Si rincorrono da giorni le voci di una possibile resa di Google nei confronti dell’antitrust europea: Mountain View ha presentato un pacchetto d’impegni all’Autorità per la concorrenza della Ue per evitare la condanna nel procedimento che si trascina ormai dal 2010. La soluzione, però, non sembra così semplice, i concorrenti sono già sul piede di guerra e chiedono alla Commissione di tirare dritta verso la condanna.
È il 2010 quando, a seguito di una serie di segnalazioni di quattro piccoli concorrenti (insieme coprono circa il 5% del traffico non detenuto da Google), l’Antitrust europea decide di avviare un’indagine. A chiederlo a gran forza sono Foundem, sito britannico specializzato nella comparazione dei prezzi, e l’omologo francese Twenga, il sito ejustice.fr e Fairsearch, una coalizione che raccoglie, fra gli altri, Expedia e Microsoft. L’oggetto della segnalazione sono le policy di gestione dei risultati del motore di ricerca e il connesso advertising: secondo l’accusa Google utilizza dei filtri per penalizzare alcuni risultati di ricerca, mettendoli troppo in basso in pagina o rimuovendoli del tutto. Dopo due anni d’indagine, nel maggio 2012 il Commissario Ue alla Concorrenza Joaquin Almunia invia a Mountain View una lettera nella quale chiede di chiarire tre aspetti ritenuti “delicati”. La Commissione vuole sapere se Google sfrutta i contenuti prodotti da altri siti per farli propri. Inoltre, se vengono commesse discriminazioni tra i propri servizi di ricerca verticale, quelli cioè specializzati in trend specifici, rispetto a quelli di ricerca generica o in diretta concorrenza. Il terzo aspetto critico sono le policy adottate da BigG per la gestione della pubblicità. Google, con una lettera a firma di Eric Schmidt, risponde ad Almunia e accetta così l’avvio di una negoziazione.
I negoziati, però, procedono a rilento. A dicembre dello stesso anno, dopo aver respinto una proposta di Google su un sistema di etichette da apporre sui risultati delle ricerche, Almunia inizia l’escalation e dichiara di aspettarsi “che Google rediga un dettagliato testo d’impegni entro gennaio”; a gennaio spiega al Financial Times che “Google ricava profitti da questo tipo di attività per la posizione di forza che ha nel mercato globale delle ricerche online, non si tratta soltanto di una posizione dominante. Credo (ho paura) che sia un vero e proprio abuso di posizione dominante”.
Dopo tre mesi di silenzio, Google ha presentato degli impegni veri e propri alla Commissione europea. Al momento il contenuto della proposta è ancora riservato, ma il “Wall Street Journal” e il “Financial Times” hanno rivelato che tra i possibili impegni vi sono quello di aggiungere, nei risultati delle ricerche, almeno tre link ai propri concorrenti; quello di rendere più facilmente distinguibili i servizi consigliati e forniti da Google da quelli che non lo sono; l’apertura all’acquisto di pubblicità su più di una piattaforma e l’eliminazione del 10% dei suoi contenuti dai risultati di ricerche verticali. Nelle prossime settimane la Commissione sentirà tutti gli attori del mercato sugli impegni proposti, ma la strada per Google si prospetta tutta in salita. I concorrenti hanno già fatto partire un fuoco di sbarramento etichettando come inutili le proposte avanzate: “Una modifica nel sistema di etichettatura rappresenterebbe un sonoro fallimento per la Commissione europea dopo un’indagine molto lunga”, ha dichiarato David Wood, consulente dell’associazione Initiative for a Competitive Online Marketplace (tra i suoi tra i suoi membri anche Microsoft), al “Financial Times”.
Antonio Rita