“Cerchiamo la magia, cerchiamo quello che della musica si fa davvero poco”. Con queste parole Angelo Branduardi ha delineato le caratteristiche della sua esibizione di lunedì scorso, primo agosto, a Zafferana Etnea.
Inserita all’interno della rassegna “Ai piedi dell’Etna” e organizzata dalla cooperativa Olimpo in collaborazione con il Comune, la serata all’anfiteatro Falcone e Borsellino ha fatto parte del tour Camminando camminando in due di Branduardi.
Branduardi-Valdemarin cammino a due
Ad affiancare l’artista, infatti, nelle due ore di performance Fabio Valdemarin. Gli strumenti musicali sono stati loro compagni e ne hanno scandito il concerto. Sul palco due postazioni ben definite da tappeti e posti a sedere per ciascuno. Si è trattato di un percorso storico-artistico tra le tradizioni popolari, ma anche culturali, che è andato molto indietro nel tempo.
Dall’anno mille alle melodie veneziane, inglesi, irlandesi, celtiche, fino a sfiorare le “più moderne”, fra cui la nota Alla fiera dell’est. Ogni momento canoro è stato ben presentato al pubblico da Branduardi, tra poche luci soffuse.
“La parte spirituale e onirica deve prevalere su tutte” ha affermato il cantautore, anticipando subito le peculiarità della serata. Con i brani della collana Futuro antico, ha dichiarato la sua adesione alla musica antica e ne ha spiegato la motivazione. “È un tentativo di fare un passo indietro per farne due in avanti”. Come dire “si parte dal passato per poter abbracciare il futuro”. Ne ha dato prova con Il violinista di Dooney. Le parole del testo risuonavano nell’aria: “Vengono a ballare come le onde del mare”.
Ha richiamato Mozart per la genesi della canzone Cara Nina. La melodia veneziana era stata ascoltata dal compositore austriaco che poi l’aveva fatta sua. Valdemarin accompagnava Branduardi alla tastiera. I due sono passati dal proporre canzoni di un amore infelice in inglese antico a quelle più allegre, per scuotere gli animi del pubblico.
Branduardi canta e suona il violino per l’esecuzione di Si dolce è il tormento, brano di Claudio Monteverdi. Poi cambia strumento, si avvale della chitarra. Non si sposta molto dalla sua postazione. Non serve. Tiene desta l’attenzione con le sue parole, necessario preambolo per i brani. Coinvolge nelle varie discussioni culturali.
Branduardi-Valdemarin, la magia continua…
La canzone di Aengus, il vagabondo, sulla poesia di William Butler Yeats, rappresenta la tradizione celtica. I suoi versi trasportano lontano: “Le mele d’argento della luna, le mele d’oro del sole”. Segue una tappa nella storia più recente con Primo aprile 1965.
Branduardi ha musicato l’ultima lettera di Che Guevara per i genitori. Per l’occasione Valdemarin suona la fisarmonica.È la volta delle ballate popolari, Barbrie Allen e Rosa di Galilea. Ancora la fisarmonica di Valdemarin. Per Lord Franklin lo strumento è la tastiera. Il brano ricorda la ricerca del passaggio a Nord-Ovest con la nave.
Le diverse musiche prodotte dai vari strumenti generano tonalità specifiche, ognuna con le proprie caratteristiche. Ascoltate tutte insieme nell’arco delle serata ricordano la “vastità” del mondo delle note. Branduardi ne ha dato un’ampia dimostrazione e spiegazione al tempo stesso. Ha accompagnato lo spettatore lungo un excursus storico di cui ne ha delineato i caratteri per renderli comprensibili.
Lascia per ultimi alcuni brani particolari, molto attesi dal pubblico. Con Alla fiera dell’est fa un omaggio all’Ucraina, intonandone l’inizio in lingua. Questa e La pulce d’acqua sono condivise con i presenti. Si cantano in piacevolezza. Vanità di Vanità chiude il concerto. Quasi un messaggio alla riflessione.
Rita Messina