C’era una volta una cagnetta. Il suo nome era Kitty. Era di taglia piccola, di razza indefinibile: un incrocio di barboncino e yorkshire, di volpino e di shitzu, e chi sa che altro.
Era bianca, con delle striature di color marroncino chiaro sulla schiena e sulla punta delle orecchie. I suoi occhioni scuri e la punta del naso nera spiccavano nella sua testolina non molto grossa. Aveva due dentini sporgenti, tipici di una delle tante razze che erano mescolate in lei. La sua padrona, Anna, l’aveva trovata una mattina a Pennisi e l’aveva presa con sé. Però, siccome non sembrava abbandonata perché aveva il collarino, Anna aveva pensato che l’avesse smarrita qualcuno. E così per una settimana era tornata ogni giorno a Pennisi, a chiedere in giro per cercare di scoprire chi potesse averla persa. Ma nessuno ne sapeva niente e nessuno l’aveva reclamata. E quindi Anna aveva deciso di adottarla, dandole il nome di Kitty. Da quel momento erano diventate inseparabili. Ogni passo che faceva Anna era seguito da un passo di Kitty. Anna la portava con sé dappertutto, anche a teatro o in chiesa. Kitty si accucciava silenziosa e discreta ai suoi piedi e solo chi la conosceva si accorgeva della sua presenza. Anna, giornalista e collaboratrice de “La Voce dell’Jonio”, la portava con sé, naturalmente, anche alle riunioni di redazione e certe volte, sollevando la testa e girandosi verso chi parlava, sembrava proprio che Kitty partecipasse anche lei e fosse interessata ai discorsi che si facevano. Kitty soffriva di solitudine, per cui Anna non poteva lasciarla sola in casa. E quelle poche volte in cui non poteva portarla con sé, doveva lasciare qualcuno in casa perché le facesse compagnia o doveva portarla a casa di qualcuno che si prestasse a farle da dog-sitter. Una volta in cui Anna stava partecipando ad una conferenza, ad un certo punto si era spostata al tavolo della presidenza per fare un intervento, lasciando Kitty al suo posto, accucciata sotto la sedia, anche perché sembrava che dormisse. Ma quando Kitty non aveva più visto Anna accanto a sé, era partita di corsa, trascinandosi dietro il guinzaglio, per raggiungerla ed accucciarsi nuovamente ai suoi piedi. D’inverno, quando c’era troppo freddo, Anna le metteva il cappottino o il giubbottino, e d’estate le accorciava lei stessa il pelo, ma non troppo perché non le piaceva vederla senza pelo. Qualche volta per Carnevale l’aveva anche messa in maschera, con qualche vestitino o cappellino buffo.
Adesso Kitty non c’è più. Dopo tanti anni di solidale convivenza con Anna, un brutto male se l’è portata via. Anna se n’era accorta per caso. Aveva notato infatti che da qualche tempo Kitty non la seguiva più con il solito passo vivace e trotterellante di sempre. Aveva dapprima attribuito la cosa a stanchezza o all’avanzare dell’età, ma poi, guardandola bene, s’era accorta che aveva un piccolo rigonfiamento sotto una zampetta anteriore. Poiché questo rigonfiamento tendeva ad aumentare e a rendere sempre più difficile la deambulazione a Kitty, Anna l’aveva fatta vedere ad un veterinario, e questi aveva detto che si trattava di una piccola cisti che conveniva eliminare chirurgicamente. Organizzato ed effettuato l’intervento, dopo qualche giorno di convalescenza Kitty aveva ripreso la sua piena funzionalità, ed era tornata a seguire Anna con passo celere ed incedere sicuro. Anche i tre piani di scale per raggiungere la redazione de “La Voce dell’Jonio”, li faceva adesso con passo spedito, addirittura saltellando allegramente i numerosi gradini, mentre prima Anna doveva portarla in braccio. La cisti tolta a Kitty, analizzata, si manifestò di natura benigna, e quindi sembrava che tutto si fosse risolto nel migliore dei modi. Ma dopo qualche settimana, Kitty riprese a stare male, e la sua pelle cominciò a coprirsi a poco a poco di macchie scure e di crosticine. I veterinari consultati da Anna parlarono di metastasi che si stavano diffondendo nel corpicino di Kitty, e stavolta non c’era nessun intervento da fare. Anna, non convinta, volle consultare diversi veterinari, portando Kitty persino a Roma, dove abita una sua sorella, ma tutti le dissero all’incirca la stessa cosa, qualcuno addirittura meravigliandosi che la cagnetta fosse ancora viva. L’ultimo veterinario consultato, dopo aver visto Kitty ed averla visitata sommariamente, disse ad Anna di riportarla a casa, di farle fare pipì, di farla bere e di metterla a riposare. Anna, più sconsolata che mai ed ormai rassegnata, ritornò a casa, fece fare la pipì a Kitty come le aveva detto il veterinario e la fece bere. Mentre beveva, Kitty alzò la testolina verso Anna e la guardò fissa negli occhi, come se volesse dirle qualcosa. Andò quindi ad accucciarsi sul cuscino dove stava abitualmente per dormire e riposare. Si era fatta sera e mentre Anna cenava, con gli occhi sempre fissi su Kitty, la cagnetta ebbe come un piccolo sussulto, come per un leggero disturbo durante il sonno, ripreso regolarmente subito dopo. Ma quando, dopo qualche oretta, Anna si apprestò ad andare a letto e si avvicinò a Kitty per controllarla, si accorse che la cagnetta non si muoveva più e che era già quasi fredda.
Anna ricorderà per sempre lo sguardo di Kitty mentre beveva per l’ultima volta. Per lei, è stato l’ultimo saluto di Kitty.
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