Cinema / Realtà cruda e spunti di riflessione nel film “Ira” di Mauro Russo Rouge

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Dopo l’anteprima nazionale di ottobre a Napoli e l’avvio ufficiale della distribuzione nei primi giorni di novembre,  è stato proiettato al cinema King Multisala Cinestudio di Catania “Ira” l’ultima realizzazione del regista Mauro Russo Rouge prodotta da Mescalito film.
Un lungometraggio forte, originale, per certi versi claustrofobico per la presenza ossessiva della telecamera che, con le sue inquadrature molto strette, pare abbia voluto schiacciare i protagonisti ed emergere essa stessa quale vera protagonista dell’opera. E ci è riuscita molto bene attraverso una continua ricerca di espressioni che trasmettano sensazioni ed emozioni, la telecamera arriva, infatti, a cogliere, in qualsiasi momento, i dettagli più impensabili.
E questa è la vera forza del film: uno stile registico inusuale per il cinema italiano che rende tutto più veloce e meno costruito; un linguaggio poco presente forse nei precedenti film di Russo Rouge in cui è stata messa in opera una regia più classica e convenzionale. Questa volta, invece il regista ha voluto richiamare l’attenzione partecipe degli spettatori attraverso una narrazione che appare in divenire; prediligendo un realismo quasi documentaristico, frutto del pedinamento opprimente dei due attori da parte della telecamera, gli eventi sembrano materializzarsi sotto gli occhi degli spettatori, esattamente lì ed in quello stesso momento, spesso chiusi dalle inquadrature in modo da essere estraniati dallo stesso contesto in cui vengono vissuti. Questo provoca nello spettatore reazioni inattese che a volte fa fatica a seguirlo, altre, invece, si sente totalmente catturato ed il suo coinvolgimento emotivo è inevitabile.
Il regista è riuscito così a far emergere chiaramente la sua necessità di rappresentare la realtà nuda e cruda per denunciare una condizione giovanile di disagio e di incapacità nel realizzare le proprie aspirazioni, e non perché non abbiano sogni, queste generazioni, ma perché rinunciano a lottare già in partenza, scoraggiati dal muro dell’indifferenza e del degrado.
Grandi protagonisti di questo film sono sicuramente anche la fotografia che, come il montaggio, è stata curata dallo stesso regista, ed il suono. Mauro ha lasciato che l’illuminazione diegetica interagisse con i protagonisti creando forme e contenuti; in questo modo, anche la città ripresa di notte, verosimilmente quella di Torino, è diventata interprete delineando, con la sua desolazione, l’aridità ed il vuoto delle anime che vagano in essa come fantasmi, rassegnate e sconfortate, finché non avviene qualcosa  che offre loro un’opportunità di riscatto: in questo caso “l’incontro”. I suoni metallici delle industrie, inoltre, riescono ad enfatizzare il malessere dei protagonisti; il risultato finale è un ambiente onnipresente ma non invasivo che prova ad animare il contesto parecchio deprimente ed evitare che lo spettatore patisca la difficoltà di comunicare dei protagonisti.
Il finale, apparentemente indifferente davanti al peccato ed alla colpa, ci induce ad una domanda: può la sofferenza condurre all’indifferenza? Al pubblico la risposta e la possibilità di cogliere molti spunti di riflessione inerenti diversi fatti di cronaca attuali nonchè sulla possibilità che l’amore e la speranza possano realmente migliorare l’essere umano.

 Cristiana Zingarino

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