Cinema e letteratura / Tra sinergia ed “eterno conflitto”

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A dispetto delle trasformazioni profondissime ed evidenti che sono in atto nel mondo del cinema, sia in termini di produzione che di consumo, ciò che rimane costante nel tempo è la necessità del cinema di ispirarsi alla letteratura di ogni genere o epoca.
Ormai moltissimi scrittori contemporanei partono già a scrivere con l’idea della sceneggiatura conseguente e del possibile successo del film.
Le tecnologie moderne hanno assunto un ruolo fondamentale per la produzione di effetti spettacolari, ma non è venuta meno l’esigenza di rifarsi a soggetti come quelli della letteratura classica e anche moderna, di qualità in certo senso “garantita”.
Anzi le nuove tecniche hanno forse consentito al cinema di osare e di rifarsi alle più ardite invenzioni degli scrittori, si pensi ad esempio al genere fantasy.
Spesso però, nonostante tutti i possibili effetti, le riduzioni cinematografiche lasciano scontenta la maggior parte dei lettori appassionati, che lamenta una scarsa fedeltà degli adattamenti.
Ciò in parte è dovuto alla difficoltà di condensare testi lunghi in film da due o tre ore, si pensi ad esempio a testi come La Bibbia o l’Odissea, ma è anche strettamente legato alle differenti esigenze linguistiche che fatalmente cinema e letteratura hanno.
Un altro aspetto è quello legato all’immaginazione, che inevitabilmente è il dominio in cui si muove avidamente qualunque lettore addestrato. Non è facile trovarsi di fronte ad un personaggio magari completamente diverso da quello che ci abbia accompagnato durante le ore di lettura di un libro e poterlo accogliere o anche semplicemente accettare.
Quel che forse va riconosciuto al cinema è il suo contributo nella diffusione di opere precedentemente poco note al grande pubblico, ma anche in questo caso ci si potrebbe domandare: sarà un bene? Perché si torna paradossalmente sempre allo stesso punto, se la resa è scadente, non sarà un grande vantaggio.
Per citare degli esempi recenti nominerei Il signore degli anelli di J. R .R. Tolkien, considerato un capolavoro della letteratura fantastica del novecento, da cui il regista neozelandese P. Jackson ha tratto una saga cinematografica in tre parti realizzate simultaneamente: la compagnia dell’anello, le due torri e il ritorno del re.
Ebbene, nonostante gli enormi investimenti economici e le imponenti risorse tecniche messe a disposizione di questa produzione, nonostante l’abilità degli sceneggiatori, gli effetti speciali, il suggestivo paesaggio della Nuova Zelanda, nonostante ogni nonostante, i risultati non sono parsi consoni all’irripetibile atmosfera del testo letterario. Tuttavia anche in questo caso però la consolidata fama dell’opera letteraria ha moltiplicato il numero degli spettatori del film e forse il successo del film ha avvicinato qualche lettore al testo letterario.
Lo stesso si può dire della serie di film ricavata dai best seller della scrittrice inglese J. K. Rowling dedicata alle avventure del piccolo mago Harry Potter, grandi risorse economiche e tecniche sono state spese per protrarre al massimo un successo editoriale forse senza precedenti. Ma di puntata in puntata se è vero che le tecniche adoperate hanno prodotto via via stupore e ammirazione crescente, come spesso accade si sono tirate appresso il rimpianto per le prime due versioni, che sono state giudicate più consone agli originali.
Tra i classici della letteratura non possiamo non citare le opere di W. Shakespeare che restano una risorsa tra le più sfruttate, al punto da poter parlare di un genere shakespeariano, a tale autore ha continuato a riferirsi K. Branagh.
Per fare esempi italiani possiamo citare Pinocchio di Benigni, passato alla storia come la più costosa produzione italiana mai realizzata, ma ben lontano dal successo ottenuto con La vita è bella o con i film nei quali risaltava il brillantissimo talento comico di Benigni.
Invece vorrei citare due casi maggiormente accettati dal pubblico: La leggenda del pianista sull’oceano di G .Tornatore, ispirato al monologo teatrale di Baricco Novecento e Io non ho paura di G. Salvatores, tratto dall’omonimo libro di N. Ammaniti.
In Italia, oltre che al cinema, la funzione di riproporre i classici è stata affidata anche alla televisione, si pensi alle varie versioni de I Promessi Sposi di Manzoni, forse molto seguite ma non so quanto apprezzate.
Temo che i lettori si debbano rassegnare: il film riproduce il libro, non l’idea che prende forma dentro ciascuno di noi.

Alessandra Distefano