“Ciak! Kibera” è il nome di un progetto artistico, che unisce due parole e due mondi apparentemente inconciliabili. Kibera è il più grande slum dell’Africa e girare un film al suo interno può sembrare una follia.
È quello che sta facendo l’Associazione di arte contemporanea Cherimus, in collaborazione con Amani for Africa, grazie a un bando di cooperazione internazionale vinto con un progetto artistico, dove la creatività possa funzionare come motore di sviluppo sociale.
Nairobi, capitale del Kenya, è una città di più di tre milioni di abitanti, ma più di un milione di questi vivono in slum, baraccopoli e bidonville. Kibera, un’area situata a sud della metropoli, è popolata da più di 700mila persone, qualcuno dice 1,2 milioni
Il progetto “Ciak! Kibera” – spiega una nota dell’ufficio stampa – si concretizza in una serie di workshop dedicati all’arte, alla musica, alla comunicazione e alle tecnologie multimediali e si rivolge a un gruppo di giovani residenti nelle periferie della capitale.
L’esperienza si concluderà a fine aprile con la realizzazione di un cortometraggio artistico, ispirato al lavoro svolto nei workshop. Alcuni degli alunni che partecipano al lavoro sono ex bambini di strada che hanno intrapreso un percorso di recupero e di reinserimento. Il soggetto del racconto è infatti derivato proprio dai sogni dei bambini, dalle loro aspirazioni ed è il prodotto, trasfigurato dall’impronta degli artisti italiani coinvolti, del loro modo di vedere il mondo. Un’operazione difficile e delicata insieme, che richiede molto rispetto per una realtà di cui si conoscono solo i contorni più tragicamente pittoreschi, come le baracche di lamiera, la povertà, l’inquinamento e la diffusione delle droghe anche fra i più piccoli, che aspirano colla agli angoli delle vie.
«Con questo progetto – spiega Emiliana Sabiu, fondatrice di Cherimus e a capo del gruppo di lavoro – vogliamo allontanarci il più possibile dai cliché legati alla povertà e all’Africa, attraverso l’arte vogliamo esaltare i talenti ed evidenziare le potenzialità che questa città e i giovani con cui stiamo lavorando sanno esprimere».
Il lavoro si svolge in gran parte presso la comunità di Kivuli, fondata nel 1997 dalle associazioni Koinonia e Amani, che accoglie bambini con un passato di vita sulla strada e che organizza attività di formazione. Qui si sono tenuti i primi workshop e si girano alcune scene del cortometraggio, mentre tutti gli esterni vengono girati tra le baracche di Kibera, proprio dove molti di questi bambini hanno passato i loro primi anni di vita.
Il progetto artistico s’inserisce quindi in un contesto molto difficile dal punto di vista sociale ed è per questo che si è scelta una forma espressiva che permettesse di compiere un salto anche dal punto di vista figurativo, rispetto alla durezza della realtà circostante. Per conferire un’aura “onirica” al video, infatti, si è scelto di girarlo in stop-motion, sotto la direzione di Andrea Canepari, regista specializzato in questa tecnica, che richiede moltissimo tempo, ma al contempo permette di ottenere effetti visivi strabilianti senza l’uso di effetti speciali. Così come i sogni stessi, da cui tutto nasce.
Il gruppo di giovani coinvolti hanno età molto diverse, dai 14 ai 27 anni, molti di essi vengono da esperienze di vita difficili, alcuni sono profughi da altri Paesi. Molti sono studenti, altri hanno già una professione, anche nel mondo dell’arte e della comunicazione, altri ancora sono alla ricerca di un equilibrio interiore prima ancora che una soluzione di vita
L’approccio differenziato che è stato adottato, grazie alla presenza oltre che degli artisti visuali anche di un regista, un musicista, un giornalista e un fotografo, ha messo in luce gli interessi dei partecipanti, tentando di incanalare la loro creatività in un prodotto finito e al contempo offrire loro strumenti per migliorare i propri talenti. Il cortometraggio è così un’occasione anche per trasferire competenze, dalla scrittura, alla realizzazione di un video, fino alla creazione di una colonna sonora.