ausiliario di Lucca. Nel 1971 Paolo VI lo nominava Arcivescovo coadiuvatore di Lucca. E già nel 1972 era Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana. Morì improvvisamente di ictus il 5 marzo 1976, a 59 anni.
Don Lorenzo Milani, ovviamente, non ha bisogno di essere beatificato, ma semplicemente letto, capito ed integrato … per continuare l’opera di San Pietro che chiedeva ai suoi di essere pronti a dare ragione della speranza che è in noi (Cf. 1Pt).
Milani subito fu considerato un sacerdote pericoloso dalle autorità religiose del tempo, perché non ebbero solamente il tempo, né la pazienza di leggerlo!
La sua scrittura è assolutamente diversa rispetto a quella che si può leggere solitamente sulla stampa cattolica. È tagliente, urticante, senza fronzoli, a volte sboccata e con poche prudenze umane! Chiedeva il confronto: testimonianza con testimonianza! Servizio con servizio! Franchezza con franchezza!
Quanto è illuminante il giudizio di don Raffele Bensi, suo padre spirituale, su di lui: “Tu non hai come noi pesi di tradizione, di tentativi non riusciti, di scetticismi accumulati; tu sei uno nuovo, senza radici, e per la spinta verso il domani, tu hai più intatta forza di noi e sicurezza di sguardo.
Rinascere ogni giorno e vedere la vita ogni giorno come se in quello stesso mattino fosse cominciata, sarebbe l’istanza di fondo del cristianesimo. Ma di fatto la tradizione – che è pur grande cosa – attenua la virtù della speranza. E tu ti trovi per questo in condizione di vantaggio. Non ti ho fatto nessuna annotazione perché a me il lavoro piace così, giovanile, audace e in certo senso polemico: sotto gli schemi e le cifre c’è un’anima” (MG 3 13 14).
Cristina Campo affermava in una intervista: “Vorrei che si dicesse alla gente, con brutalità o con dolcezza parimenti violenta, ricordati che hai un’anima e che un’anima può tutto”.
La pigrizia è quell’attitudine a fare le cose più per abitudine che per creativa fedeltà. Che ha portato molti ad una venerazione delle ceneri piuttosto che ad una leale conservazione del sacro fuoco della Tradizione, con la lettera maiuscola!
Don Milani possedeva indubbiamente uno sguardo lungimirante, aveva un fiuto che si apprende alla scuola del Vangelo, che invita a guardare in profondità, oltre le apparenze, a privilegiare le gemme della primavera dello spirito.
Anche don Milani si accompagnava ai migliori. Era debitore a don Mazzolari, Divo Barsotti… David Maria Turoldo, suo amico, ebbe a dire: “Don Mazzolari e poi don Zeno e don Milani sono stati dei fatti culturali per il loro tempo. Don Milani era perciò parte di quel magma culturale nazionale che scorreva nelle vene del paese, sia nella chiesa che fuori di essa. A uno come lui, poi, con la sua formazione bastava poco per intuire, raccogliere e rilanciare a sua volta”.
Don Lorenzo dedica la fatica che lo ha portato a scrivere “Esperienze Pastorali” ai missionari cinesi che verranno a predicare il Vangelo nell’Etruria toscana, dopo il crollo dell’Occidente cristiano. Con l’aggiunta di una importante nota: “ricordino che non abbiamo odiato i poveri come la storia dirà di noi. Abbiamo solo dormito.”
Si, è vero, abbiamo dormito! E non ci siamo mai risvegliati!
Io, mio malgrado, non ho potuto conoscere don Milani, ma ho avuto la possibilità di parlare con chi l’ha visto vivo, salendo sù a Barbiana.
Nel 1994, però, spinto ugualmente dal fortissimo desiderio di incontrarlo, andai a Barbiana. E lì, certamente, in un altro modo, l’ho incontrato!
A Barbiana, ancora oggi, tutto parla di lui: della sua fiera grandezza, della sua indicibile profezia, della capacità, tutta milaniana, di dilatazione dei luoghi, della miseria degli uomini e del serio pericolo di suicidio che egli corse stando in quella solitudine!
Inginocchiato davanti alla sua nuda tomba, accarezzata dal rosso dei gerani, l’ho ringraziato e ho fatto la promessa, sul suo esempio, di diventare sempre più cristiano. Ormai giunto all’età di 70 anni, di cui 46 di sacerdozio, mi sono ripromesso di ripensare o di rileggere le sue “Esperienze Pastorali” alla luce della mia piccola esperienza: lungo il filo della memoria e della gratitudine!
Don Orazio Barbarino
Arciprete di Linguaglossa