Chiesa / Don Roberto Strano: “Nelle Missioni in Brasile con monsignor Vigo”

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Missione in Brasile

Era una sera del mese di giugno del 2003, avevamo finito da poco una celebrazione per la dedicazione di un altare in un Istituto religioso e siedevamo a cena, uno accanto all’altro. Quando – all’improvviso – mons. Pio Vigo si gira verso di me e mi dice: “vuoi venire con a me, il prossimo mese di novembre, in Brasile? ”.

La mia risposta fu più che una domanda: “a fare che”? “andiamo a trovare Suor Chiara e poi a Feira de Santhana, una comunità che ha sede a Verona”. Dubbioso sulla proposta, ma desideroso di visitare l’America Latina, dissi subito di “si”.  Ignoravo che quell’invito-proposta, avrebbe lasciato in me un’ indelebile traccia e l’avrei segnata, per sempre, come una delle più significative della mia vita sacerdotale ed umana.

Nelle Missioni del Brasile per alleviare la sofferenza

In quella terra benedetta, dove si passa dall’opulenza all’estrema povertà, ho imparato cosa significa “essenziale” e ho sperimentato la sincerità della fede. Ma ciò che maggiormente mi colpiva era il modo con cui mons. Vigo si rapportava a quella realtà.
Egli, nato nobile per nascita, abituato alla sontuosità della sua casa, si adattava facilmente a quanto nelle missioni ci preparavano. Ogni pomeriggio saliva sulla Toyota del parroco del Surubim e per sentieri tortuosi raggiungeva piccole comunità (la sola Parrocchia di Surubim ne contava ben 58) per la celebrazione della santa messa.
Annotavo in un’ agenda quello che ogni giorno facevamo e, rientrato in Italia, pubblicai un piccolo diario dal titolo “Obrigado Senhor” (Grazie Signore), in cui cercavo di trasmettere l’esaltante esperienza vissuta.

Dinanzi alle estreme povertà, osservate durante la visita della favela di Feira de Santhana, vedevo i suoi occhi riempirsi di lacrime, mentre dalla borsa tirava fuori le caramelle per i bambini o con una stretta di mano, una benedizione, un’offerta cercava di alleviare la sofferenza di quanti vivono in quello stato di degrado assoluto. Ero fiero del Vescovo, che con la vita, più che con la parola, testimoniava la bellezza della vita cristiana e del Vangelo.

Le Missioni in Brasile, un’esperienza che segna la vita

In occasione del mio XXV di sacerdozio, in una lettera alla comunità in cui tentavo di rileggere quanto il Signore mi aveva elargito durante il cammino, scrivevo: “Un’esperienza fondamentale, per cui sono vivamente grato a Sua Eccellenza Mons. Pio Vigo per avermi invitato a condividerla, è stata la visita per tre anni consecutivi (2003-2005) a delle Missioni in Brasile.

Vedere con i propri occhi forme di estreme povertà mi ha notevolmente ridimensionato, ma soprattutto è stato l’entusiasmo dei missionari, dei sacerdoti e delle suore del luogo, che mi ha insegnato la gioia dell’esperienza cristiana, da cui noi europei siamo notevolmente distanti. Una fede semplice, schietta e genuina, senza orpelli e sofismi, che mira all’essenziale: l’annuncio di Cristo e la promozione dell’uomo.
L’aver avuto, negli anni, la possibilità di sostenere le missioni che ho visitato, attraverso apposite iniziative, fatte proprie dalla comunità parrocchiale, è stata una grande gioia di cui la Parrocchia deve andare fiera, avendo sempre chiaro che “Quando si fa qualcosa per i poveri non si deve pensare che si fa loro un dono, ma che si paga un debito” (Don Lorenzo Milani)”.

In questi mesi segnati dalla scomparsa dell’amato Vescovo, ricompongo – come in puzzle – le esperienze vissute insieme. Non come semplice ricordo, ma come attestato di gratitudine al Signore, per avermi messo accanto un Padre, un Pastore e un Amico, come monsignor Vigo. E chiedo a lui, dal cielo, di continuare a guidare i miei passi sui sentieri della verità, della carità e del bene che lui ha ben tracciati.

Una poesia che nasce dalla favela

Concludo con una poesia che mons. Vigo scrisse dopo la visita alla favela nel dicembre 2003, in cui emerge, ancora una volta, la sua fede e la sua dolce umanità.

Eri già nato quando ho visitato la favela a Feira de Santana./Non hai voluto aspettare il giorno esatto/per non farti ricoprire con regali superflui/come nei nostri alberi di Natale.
In quegli ambienti si fa tutto in fretta.
Eri tu quel bimbo nudo/che correva assieme agli altri/sporchi e malamente coperti.
Eri tu quel ragazzo sordomuto/incapace di comunicare/cresciuto senza cure per la povertà/
che lo rode dentro assieme alla famiglia.
Eri tu quella donna paralitica da sette anni/raggomitolata tra gli stracci nel suo giaciglio.
Eri tu ai crocicchi delle strade/o davanti alla porta delle case fatte di fango/al caldo, tra la polvere, il fetore e l’abbandono.

Le poche compagnie con le quali condividi le tue giornate/ti fanno passare il tempo con i loro discorsi/pieni di confronti, di rabbia e di fame.
Ma con la mia visita/ti ho forse vestito? Ti ho dato da bere?/Ti ho consolato? Ti ho fatto mangiare?
Sono stati per te sufficienti/il mio saluto e le caramelle/che ho fatto scivolare nelle tue mani?
Quando tornerò a trovarti/mi farai capire come dovrò riempire col vero amore/
quel gesto che a me sembra di grande generosità/eppure è vuoto.

Don Roberto Strano

 

 

 

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