Chiesa e Coronavirus / Fase 2: ricordarsi di santificare le feste

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Nei libri di storia si legge che durante le “epidemie”, le guerre e le pesti, i cristiani si riunivano e pregavano insieme, facendo novene, adorazioni e suppliche, come documentano i testi liturgici delle molteplici “Messe in tempo di: terremoti; siccità e carestie; epidemie, guerre”.
Nel corso di questa tragica epidemia, con le chiese e gli oratori chiusi, sembra che molti abbiano accantonato Dio e i suoi Comandamenti, preoccupati ansiosamente della salute del corpo e trascurando il benessere dell’anima.
La Rai, che ogni mattina trasmette la Messa del Papa dalla cappella “Santa Marta”, il primo sabato della “fase 2”, nel silenzio assordante di messaggi e stimoli di religiosità, ha riproposto la lettura di “Dieci comandamenti” presentata dall’attore Roberto Benigni.
Nel corso del lungo monologo, intrecciando battute ironiche e a volte dissacranti, l’attore ha ripetuto più volte che il comandamento più gradito a Dio è il terzo: “Ricordati di santificare le feste” e fa parte della prima tavola delle leggi che rende evidente il rapporto tra Dio e l’uomo, dando  segni di concretezza al primo comandamento: “Amerai il Signore Dio tuo”.
Chissà se qualcuno degli spettatori, sentendo tale richiamo, ha pensato a come sono trascorse le 10 domeniche, chiusi in casa, sotto la coltre di paura e di timore di essere contagiati dal virus ? e poi ancora a come saranno le prossime domeniche, quando sarà concesso ai fedeli di poter partecipare alla Messa, pur vincolati dal numero  chiuso e limitato dai posti distanziati e dalle mille prescrizioni che, seppure preventive, ingabbiano e mortificano il significato spirituale del sacro rito.
Sono interrogativi che fanno prevedere un cambiamento di stile e di relazione tra la gente: l’era del “dopo coronavirus” fa presagire nuovi scenari fino ad ieri impensabili, mutate forme di espressione della religiosità e di comunicazione col sacro.
Il venerdì per i musulmani, il sabato per gli ebrei, la domenica per i cristiani, “giorno del Signore” nel ricordo della risurrezione, sono i giorni definiti di festa e di riposo, quasi a voler seguire l’esempio del Creatore che il settimo giorno, dopo aver creato il cielo, le stelle, il mare, la terra, gli animali, le piante e l’uomo, vedendo che “erano cose buone”, si riposò.
Il valore del giorno del riposo, lo shabbat, per gli ebrei, la domenica per i cristiani, è sacro, è un segno identitario, che il Governo non ha preso in considerazione, autorizzando le “messe coram populo” a partire da lunedì 18 maggio, come se la Chiesa fosse un normale esercizio commerciale.
E’ sconfortante constatare con quanta superficialità il mondo occidentale ha abdicato ad una così pressante raccomandazione, formulata con l’imperativo “Ricordati”, quasi un promemoria costante che unisce le creature al Creatore.
Nel testo dell’Esodo si legge, infatti: “ Ricordati del giorno del sabato per santificarlonon farai alcun lavoro, tu, tuo figlio, tua figlia, il tuo servo, il tuo bestiame, il forestiero che dimora presso di te” e vien data come motivazione “perché il Signore ha benedetto il giorno di sabato e l’ha santificato”.
Rispetto ai giorni feriali, impegnati nel lavoro e nelle cose della terra, assoggettati allo strapotere dell’economia e del profitto a tutti i costi, al consumismo forsennato, la domenica dovrebbe essere dedicata a “saper guardare oltre la materialità”, a curare la dimensione dello spirito, a prendere coscienza di essere liberi e non schiavi, cogliendo anche delle positive occasioni per fare del bene.
La tradizione millenaria della Chiesa ha reso solenne e festiva la domenica, invitando i fedeli a “partecipare” e non solo ad “assistere” alla celebrazione eucaristica.
Non sarà più “sufficiente” seguire la Messa in streaming o in Tv, soluzione adottata per l’emergenza della pandemia e che non potrà diventare prassi ordinaria.
Superato il difficile periodo dell’emergenza, la partecipazione attiva alla celebrazione della Parola e alla condivisione del Pane  eucaristico, il contatto diretto con il Corpo di Cristo nella santa comunione, non dovrà più essere surrogata dalla “comunione spirituale”, che è la pratica alla quale si ricorre quando si è impediti ad assumere la comunione sacramentale, com’è avvenuto durante la pandemia per il coronavirus.
«Quando non potete avere il bene di comunicarsi realmente alla Santa Messa, si legge nel volume ”Introduzione alla vita devota” di San Francesco di Sales, comunicatevi almeno col cuore e con lo spirito, unendovi con un ardente desiderio a quella Carne vivificante del Salvatore» ed il gesuita Rodriguez aggiunge: «La comunione spirituale consiste nell’avere un ardente desiderio di ricevere l’adorabile Sacramento»
Adesso che non ci sono ostacoli alla soddisfazione del “desiderio”, la partecipazione alla Santa Messa dovrà riprendere il ritmo ordinario nella fedele osservanza del terzo comandamento e, com’è stato possibile bloccare per alcune settimane tutte le attività commerciali e sociali per l’emergenza Covid.19, ogni cristiano dovrebbe riproporsi una specifica priorità nel restituire significato e importanza al dovere di celebrare il “giorno del Signore”, così come raccomandato dal Decalogo.
Come afferma mons Raspanti, vescovo di Acireale: “La salute del corpo è fondamentale, ma, per chi crede, la vita dell’anima ha un valore di gran lunga superiore” e quindi seguire la via del buon cristiano, osservare i comandamenti, è un dovere che non può essere oggetto di trattative, di protocolli e di condizionamenti, né tanto meno di paure.
Per evitare che il mondo e la società restino ancora  più bui e più tristi, occorre impegnarsi perché la rinascita morale sia prerogativa irrinunciabile rispetto  a quella sociale ed economica, ricollocando nella giusta gerarchia l’anima e il corpo, il benessere spirituale che sostiene e rinforza il benessere materiale.
L’impegno di santificare la festa è la risposta generosa alla raccomandazione di un Dio “geloso”, ma che “usa benevolenza fino a mille generazioni “ per coloro che lo amano e osservano i suoi comandamenti.

Giuseppe Adernò