C’è una strada che arriva fino a noi e che ha un nome molto familiare. Non è altisonante come quello di tanti potenti della terra di ieri e di oggi; tuttavia, ha acquisito una notorietà così straordinaria che stupisce e incanta ancora! Questa strada ha il nome e il volto di San Francesco di Assisi.
Nel cuore di ciascuno di noi c’è sempre un posto per lui e nessuno di noi – gli chiuderebbe la porta se a bussare fosse proprio lui stesso.
Oggi, è toccato a me il compito – come uno speciale portinaio – di accoglierlo e di raccontarvi un po’ della sua storia. Di una vita bella, pur avendo scelto per sé la più nuda povertà. Di una vita piena, pur non avendo posseduto nulla, né casa, né altre difese; di una vita santa, perché Egli ha trovato Gesù, il suo Maestro e Signore e ne è stato il suo giullare.
La vita agiata di San Francesco
Francesco nasce ad Assisi nel 1182 e lì morì il 3 ottobre del 1226. Per chi non lo sapesse il suo vero nome era Giovanni. Fu suo padre, Pietro di Bernardone, mercante di stoffe costantemente in viaggio tra l’Umbria e la Francia, che gli impose il nome di Francesco. Infondendo in lui – oggi si potrebbe dire – la cultura del cambiamento, quella capacità di dare risposte giuste alle nuove sfide e alle domande del tempo.
Dalla madre Donna Pica, francese della Provenza, apprese l’amore per la poesia, per i romanzi cavallereschi, per la vita cortese e per la bellezza. Fu con questa educazione che Francesco si pose alla testa della gioventù elegante, facoltosa e sveglia di Assisi. Pur non essendo un nobile possedeva le doti che superano tutti i titoli di nobiltà: la cortesia innata e il denaro paterno.
Era il re delle feste, rappresentava il nuovo, ed era un autentico trascinatore. Il primo tra tanti pari che avrebbe potuto vivere a lungo così, se non fossero intervenuti fattori esterni, politici che sconvolsero la vita a lui e a tutti gli altri!
San Francesco cade in disgrazia
Nel 1202 la gente di Assisi, approfittando dell’assenza del Duca di Spoleto, padrone della Rocca Maggiore del paese, la assaltarono, fecero a pezzi guarnigione e mura ed è qui che Assisi si schierò contro la nobiltà di allora. L’euforia durò molto poco perché la vicina Perugia era sul fronte opposto e ne nacque una guerra tra gli assisiati e i perugini, tra borghesia e nobiltà.
Assisi ebbe la peggio; molti furono uccisi e lo stesso Francesco, partito con sogni di cavalleria e gloria, finì nelle galere di Perugia, dove visse uno dei momenti critici della sua vita. In una parola gli crollò il mondo addosso. Non fu ucciso solo perché rientrava nella categoria dei prigionieri da cui si poteva ottenere il riscatto più alto.
La sua vita fu ridotta in frantumi, ma da qui faticosamente ripartì. Solo, malato, con un logorio interiore che non aveva mai conosciuto, ha ancora sete di gloria. E, nel 1205, prova di nuovo a diventare cavaliere aggregandosi ad un signore di Assisi, ma arrivato a Spoleto una Voce gli disse: “Francesco dove stai andando? e successivamente: “Chi può esserti più utile: il padrone o il servo?”
Il Signore illumina San Francesco
Capisce allora che deve cambiare strada, torna nella sua Assisi, dove ad accoglierlo è il peggiore degli orrori, un lebbroso. Dapprima rabbrividisce, poi lo abbraccia, lo bacia e gli offre denaro e si sente invaso da una dolcezza che non aveva mai sperimentato prima. Dio ebbe compassione di lui e lo avvolse con il manto della sua misericordia.
Ritirandosi in San Damiano, una piccola e abbandonata chiesa del posto, il Crocifisso gli parla e gli chiede di ripartire, riparando la chiesa che cadeva a pezzi. Lo fa, si comporta da manovale, ripristinando chiese abbandonate e ripulendo vecchie cappelle. Ma giorno dopo giorno capisce che la Chiesa da riparare era quella degli uomini, dei cristiani stessi.
Aveva conosciuto Cristo crocifisso, sentì addosso il peso dei suoi possedimenti e davanti al padre, in pubblica piazza, nudo, vi rinunciò ed il vescovo con il suo mantello lo ricoprì.
È l’inizio della nascita della fraternità di Francesco. Attorno a San Damiano, alla chiesa della Porziuncola, con i primi Bernardo, Silvestro, Rufino e gli altri compagni nasce la comunità dei penitenti di Assisi, dei frati minori.
La loro contentezza, l’umiltà, la semplicità, una fraternità vissuta conquistarono in pochissimo tempo tanti altri che man mano si aggregarono a loro.
Non avendo un permesso particolare, Francesco decise di andarlo a chiedere direttamente al Papa, il quale, inizialmente, lo concesse a voce e con il suo benestare la comunità si aprì sempre di più.
San Francesco e l’arrivo di Chiara
Un fatto nuovo che aspetta di essere ricompreso è l’arrivo in fraternità di Chiara: una giovane ragazza, nobile di famiglia, si aggrega alla comunità perché affascinata dalla risolutezza di vita di Francesco. Il suo esempio la conquista e insieme diventano, Francesco e Chiara, due punti di riferimento, due anime pure ed infiammate dallo stesso amore per Dio. Un uomo e una donna che illumineranno generazioni e generazioni di persone desiderose di autenticità, di vita nuova, a costo di rinunciare a tutti i privilegi.
La povertà diventa la loro vera ricchezza, e dalla nobile ed umile povertà nasce una vita cristiana libera e bella, senza schiavitù di sorta. Si stava contenti di non avere niente, il pane si guadagnava lavorando o chiedendolo come gli altri poveri. E poi si servivano i lebbrosi e i malati: Francesco e Chiara inizialmente vissero un Vangelo di carità a tutta prova.
I frati poi cominciarono ad annunciare per strade, piazze e città la vita nuova e bella che stavano sperimentando. Così la fraternità cresceva e si moltiplicava.
Non temettero né la distanza o gli altri disagi: dovunque andassero, trovavano gente che accorreva a loro. Nel 1219 Francesco non ebbe paura durante le crociate di recarsi in Egitto dal Sultano, armato del suo saio e della sua fede per chiedere a tutti di deporre le armi e di credere alla forza della fraternità. I luoghi santi si possono liberare con una vita santa e non con le armi.
San Francesco è sempre più solo
Negli ultimi anni, lui che aveva chiamato tanta gente al Vangelo con assoluta contentezza e povertà, si trovò sempre più solo. I nuovi arrivati trovavano molto pesante la vita scelta da Francesco e gli chiedevano adattamenti e una nuova Regola. Ma lui rimase fedele al suo sogno e restò sempre dello stesso parere: vita in povertà, senza comodità, senza privilegi. E proprio in questa solitudine Gesù gli concesse il dono della sua amicizia, con l’imprimere nel suo corpo le sue stigmate.
Prima di morire chiese di essere portato lì dove aveva iniziato l’avventura, alla Porziuncola. Morendo, chiese ai suoi frati di essere deposto nudo sulla nuda terra, cantando le lodi che lui stesso aveva scritto. Perché il canto e la poesia non potevano mancare nel momento del trapasso. Dando così testimonianza di una santità senza precedenti, di una santità delle piccole cose, del microscopico. Una santità che è gioia del poco, del dialogo col creato, che è parola e gesto…Francesco, l’infinitamente piccolo reso infinitamente grande!
Don Orazio Barbarino
Arciprete di Linguaglossa