Cinema / “Come saltano i pesci”, il film controcorrente per parlare della bellezza della famiglia imperfetta

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“Come saltano i pesci” è un progetto cinematografico che racconta la vita “quasi perfetta” di un ragazzo che improvvisamente, a seguito di un segreto rivelato, vede sgretolarsi il suo mondo e deve ripartire alla ricerca di sé stesso. Vicino a lui la sorellina, Giulia, con la sindrome di Down. Il film ha visto l’interesse di alcune diocesi marchigiane. Ne parliamo con il giovane protagonista: Simone Riccioni.

Amore, famiglia, accoglienza, disabilità, perdono, fede e confronto generazionale, sono questi solo alcuni 700x406xSimone-con-Giulia.png.pagespeed.ic.EDXHWbDqEvdei temi trattati nel film “Come saltano i pesci”, in uscita nelle sale cinematografiche italiane dal prossimo 31 marzo. Ad anticipare la prima nazionale della pellicola, un ciclo di incontri con gli studenti (e non solo) organizzato grazie al supporto di alcune diocesi delle Marche che hanno dimostrato interesse nel far conoscere i protagonisti ed i contenuti di questa produzione cinematografica.
Nel cast del film, per la regia di Alessandro Valori, c’è il giovane Simone Riccioni, attore e scrittore di 28 anni, che è nato in Africa da genitori missionari. Suo padre, medico anestesista, e la mamma, insegnante di matematica, nel 1987 decisero di partire dalle Marche per andare in Uganda come missionari laici per conto dell’Associazione volontari per il servizio internazionale (Avsi), in un paese martoriato dalla guerra civile. Ed è proprio qui, nella città di Hoima, che Simone nasce e vive fino ai dieci anni, quando ha fatto rientro in Italia. “Come saltano i pesci” è il suo ottavo film, dove Simone veste i panni di Matteo: un ragazzo con una vita apparentemente perfetta, un sogno nel cassetto, due genitori che lo amano profondamente e una sorellina, Giulia, affetta da sindrome di Down, che vede in lui il suo grande eroe.

Simone, quale messaggio vorresti passasse al pubblico con questa produzione?
Il soggetto è mio. L’idea mi è nata da un sogno che poi ho proposto al regista Alessandro Valori. Vorrei tanto che dal film emergesse l’importanza del senso di gruppo, perché si può andare oltre alla facilità con la quale si distruggono tante famiglie. Grazie ad una bambina, Giulia, si riuscirà a scoprire che tutto quanto può rifiorire, e ci si può rialzare anche nelle situazioni difficili. Mi sono innamorato del mondo dei bimbi con sindrome di Down facendo l’attore e giocando con loro. Hanno una grande semplicità nel guardare alla vita e questo mi ha colpito tantissimo. E’ importante far vedere che la famiglia è sì un posto dove c’è accoglienza, perdono e amore, ma è anche il luogo in cui si può essere imperfetti. Invito tutte le persone a pensare al film “Come saltano i pesci” come fosse una metafora: per sfuggire dai predatori come fanno i pesciolini occorre mettersi in banco, perché solo insieme si può essere più forti e superare gli ostacoli. Lo spettatore esce dalla sala rigenerato.
E’ difficile per un ragazzo portare avanti un progetto cinematografico?
Non avrei mai creduto di poter dire che il 31 marzo sarebbe uscito il mio film. Mi sembra incredibile pensare di esserci riuscito nonostante il fatto che alcuni mi dicessero di mollare perché c’era la crisi economica e non era il momento giusto per concretizzare le mie idee. Diciamo che è stato un progetto nato pian piano e cresciuto come fosse un bimbo. Per me è un sogno. Pensare che attori come Biagio Izzo, Giorgio Colangeli, Maria Amelia Monti, si siano messi a disposizione con entusiasmo nel leggere la storia e che dei giovani come Brenno Placido, Marianna Di Martino, Maria Chiara Centorami, Sara Maestri si siano appassionati al progetto insieme a Armando De Razza, Luigino Marino, Luigi Moretti è la risposta più bella di tutte.
Sei stato tu il primo pesce ad andare controcorrente?
Io giocavo con Montegranaro in serie A in un ambito sportivo di altissimo livello poi ho scoperto di avere tre ernie del disco e il dottore mi ha detto che se volevo una famiglia e poter prendere in braccio mio figlio avrei dovuto smettere con il basket. All’inizio mi è sembrata una dura lezione e poi ho capito che era una nuova strada da percorrere. Altrimenti avrei fatto il professore di educazione fisica perché mi sono laureato all’università cattolica di Milano in Scienze motorie e dello sport. La vita mi ha posto davanti altre porte ed ho scelto quella nuova da aprire. Una strada che seppur faticosa mi rende felice, accanto a me ho persone che mi stanno spronando ad andare avanti e a non mollare.
I tuoi genitori cosa ti hanno detto della tua carriera?
Mamma e papà sono partiti nell’87 per l’Africa dopo aver avuto l’abbraccio di Papa Giovanni Paolo II. Mi ricordo il bacio di questo santo quando venne in Africa ed io che, per avere il suo bacio, misi i piedi sul pancione di mia madre, incinta di mio fratello. Un santo che è stato anche un attore e sono onorato di poter essere stato sfiorato da lui. I miei genitori all’inizio erano contrari perché è un mondo difficile e mi dicevano di continuare a studiare. Li ringrazio perché andare all’università mi ha aperto la mente. Ora sono i miei primi sostenitori.

Tamara Ciarrocchi

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