Nella notte scorsa un nutrito gruppo di militari ha tentato un colpo di Stato in Turchia. Le truppe ribelli erano riuscite a occupare la Tv di Stato, a presidiare alcuni luoghi strategici e a chiudere gli aeroporti. Ma non è durato molto. Il presidente Erdogan, che in un primo momento era stato dato in partenza dal Paese, ha reagito con decisione, mentre le Cancellerie di tutto il mondo assistevano attonite all’evolversid egli eventi e, prudentemente, non esprimevano giudizio alcuno. «Le nostre forze useranno la forza contro la forza», avrebbe detto, da parte sua, il premier turco, Binali Yildirim.
C’è stato qualche bombardamento e scontri a fuoco tra le forze ribelli e quelle lealiste. La svolta s’è avuta quando la popolazione ha accolto l’invito di Erdogan e, in massa, è scesa in strada. Il presidente. che pure ha operato una stretta pesante nei confronti della stampa e, in particolare, dell’uso dei social media, ha utilizzato proprio questi ultimi per lanciare i suoi appelli.
Così, di primo mattino, era quasi tutto finito, con i comandanti delle forze che si erano sollevate contro il potere costituito che si arrendevano e si consegnavano uno dopo l’altro. Così Erdogan ha vinto quest’altra durissima prova e, subito dopo, è passato al contrattacco, lanciando una vasta operazione di arresti: nella prima metà della giornata erano in carcere circa tremila militari, tra i quali decine di alti ufficiali. E non sarebbe finita qui: si ipotizza il ritorno alla pena di morte per quelli che vengono chiamati apertamente traditori.
Il fallito colpo di Stato, comunque, pone interrogativi inquietanti e ulteriori problemi all’Europa, alla Nato e a tutte le potenze internazionali, impegnate nella difficilissima lotta al terrorismo.
Maria Pia Risa