Ha sfidato la malattia con coraggio ed energia il maestro del cinema italiano Ermanno Olmi, che ci ha lasciato nella notte tra domenica 6 e lunedì 7 maggio all’età di quasi 87 anni. Il suo ultimo sforzo artistico è stato il documentario “Vedete, io sono uno di voi” del 2017 dedicato alla figura del cardinale Carlo Maria Martini; opera poetica di grande impatto storico-culturale, che ha finito con l’avvicinare nell’ultimo tratto il cammino terreno del cardinale e del regista: entrambi piegati da una sofferenza fisica, ma luminosi nell’accogliere e convivere con la malattia guardando con fiducia all’abbraccio con il Padre. Nell’incontrare la figlia Elisabetta Olmi, in occasione della proiezione speciale in Filmoteca Vaticana, lei aveva sottolineato: “Ermanno, papà, ci teneva molto al documentario. Aspetto cui teneva particolarmente era dare la sua voce al film, impersonare il card. Martini. Per papà, per Olmi il documentario è un po’ come un testamento artistico”.
È stata lunga e solida la presenza di Ermanno Olmi nel mondo del cinema e dell’audiovisivo, densa di riferimenti e con continui richiami alla tradizione cristiana, all’universo valoriale cattolico. Il Sir insieme alla Commissione nazionale valutazione film (Cnvf) della Cei ne traccia un ricordo.
Quello sguardo profondo tra città e campagna. I primi vent’anni di attività di Ermanno Olmi coincidono con il racconto dell’Italia nella sua dimensione tanto cittadina quanto rurale. Il film d’esordio risale al 1959, “Il tempo si è fermato”, ma il primo vero successo arriva con il suo secondo film “Il posto”, 1961, dove conosce sul set anche la futura moglie Loredana Detto. Con “Il posto” il regista bergamasco ci consegna un delicato e realistico ritratto della Milano del boom economico, nella prospettiva di due giovani appena assunti da un’azienda. È l’immagine di un Paese che procede a passo spedito verso lo sviluppo, che però non è sempre facile da controllare. “La delicatezza dei sentimenti – riporta la valutazione pastorale della Cnvf Cei – che animano i due protagonisti e la genuina semplicità degli ambienti nei quali si svolgono le vicende fanno di questo lavoro di notevole interesse sul piano morale” (Vol. 50, 1961). Negli anni successivi Olmi prosegue nel firmare opere intese e dalla profondità di sguardo: da “I fidanzati” (1963) a “E venne un uomo” (1965), fino a “Durante l’estate” (1971) e “La circostanza” (1974). L’opera che segna la svolta verso il percorso di maturità, con pieno consenso di critica e pubblico per Ermanno Olmi è “L’albero degli zoccoli”, che lo porta a conquistare la Palma d’oro al Festival di Cannes nel 1978. È il racconto dell’Italia contadina attraverso le vicende di alcune famiglie, l’immagine di esistenze spese per i campi, con non pochi sacrifici e privazioni, ma comunque accese dall’amore per la natura e il creato. Quello di Olmi è un inno a quell’insieme di tradizioni popolari e rurali che costituiscono le nostre radici; una vita che conserva forte il suo respiro spirituale e fiducia nel domani.
La stagione dei grandi titoli e dei premi. Dalla Palma d’oro al Festival di Cannes del 1978, nonostante qualche incertezza di percorso, Ermanno Olmi prosegue nel suo cammino con successo, che gli fa ottenere un altro rilevante riconoscimento alla Mostra d’arte cinematografica della Biennale di Venezia. Siamo nel 1988 e il film “La leggenda del santo bevitore” vince il Leone d’oro come miglior film e il premio della Giuria cattolica Ocic (oggi Signis). Seguono a distanza di pochi anni altri lavori significativi, da “Il segreto del bosco vecchio” (1993), all’incursione nel mondo televisivo con “Genesi. La creazione e il diluvio” (1994) – opera rientra nel ciclo Bibbia Tv prodotto dalla Lux Vide e Rai – fino a “Il mestiere delle armi” (2001). E con “Il mestiere delle armi” Olmi vince anche 9 David di Donatello e 3 Nastri d’argento. Il film è ambientato nel XVI secolo, al seguito del capitano di ventura Ludovico di Giovanni De’ Medici. “L’umanesimo del regista è robusto e ben solido” – riporta la valutazione pastorale della Cnvf – “Il taglio visivo riassume le scelte: una dimensione visionaria e onirica, il campo di battaglia come quelli di Kurosawa, gli oggetti, le persone, il gesto evidenziati come in Bresson. Coinvolge la ricchezza del film, la sua sintesi di musica, pittura, lingua, letteratura. E poi l’appello al recupero della dignità del vivere. Perché non riusciamo a diventare uomini? si chiede Olmi. Non ho risposte definitive, ma mi pongo ancora la domanda” (Vol. 131, 2001).
Gli anni della ricerca spirituale. Dalla soglia degli anni Duemila Ermanno Olmi entra nella maturità professionale e personale, lasciandosi coinvolgere da temi di respiro sociale. Non manca poi la sua costante riflessione spirituale, che in questo periodo tocca livelli elevati e poetici. Anzitutto “Centochiodi” (2007), con il quale pur raccontando una storia ambientata nella Bologna contemporanea si spinge ad abbracciare, con provocazione mai priva di afflato poetico, l’orizzonte cristologico. “Chi raccontare? Chi ricordare fra tanti come esempio assoluto di umanità cui poterci riferire nei momenti bui per trovare sostegno e speranza?” – indicava Ermanno Olmi al momento della presentazione – È scontato dire il Cristo? Sì: il Cristo Uomo, uno come noi, che possiamo incontrare in un qualsiasi giorno della nostra esistenza, in qualsiasi tempo e luogo. Il Cristo delle strade, non l’idolo degli altari e degli incensi. E neppure quello dei libri”. Ma una delle opere più convincenti di Olmi arriva nel 2011 con “Villaggio di Cartone”, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, a poca distanza dal Leone d’oro alla carriera (2008). Con “Villaggio di Cartone” il regista bergamasco si abbandona a un accorato e struggente invito alla Chiesa e alla comunità tutta ad accogliere l’altro, lo straniero, il bisognoso di integrazione e inclusione.
“La dimensione popolare dell’esperienza cristiana”. Importante l’eredità culturale che ci lascia in dono Ermanno Olmi, sottolinea al Sir don Ivan Maffeis, Sottosegretario della Conferenza episcopale italiana e direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali: “Ermanno Olmi ha saputo leggere la dimensione popolare dell’esperienza cristiana, raccontando le sue più semplici e genuine tradizioni. Ha colto l’importante quotidianità della fede nella vita dell’uomo, l’incontro del Vangelo con la vita di tutti i giorni”. Dalla Santa Sede giunge un ricordo personale del regista bergamasco da parte di mons. Dario Edoardo Viganò, assessore presso la Segreteria per la Comunicazione (SpC): “Ermanno Olmi provava una sintonica spirituale con papa Francesco, per la sua attenzione agli ultimi, ai rifiutati. Teneva molto a che il Papa vedesse proprio ‘Il villaggio di cartone’, capace di cogliere quell’immagine di Chiesa in uscita, di Chiesa ospedale da campo, pronta all’accoglienza, più volte richiamata dal Santo Padre”.
Massimo Giraldi e Sergio Perugini