“Scotland Forever”, queste due parole sono impresse sulla pelle di Sean Connery con un tatuaggio sin dagli anni giovanili. Un amore viscerale per la sua terra, la Scozia, come pure per la sua famiglia, che lo ha accompagnato lungo tutta la sua carriera nel cinema europeo e hollywoodiano.
Il 25 agosto Sean Connery compie 90 anni (classe 1930, originario di Edimburgo) e vogliamo ricordare i suoi tanti ruoli che lo hanno reso indimenticabile, a cominciare ovviamente dall’Agente 007, da quel James Bond creato da Ian Fleming e cui per primo ha dato il volto per ben sei film (sette, se si conta il discusso “Mai dire mai” del 1983).
Ma ridurre la grandezza e la versatilità di Connery solamente all’agente segreto al servizio di “Her Majesty” è abbastanza limitante. Tanti, infatti, sono i ruoli e i film che hanno marcato la sua carriera. Dall’algido uomo d’affari Mark Rutland in “Marnie” (1964) di Alfred Hitchcock al geniale fra Guglielmo da Baskerville nel “Nome della rosa” (1986) di Jean-Jacques Annaud, senza dimenticare certo il poliziotto irlandese Jimmy Malone in “The Untouchables” (1987) di Brian De Palma, che gli regala l’Oscar come non protagonista. Una galleria di ritratti iconici, sempre eleganti, fino allo scrittore riluttante William Forrester nel poetico “Scoprendo Forrester” (2000) firmato Gus Van Sant.
“Il mio nome è Bond. James Bond”
La descrizione che lo scrittore britannico Ian Fleming fa del suo agente segreto James Bond sembra calzare da subito a pennello all’attore Sean Connery, capace di condensare nel suo sguardo tensione, ironia, eleganza e fascinazione. Il primo romanzo della saga firmata da Fleming è “Casino Royale” del 1953, ma sullo schermo si inizia da uno dei successivi, “Doctor No”, che in Italia esce con il titolo “007. Licenza d’uccidere”. Siamo nel 1962 e in poco tempo il volto di Connery diventa popolare grazie al ruolo, esplodendo definitivamente con i successivi “Dalla Russia con amore” (1963), “Missione Goldfinger” (1964), “Thunderball: Operazione tuono” (1965) e “Si vive solo due volte” (1967).
Il suo esordio come attore risale alla fine degli anni ’50, con “Il bandito dell’Epiro” (1957) di Terence Young, regista che poi sarà al comando dei primi 007, e con il film Disney “Darby O’Gill e il re dei folletti” (1959) di Robert Stevenson. Ma tutto comincia da Bond e a Bond si deve gran parte della sua notorietà iniziale, che lo accompagna ancora oggi come il volto più celebre della saga. Dopo aver ricoperto il ruolo dell’agente segreto per oltre la metà degli anni ’60 Connery prova a smarcarsi dal personaggio (anche se ritorna per la sesta volta Bond nel 1971 con “Una cascata di diamanti”).
Il decennio ’60 regala, quindi, al divo scozzese collaborazioni con grandi autori, come con Hitchcock per “Marnie”, thriller psicologico con Tippi Hedren, studiato oggi in ambito accademico per il gioco di inquadrature e la costruzione narrativa (come del resto tutto il cinema di Hitchcock), e con Sidney Lumet, un sodalizio che parte da “La collina del disonore” (1965) e prosegue per altri quattro film tra cui il celebre “Assassinio sull’Orient Express” (1974). E sempre di questa prima fase della carriera di Sean Connery è l’incontro sulle scene con la nostra Gina Lollobrigida in “La donna di paglia” (1964) di Basil Dearden.
I favolosi anni ’80 e una pioggia di premi
Se gli anni ’70 sono un periodo di grande attività, come indicano i film “L’uomo che volle farsi re” (1975) di John Huston e “Robin e Marian” (1976) di Richard Lester con Audrey Hepburn, l’immagine di Sean Connery sembra ancora troppo segnata dall’ingombrante personaggio di Bond. Sono invece gli anni ’80 a schiudere definitivamente a Connery le porte della storia del cinema. In tale decennio, infatti, l’attore scozzese infila un successo dietro l’altro capace di unire riconoscimento di critica e pubblico. Dopo la partecipazione a “Highlander. L’ultimo immortale” (1986) di Russell Mulcahy con Christopher Lambert, è con “Il nome della rosa” (1986) di Annaud che Connery ottiene notevole seguito. La sua raffinata e puntuale interpretazione del frate francescano inglese Guglielmo da Baskerville, dal romanzo di Umberto Eco del 1980, gli vale il premio dell’accademia britannica Bafta.
Solamente un anno dopo mette a segno un altro film memorabile, “The Untouchables. Gli intoccabili” di De Palma, con cui divide la scena con Robert De Niro, Kevin Costner e Andy García. Per Connery significa finalmente la gloria a Hollywood, ottenendo nella stagione sia il Golden Globe che l’Oscar come attore non protagonista.
È, infine, del 1989 il bagno di pubblico con “Indiana Jones e l’ultima crociata”, terzo capitolo della saga ideata da George Lucas e diretta da Steven Spielberg. Lì Connery veste i panni dell’eccentrico ma acuto papà dell’archeologo esploratore Indiana Jones, ovvero Harrison Ford. Il film arriva sul podio dei migliori incassi hollywoodiani della stagione.
Gli anni della maturità e il ritiro dalle scene
L’ingresso negli anni ’90 è segnato da due ulteriori titoli di richiamo, il thriller “Caccia a Ottobre Rosso “ di John McTiernan e il film di spionaggio dalla penna di John le Carré “La casa Russia” di Fred Schepisi, dove divide la scena con Michelle Pfeiffer. A seguire, due opere in costume come “Robin Hood. Principe dei ladri” (1991) di Kevin Reynolds, dove interpreta Riccardo I d’Inghilterra, e “Il primo cavaliere” (1995) di Jerry Zucker, in cui veste i panni di re Artù. Seguono pellicole più pop, marcate sempre dalla matrice del thriller, come il fracassone “The Rock” (1996) di Michael Bay con Nicholas Cage e il più elegante “Entrapment” (1999) di Jon Amiel, film di spionaggio dove duetta con l’emergente Catherine Zeta Jones.
È del 2000 il film probabilmente più intenso e poetico di questi anni, “Scoprendo Forrester” di Gus Van Sant, in cui Connery sagoma lo scrittore William Forrester, che raggiunge giovanissimo la gloria del Pulitzer e poi scompare dalle scene preferendo l’anonimato, un po’ come J.D. Salinger. Il film trova grande intensità e spessore soprattutto per la prova di Connery, che regala al personaggio dell’intellettuale sull’ultima stagione della vita malinconia, tenerezza ma anche voglia di riscatto. Un’opera, a ben vedere, che si lascia leggere con un filo di emozione anche come testamento artistico… Di lì a breve, infatti, Sean Connery dirada le sue apparizioni e si ritira dalle scene.
In questi giorni, dunque, il grande Sean Connery soffia le sue 90 candeline e di fatto celebra i 60 anni di carriera, condotta sempre con stile personalissimo, elegante, marcato da sobrietà e coerenza, ma mai privo di empatia e di voglia di mettersi in gioco.
La sua firma davanti alla macchina da presa rimane quel suo sguardo così intenso, magnetico, acceso però ai bordi dall’ironia. È il caso di dire allora: “Il mio nome è Connery. Sean Connery”.
Massimo Giraldi e Sergio Perugini