La frontiera dell’emergenza che vogliamo raccontarvi con questa intervista è quella dell’ospitalità ai senza dimora. In Italia si contano oltre 50mila persone senza dimora secondo i dati Istat del 2015. Ad Aci Sant’Antonio, la Caritas Diocesana di Acireale, attraverso il progetto C.A.S.A., ha realizzato un dormitorio grazie all’8xmille della Chiesa Cattolica, per restituire dignità a queste persone private di un bene primario qual è la casa.
L’alloggio è garantito generalmente per brevi periodi: uomini e donne, in comparti separati, usufruiscono di un posto letto, del bagno e di un pasto caldo. All’interno della struttura vi operano in tutto quattro operatori. Con l’emergenza covid-19 per gli attuali ospiti il periodo di permanenza si è allungato: per loro, abituati a uscire nell’arco della giornata, c’è l’obbligo di rimanere in struttura. Per altri utenti esterni, comunque, alcuni servizi vengono erogati a distanza.
Chi sono i senza dimora? Si tratta di persone, spiega Massimo Borzì, coordinatore del progetto C.a.s.a. di Aci Sant’Antonio, “che per vari motivi non hanno più una vera e propria casa”. C’è chi si è visto costretto a lasciare l’abitazione per non poter pagare l’affitto a seguito della perdita del lavoro. Chi si è separato dal proprio partner e non hanno avuto modo ancora di riorganizzarsi. Altri, poi, non hanno mai abitato in una casa. Tra i senza fissa dimora ci sono anche coloro che considerano casa qualunque riparo di fortuna, anche la propria automobile.
Sono soggetti vulnerabili perché, specifica Massimo Borzì, hanno problemi di salute o disturbi mentali, fragilità relazionali, barriere linguistiche e condizioni di vita assai precarie”.
La struttura di Aci Sant’Antonio è ormai un punto di riferimento per i senza dimora del territorio. Cosa manca davvero a queste persone?
“La casa non è soltanto un luogo fisico che garantisce la propria privacy, oltre al riparo, ma è il luogo per eccellenza dei legami familiari e degli affetti. Sono appunto queste ultime le privazioni che soffrono maggiormente le persone senza dimora”
La difficile condizione di vita di queste persone è ora aggravata dall’emergenza da coronavirus. Facciamo un po’ di chiarezza: quali sono gli enti preposti che devono occuparsi di loro?
“La Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali del 28 marzo scorso, relativa alla gestione del “Sistema dei Servizi Sociali – Emergenza Coronavirus”, ha chiarito agli enti locali ed alle Regioni, che i servizi per le persone più vulnerabili devono essere assicurati e coordinati da parte delle istituzioni competenti territoriali al fine di garantire la tutela dei diritti fondamentali di tutti i cittadini. Naturalmente, anche in un momento come questo, la Chiesa rimane a fianco delle Istituzioni continuando l’erogazione dei propri servizi”
La diocesi e le parrocchie stanno facendo la loro parte.
“Come già detto la Diocesi di Acireale ha scelto di continuare la propria attività osservando tutte le opportune precauzioni per i propri operatori, volontari ed utenti. Inoltre la diocesi di Acireale e l’amministrazione comunale hanno attivato il fondo “Acireale dona” per aiutare famiglie in difficoltà che faranno richiesta di aiuto tramite un modulo da reperire presso la propria parrocchia di appartenenza. In tutto il territorio diocesano le parrocchie, coordinate dalla Caritas diocesana, stanno mettendo in atto misure per non dimenticare nessuno”
Come state affrontando in struttura l’emergenza da coronavirus e come vivono gli ospiti queste restrizioni?
“All’interno delle strutture per i bisognosi si sta vivendo una vera emergenza nell’emergenza. Come molti altri dormitori, ad Aci Sant’Antonio abbiamo scelto di rimanere aperti 24 ore su 24, invece delle consuete 12 ore (dalle 20:00 alle 8:00), in modo da garantire agli ospiti la possibilità di “restare a casa” per ottemperare alle direttive ministeriali e soprattutto scongiurare eventuali contagi”
Per voi è un grande sforzo. Non è così?
“La modifica dell’orario di attività della struttura è stata una scelta naturale per gli operatori, nonostante tutte le preoccupazioni, ma è stata anche presa in concerto con gli ospiti, affinché potessero essi stessi sentirsi corresponsabilmente attivi e non ulteriormente ghettizzati. La scelta di restare in struttura (che comunque non è la propria casa) resta una sfida quotidiana a causa di quelle fragilità personali a cui si sommano quelle che stiamo vivendo tutti, e che nelle condizioni di privazioni affettive tipiche dei senza dimora, possono gravare pesantemente sugli stati d’animo.”
Cosa sta cambiando in voi operatori questa emergenza?
“Sicuramente sentiamo maggiormente la fatica di operare in questo contesto che, come detto, è già difficile senza il coronavirus. Stiamo vivendo però anche un’opportunità: passare più tempo con gli ospiti del dormitorio, condividendo ansie e preoccupazioni del periodo, sta rafforzando molti legami che sono la vera sostanza del nostro servizio”.
Pensiamo positivi: andrà tutto bene se?
“Se continuiamo a seguire le indicazioni fin quando ci viene chiesto, ed in generale continuiamo ad avere fiducia nelle Istituzioni, nei medici, negli scienziati che si stanno occupando dell’emergenza”
C’è un’emergenza sociale in corso, a pagarne le spese sono soprattutto i più deboli e per loro non c’è una fase diversa dalle altre. Quali sono i valori su cui dobbiamo riflettere per ripartire?
“Quello della casa, o meglio dalla propria famiglia, perno fondamentale per ogni individuo e per ogni società, passando per il riconoscere nell’altro non una minaccia ma un fratello di quell’unica famiglia umana che oggi più che mai sta sperimentando l’uguaglianza nella debolezza. Sembra ancora più difficile oggi tendere lo sguardo oltre i confini per scorgere i molti fratelli che soffrono maggiormente l’emergenza da coronavirus per l’inadeguatezza dei relativi sistemi sociali e sanitari e ci dimentichiamo che viviamo tutti nella stessa ed unica casa che è questo nostro mondo. Queste riflessioni possono aiutarci ad essere preparati positivamente alla ripartenza dopo l’emergenza.”
Domenico Strano