Dovranno rispettare le leggi e i contratti di lavoro. Garantire la crescita professionale di ogni collaboratore e salvaguardarne la sicurezza sul posto di lavoro. Segnalare abusi e pressioni da parte di organizzazioni mafiose e impegnarsi a diffondere la cultura della legalità. Se pagano il pizzo, verranno automaticamente estromessi da Confartigianato. Sono queste, in estrema sintesi, le norme contenute nel Codice etico elaborato e presentato nei giorni scorsi a Palermo da Confartigianato Imprese Sicilia.
L’etica, vero “faro” per le persone che gestiscono le imprese. “Il Codice – spiega al SIR Cesare Fumagalli, segretario generale di Confartigianato – parte dalla Sicilia non per caso ma perché si tratta di una situazione territorialmente tra le più difficili: l’iperproduzione normativa, abbinata una macchina burocratica elefantiaca e ipertrofica, e a sistemi di controllo invasivi e sovrapposti, crea un mix deleterio che porta facilmente alla corruzione”. Secondo Fumagalli, il Codice sarà “un faro per le piccole imprese, per chi è più esposto e ha poco potere contrattuale: ne abbiamo seguito con discrezione la maturazione, dal basso, perché non fosse un fiore nel deserto ma un frutto nato sulla scorta di tante esperienze di piccoli imprenditori. L’aspetto chiave è quello della responsabilità personale: per noi la persona coincide con l’impresa, e siccome ad essere esposte, poi, sono proprio le persone, abbiamo pensato all’elaborazione di un Codice che le tutelasse”. Ma basteranno alcune regole codificate per creare un sistema di imprese “sane”? “È una condizione necessaria ma non sufficiente – risponde Fumagalli –. Servono cambiamenti sul fronte del credito e della sua accessibilità, altrimenti tutte le campagne contro l’usura saranno inutili. I tempi, però, sono maturi: in Sicilia si respira la voglia di sconfiggere questo modo marcio di fare impresa. C’è voglia di tornare alle regole. Certo, il Codice non ribalterà le condizioni attuali della Sicilia, ma creerà un punto di leva per risollevarla”.
Le imprese etiche saranno al servizio del bene comune. “A fare la differenza sono le persone e quindi, in questo caso, gli imprenditori”, sostiene il delegato regionale per la pastorale sociale e del lavoro, Salvatore Giugno. “Chi è educato al rispetto delle regole e dei princìpi, applicherà spontaneamente l’etica al proprio lavoro. Certo, con una pressione fiscale del 43% circa e un sistema produttivo arretrato e poco concorrenziale, si rischia la mancata applicazione concreta del Codice etico”. Sulla maturità dei tempi, però, Giugno è ottimista: “Le imprese sane possono nascere: ne sono una prova le cooperative sociali sorte per la gestione dei fondi confiscati alla mafia. Noi, come Chiesa, dobbiamo contribuire alla formazione delle coscienze verso una cultura imprenditoriale improntata alla legalità, per il raggiungimento del bene comune”.
La legalità, beneficio concreto per tutti gli imprenditori. “Molto contento di questo scatto in avanti” si è detto Umberto Di Maggio, referente regionale di “Libera”, definendo il Codice come il “segno della continuità con il lavoro di chi in questi anni si è speso in questo senso. Ancora una volta, è il potere dei segni a schierarsi contro i segni del potere. Non sempre gli esercenti o gli imprenditori hanno questa scarica romantica della mobilitazione e della voglia assoluta di partigianeria: è importante che un’associazione di categoria dia un segnale così forte”. Se “protocolli di legalità ce ne sono a fiumi”, tra “il professare e il praticare”, dice Di Maggio, “ci sono la responsabilità e l’impegno pedagogico: la legalità non è una bandiera da sventolare oggi e ammainare domani”. È fondamentale, per Di Maggio “la battaglia contro la corruzione: la legalità dev’essere percepita come un beneficio, qual è. Per fortuna c’è tutta una nuova generazione di imprenditori dotati di una cultura fatta di prassi e di un approccio politico diverso, che sta diventando maggioritaria, resiste col coltello tra i denti alle difficoltà del mercato globale, indica la via e la strada ai vecchi dirigenti che restano sul mercato. Dev’essere viva, tra chi applica il Codice, la coscienza che non si tratta di una battaglia fatta solo di simboli, ma soprattutto di concretezza. Se gli imprenditori capiranno ciò, la strada sarà spianata, ma – conclude – se i benefici della legalità non verranno percepiti come palpabili, allora sarà dura”.
a cura di Lorena Leonardi (SIR)