E’ noto ai più nella comunità locale, e ciò mio malgrado, il recente matrimonio di mia figlia. Non il banale luogo comune, sono certo mi crediate: uno dei giorni più felici della mia vita. Al punto che tanti hanno poi dichiarato di avermi visto raramente così gioioso. Naturale! Vissuto con pari gioia dai familiari ed ancor più da lei e lo sposo.
Sensazioni e suggestioni per tutti, cosi straripanti da rendersi ben visibili in fotografie divenute ormai virali nel web.
A tali sentimenti si aggiunge ora un mio bel sospiro di sollievo per… esser giunto in tempo! In tempo per cosa, vi chiederete? Ma per accompagnarla fino all’altare; yes, just in time! Non alludo ovviamente al rischio di una mia dimenticanza o di un mio ritardo. A ben altro. Sì perché, per quanto possa sembra incredibile, al limite della celia, un momento così significativo del rito matrimoniale potrebbe essere presto disputato e persino accantonato.
Sì, avete ben compreso. Niente più accompagnamento del padre alla figlia, sino all’altare. Si inizia già a propugnare la rinuncia a ciò che è inteso come un vano fardello del passato. Amareggia alquanto dover rilevare che la querelle sia stata innescata da sedicenti cristiani. Che pure per quest’ultima trovata, ma non solo, si profilano sempre più lontani dal Cristo.
Si vorrebbe vietare che il padre accompagni la figlia all’altare
Si tratta di due pastori (ma forse per non esser troppo patriarcali dovremmo dire pastore?) della chiesa luterana svedese, Jasper Eneroth e Sara Waldenfors, costei pure esponente socialdemocratica. Esse, per bloccare sul nascere la diffusione di una ritualità ritenuta un po’ troppo mediterranea e non coerente con la società scandinava, l’accompagnamento cioè, della sposa all’altare da parte del padre, hanno avanzato la proposta di vietarla.
Per il motivo che questa tradizione nuziale denoterebbe una scelta di natura patriarcale.
La proposta non ha trovato consensi unanimi, annoverandosi invece pure in loco dei fautori della sua diffusione. E in fondo gli svedesi facciano pure come meglio credono.
Sono altre le implicazioni che suggeriscono di soffermarsi e interrogarsi.
In primis il rilievo dato alla vicenda da alcuni media italiani che ipotizzano, ma cosi in realtà artatamente sollecitano, che tale polemica possa presto montare pure nel nostro paese.
Posto che questa ritualità, per quanto coerente col senso cristiano del matrimonio, non sia imposta dal canone, ciò che disturba, e inquieta, è che si definisca un retaggio patriarcale. Epiteto ormai abusato in modo inappropriato, se non improvvido. Fino a scomodarlo come movente di femminicidi. Il tema vero è ben più profondo, per quanto sfuggente; persino sfumato nei suoi esatti termini. Perciò merita attenta riflessione; almeno per due profili avvolgenti come cornici concentriche. Sì che dall’esterna all’interna, si giunga poi al punto.
Marginalizzare la figura del padre…
La prima evidenza a balzare agli occhi è l’astuta strategia di alcuni maitre a penser, nell’enfatizzare delle vicende avulse dal nostro contesto, prefigurandolo come loro futuro possibile scenario. Sì che, piuttosto che dar conto di fenomeni in atto, in realtà li si induce. Illazioni che si autorealizzano. L’intento sotteso è erodere elementi della nostra fede, pur se aspetti esteriori e non strettamente canonici; ma forse proprio perciò, di immediata rilevanza mediatica.
Divelta la cornice esterna, si accede all’interna! Che si manifesta nel disegno, dispiegato su più fronti, di configurare come vetusto l’istituto della paternità, definendolo patriarcale.
In tal ottica, cosa di meglio che iniziare a smitizzare, per poi bandire, dei riti tradizionali centrati sulla figura paterna, la cui valenza più profonda, consolidata nei secoli, si riveste pure di una significanza religiosa. Non sorprenda che qui l’ordito promana da due donne ministri di una chiesa protestante.
Ma i cristiani sanno che per discendenza dal padre Abramo, peraltro condivisa da altre fedi monoteiste, l’archè del loro essere comunità in cammino è patriarcale. Accezione che non può assumere connotazioni anacronistiche, se la si consideri in una prospettiva di paternità spirituale. Rispetto alla quale, uomini o donne che sia, si è tutti identicamente figli.
Dischiusa la seconda cornice, si svela così il punto focale: marginalizzare la figura del padre. A esser franchi, processo già in atto in vari ambiti e che impone di essere desti e coerenti. Non si vuol certo qui rivendicare una quale priorità della figura paterna rispetto alla materna; ma piuttosto perorare una costante vigilanza per il rischio che tale trend possa radicarsi con il primo step di una dinamica voluta per essere poi traslata dal padre… al Padre. Attraverso la progressiva erosione di elementi simbolici della paternità terrena, così tendere poi alla definitiva elusione di quelli ontologici della Paternità Divina. Rimossi i quali, resta… il nulla!
In definitiva; padre della sposa o patriarca della figlia? Non è necessario rivedere per l’ennesima volta l’intramontabile pellicola con Spencer Tracy… per avere la risposta esatta.
Giuseppe Longo