Quando, nel 2016, lo scrittore Eraldo Affinati, insegnante di italiano e fondatore con la moglie Anna Luce Lenzi della scuola Penny Wirton, pubblicò “L’uomo del futuro” – a 50 anni dalla morte di don Lorenzo Milani – restai letteralmente meravigliato e affascinato.
“L’uomo del futuro” è un libro che dovrebbero leggere tutti coloro che nutrono il profondo desiderio di uscire dalla mediocrità. E che vogliono conoscere più approfonditamente un vero maestro, attualissimo, che è il Priore di Barbiana, nato il 27 maggio 1923 a Firenze. Di lui quest’anno si celebra il centenario della nascita.
In questa appassionata ricerca, Affinati mostra una acuta e sincera sensibilità che gli permette, uscendo dai soliti schemi, di scavare in profondità nella eredità milaniana. Restituendo un Milani moderno e perennemente scomodo.
Se non fossimo degli inguaribili laudatori del tempo che fu, ci saremmo accorti già da tempo delle tante Barbiana presenti nel mondo. Nelle etnie più diverse, nei luoghi più sperduti, ma anche in quelli a noi più prossimi. E pure dei tanti Milani che, ci sono ancora, che nel silenzio e nella abnegazione più assoluta cercano di costruire un mondo migliore e più giusto. Stando accanto a chi è più infelice e sfortunato, fungendo da braccio destro di Dio. Perché intenti a dissotterrare quei talenti che proprio Lui stesso ha posto in loro.
Se non fossimo così distratti, pusillanimi e cinici, da tempo avremmo riconosciuto quel mondo nuovo nella vita di tanti che hanno scelto di esserci, senza nessun clamore ma con la forza della profezia che non delude.
Il problema di ieri come di oggi, è negli occhi che non vedono più e nel nostro cuore indurito. Non è di secondaria importanza sapere che la liturgia cristiana, all’indomani delle grandi e luminose festività natalizie, pone sulla bocca dei credenti parole come un testamento. “Ascolta, o Padre, questa comunità in preghiera perché veda ciò che deve fare e abbia la forza di compiere ciò che ha veduto”.
Milani a tal proposito era solito dire che: “la grande infedeltà nei confronti di un morto è restargli fedele”. E’ assai evidente che se il morto fosse ancora vivo affronterebbe sempre in maniera critica le nuove sfide e non rimarrebbe ancorato alle soluzioni precedenti. Il Milani di Barbiana non è quello di Calenzano, anche se va visto in una continuità interpretativa. Per tale motivo ricordare don Lorenzo Milani nel centenario della nascita, significa assumersi anche il sacro compito di non imbalsamarlo. Di non trasformarlo a santino e all’occorrenza anche tradirlo!
“E’ un gravissimo errore – afferma Padre Josè Luis Corzo, uno dei conoscitori più profondi di Milani – adottare le idee dei predecessori anziché le loro analisi concrete della realtà”.
Nella società di oggi come nella stessa Chiesa, pur chiamati profeticamente a vivere un Cristianesimo sinodale e in uscita, si sta correndo il serio pericolo di proporre vecchie e stantie soluzioni dinanzi ai nuovi problemi che ci attanagliano.
Tutto questo accade semplicemente perché non siamo cresciuti. Di fronte a una realtà sempre più pragmatica, liquida, complessa, abbiamo preferito sposare la pigrizia culturale e spirituale, il buon senso, il fare come sempre si è fatto. E il clericalismo impera! Alla fin fine di fronte alla realtà abbiamo dimenticato di studiarla e ci siamo comportati da sprovveduti.
C’è un libro di Milani, assolutamente importante, che andrebbe considerato prima di qualsiasi altro suo scritto: “Esperienze Pastorali” del 1958.
Per la sua prima destinazione, cioè per fare il vicario di don Pugi, parroco di Calenzano, e per essere poi il Priore di Barbiana, scrisse un libro-ricerca di 477 fittissime pagine. Frutto di un amore e di una dedizione pastorale incondizionata ed assoluta! Lo iniziò nel 1947, all’età di 24 anni, e lo terminò a Barbiana dieci anni più tardi.
Non è lontano dal vero se dico che tanti di noi preti arriviamo ad assumere il ministero di parroco come lo svolgersi di un importante ed alto incarico ricevuto dal Vescovo. E tutto potrebbe ruotare attorno a questa acquisizione!
Del resto anche per don Milani il disastro più grave era il distacco sempre più marcato tra il prete ed i suoi fedeli. Il sacerdote diventato un funzionario, un burocrate della fede e dei sacramenti, la cui esistenza non si incrocia con quella della sua gente. ”Quei pochi che vanno in Chiesa lo sentono parlare. Ma a che cosa serve sentire delle parole, quando non si sa se la bocca che le dice appartiene ad una persona viva che vive quello che dice oppure ad un anonimo incaricato!”.
La vita intesa solamente come un ruolo e come un compito da assumere, per un discepolo di Cristo potrebbe anche non bastare! Ultimamente è considerazione comune che il prete sia come un incaricato che deve svolgere un certo lavoro in un dato territorio. E per un tempo limitato, un mestierante, quasi, del sacro, a ore e a giorni alterni!
Se prendesse piede una mentalità del genere nella stessa gente della parrocchia, sarebbe veramente un guaio: sarebbe l’inizio di un declino inarrestabile!
Salva e felice la parrocchia come erogatrice di servizi, utili, necessari di un cristianesimo ridotto a religione civile. Ma esanime se non morto, l’annuncio del Vangelo di Cristo, da parte di noi cristiani!
Non ci resta che prendere una sola strada: tornare ad essere, ventiquattro ore su ventiquattro, discepoli di Gesù. Accettando di vivere nel mondo alla maniera di Milani, relegato nella sua piccolissima Barbiana.
Sotto il cielo di Librino, un formidabile formicaio di Catania di 70 mila abitanti, opera un mio carissimo amico, Antonio Presti, un cittadino sovrano, un sognatore inguaribile. Un uomo che, nell’ultimo tornante della sua vita, continua a trasformarla per gli altri, prima di tutti per i bambini di quel quartiere, in un dono radicale di compagnia. Di bellezza, di spiritualità, di conoscenza, di tenerezza e di approdo per altre proposte e per audaci nuove speranze.
Per me prete cattolico, lettore di Lorenzo Milani, Priore di Barbiana, Antonio Presti è più di un amico. E’ un testimone dell’invisibile, una freccia conficcata nel cuore di un quartiere di Catania, a non molti chilometri dal posto in cui io vivo. Una voce che senza avermelo mai detto, mi spinge a diventare cristiano sul serio, un discepolo di Gesù Cristo vivo e a non lasciarlo solo!
Don Orazio Barbarino
Arciprete di Linguaglossa