La nuova parrocchia del Sacro Cuore, nel centro della città, realizzata nell’antico Monastero benedettino di Santa Scolastica. L’arcivescovo Francesco Cacucci sottolinea “la sensibilità del popolo italiano che è contraria alla visione di un luogo di culto che venga sconsacrato. Ho ben presente come a Bari Vecchia ci siano più di venti chiese per 10mila abitanti”
Abbazie e conventi trasformati in sale conferenze, teatri e musei. Ma anche in hotel di lusso, ristoranti e perfino night club. È il fenomeno che sta attraversando l’Europa delle Chiese anglicane, luterane e, con minore frequenza, anche cattoliche. In Italia la pratica è ancora limitata. Il fenomeno però è preoccupante e meritevole di attenzione perché rischia di svalutare luoghi che, oltre ad essere d’incalcolabile valore storico e architettonico, sono grandi simboli religiosi e di appartenenza al territorio. “Quello che succede in Europa è un segno del secolarismo galoppante”. È il commento di monsignor Francesco Cacucci, arcivescovo di Bari-Bitonto, protagonista della decisione di realizzare nell’ex monastero delle Suore Benedettine di Santa Scolastica la nuova chiesa parrocchiale del Sacro Cuore, nel cuore del quartiere murattiano del capoluogo pugliese. “In diocesi – precisa il presule – c’è stato il caso dell’ex monastero delle Suore Benedettine in cui è stata spostata la parrocchia del Sacro Cuore con gli ambienti pastorali. La diocesi ha provveduto a una sede nuova e più idonea del monastero. Con la gioia e la soddisfazione di tutti”. Da definire la destinazione della vecchia sede parrocchiale, in cui sono cresciute intere generazioni di cattolici baresi, ma è più facile che resti nella disponibilità della comunità cristiana piuttosto che venga utilizzata per altri fini.
Scelte da società opulenta. “La sensibilità del popolo italiano – prosegue mons. Cacucci – è contraria alla visione di un luogo di culto che venga sconsacrato. Ho ben presente come a Bari Vecchia ci siano più di venti chiese per 10mila abitanti. Differentemente, in Europa c’è forse una faciloneria nel disfarsi di tali luoghi. Una scelta derivante, secondo me, non dalla crisi economica ma, al contrario, da una società opulenta che riesce a dare un prezzo anche a un luogo caro alla fede”. Ma perché vendere – ci si chiede – un luogo sacro e caro ai credenti? “Se dovesse verificarsi la necessità di vendere un immobile sacro, e quindi laddove una comunità non riuscisse più a sostenere le opere – precisa il presule – sarebbe opportuno concordare una soluzione con le autorità religiose così da trovare altre finalità che non disdicano la sacralità del luogo. Mantenere un luogo sacro significa anche fare dei sacrifici, rispettando sempre la radice di fede di tali edifici”.
Gratuito l’ingresso in chiesa. Se può risultare facile vendere immobili religiosi, talvolta risulta necessaria la coabitazione, come ad esempio accade nel centro di Praga. Nella città che fu degli Asburgo, le chiese, in certe ore e in certi giorni, si trasformano in sale per concerti o per rappresentazioni con tanto di biglietto, per poi ritornare luoghi di preghiera e di celebrazione. “Nel nostro Paese – afferma ancora mons. Cacucci – c’è il rischio reale che possa aumentare il fenomeno di far pagare per entrare in chiesa”. Così come c’è il rischio di far pagare per assistere ad eventi e concerti… “In passato sono stato sempre molto netto, trovandomi anche in dissenso con un maestro come Uto Ughi. Egli diceva che la cultura, non facendo pagare un biglietto d’ingresso per gli spettacoli in chiesa, non viene rispettata. Nei luoghi sacri è giusto che siano allestiti concerti consoni perché l’arte è un atto di devozione al Signore. Ma mai si dovrebbe far pagare per questo. A Bari c’è l’esempio de ‘La Vallisa’ che è uno splendido caso di come una chiesa, non sconsacrata sia ben chiaro, sia stata resa luogo di cultura dal mio predecessore Mariano Magrassi. E chi vi entra, sempre e comunque gratuitamente, sa bene che sta entrando in un luogo sacro. L’arte nella chiesa è un servizio al culto, non è solo un mero spettacolo. E diversamente da un Museo diocesano, ad esempio, l’idea di dover far pagare per assistervi non deve essere considerata”.
Andrea Dammacco