Sono in pieno svolgimento le festività natalizie, ma questo sarà di nuovo a Gaza un Natale all’insegna del sangue, della violenza e della guerra. Sembra inverosimile che la più significativa festività dell’anno – che dovrebbe unire tutti in un momento di riflessione, conforto e speranza – a Gaza non possa produrre neppure una pausa dai combattimenti.
Sembra assurdo che la violenza cieca, spropositata, sproporzionata e dunque orrenda e senza respiro, debba infierire anche nella festività dell’anno più ricca di significati spirituali. Che non possa sospendere l’orrenda barbarie di un conflitto illegale ed ingiustificato, al di fuori di ogni regola e contro ogni possibile richiamo ed ammonimento umanitario.
Sembra proprio che a Gaza, almeno stando ai risultati del conflitto, “l’abisso del male non debba aver mai fine”. Proprio come implorava, con parole commosse, S. Giovanni Paolo II per altri conflitti allora innescati.
La Procura dell’Aja può fermare il conflitto?
La domanda allora che continua a colpire il cuore di ciascun uomo razionale è dunque sempre la solita: quale speranza per il popolo Palestinese? Quando finiranno l’inferno e la tragedia di Gaza? Un grande Leader – che più di qualunque altro Capo di Nazione del ‘900 si trovò in prima linea nella difesa della pace nel Mondo – affermò: “Assicuriamoci che gli strumenti della pace superino in efficacia quelli della guerra”. (John Kennedy, orazione alle Nazioni Unite, Palazzo di Vetro, New York, Settembre 1963).
La Procura dell’Aja può fermare il conflitto? Non è affatto un’ iniziativa da sottovalutare, ma anzi finalmente essa testimonia la reazione della comunità civile che vuole dimostrare di essere a fianco del popolo Palestinese, non a parole ma con fatti concludenti.
Le richieste della Procura della Corte Penale Internazionale: i due mandati d’arresto per Netanyahu e Gallant
Come la stella cometa che brillò sopra la stalla di Betlemme, una luce s’è dunque accesa finalmente vicino al conflitto a Gaza. Il Procuratore Capo della Corte Penale Internazionale, Karim Ahmad Khan ha ottenuto dai giudici per le indagini preliminari della CPI dell’Aja la convalida delle due richieste di arresto emesse contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ed il suo ex ministro della Difesa Yoav Gallant. I reati internazionali contestati ai due uomini politici riguardano crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Sotto quest’ultimo titolo, secondo la Convenzione ONU del 1948, resta compreso anche il genocidio.
I due profili: crimini di guerra e crimini contro l’umanità
I due profili sono stati ampiamente riportati dai vari organi di Stampa: dunque non entreremo nello specifico. Basta ricordare che fra i crimini di guerra rientrano tutte le difficoltà frapposte al popolo Palestinese a Gaza nei rifornimenti in generale, quali viveri di prima necessità, medicinali, acqua potabile, e tutto ciò di cui si ha bisogno per una vita normale. Nei crimini contro l’umanità rientra, invece, più propriamente il carattere profondamente disumano, bestiale e fuori da ogni regola della guerra israeliana a Gaza. I crimini che la Corte addebita ai due imputati rientrano pienamente tra i compiti dello Statuto di Roma, istitutivo della Corte Penale Internazionale del 1998, reso esecutivo a partire dal 2002.
La reazione israeliana senza fondamento
Le reazioni israeliane ai due mandati d’arresto non si sono fatte attendere. Ma per quanto dure e rabbiose, esse alla resa dei conti risultano solo pretestuose e soprattutto prive di fondamento. Israele in sostanza contesta la legittimità dei due mandati di cattura motivando il suo convincimento sul fatto di non aver sottoscritto il Trattato di Roma, circostanza che non dovrebbe rendere, secondo Tel Aviv, i suoi uomini politici indagati, soggetti ai poteri della CPI.
Senonché, a smentire questa ricostruzione giuridica resta il fatto che la CPI ha piena autorità su Tel Aviv. Anche nel caso in cui, com’è quello che qui ci occupa, di mancata adesione allo Statuto di Roma. Per il semplice fatto che i crimini di guerra e contro l’umanità rientrano ormai nel diritto internazionale consuetudinario, quello che anticamente era definito come ius gentium. Costituendo dunque norme inderogabili, anche in virtù della natura in sé di diritto pubblico delle norme stesse. Esse, dunque, si applicano a tutti (erga omnes). Per i due capi di imputazione, nessun capo di Stato o di Governo può godere dunque di alcuna forma d’immunità.
La ricerca delle prove
La ricerca delle prove è stata interessante ed imponente. Sussistono infatti prove testimoniali, prove documentali video ed audio, foto ed immagini satellitari. Ciò è avvenuto, nonostante a Gaza i giornalisti palestinesi siano stati intimoriti ed uccisi per impedire la loro presenza testimoniale. Mentre gli altri giornalisti esteri sono stati interdetti dal fare ingresso nella Striscia di Gaza.
I talloni d’Achille della CPI
La Corte non può più processare in contumacia i due inquisiti. Neppure può, purtroppo, disporre della forza pubblica autonoma alle sue dipendenze per sottoporre a misura cautelare d’ufficio i due inquisiti. L’unica possibilità dell’esecuzione del mandato di cattura risiede al momento soltanto nel fatto che i sottoposti ad indagine si trovino in visita presso uno dei 124 Stati aderenti al Trattato di Roma. In quel caso, l’arresto sarebbe immediatamente eseguibile. Si è trattato dunque di una inchiesta imponente. Condotta fin dal 7 ottobre 2023, cioè dal massacro che Hamas ha perpetrato contro la popolazione civile ebraica, per continuare fino a tutto il 20 maggio 2024. Ma anche di una indagine condotta con serietà e rigore assoluti. La Corte non si è lasciata coinvolgere in polemiche né intimidazioni: è andata avanti, come la necessità dettava di fare.
Scenario infernale a Gaza
L’orrore a Gaza è stato ampiamente testimoniato dall’associazione Medici senza frontiere, là operante per le necessità della spietata e disumana crudeltà del conflitto. I medici che ne fanno parte sono in prima linea negli ospedali per la cura dei feriti. Hanno spiegato la spietatezza del conflitto contro i civili a Gaza. Malnutrizione e malattie all’ordine del giorno, e collegate insieme con le infezioni. È stato smentito che Hamas si serva degli ospedali per nascondere i propri guerriglieri. Hanno testimoniato il fanatismo che genera la ferocia sistematica.
Se Israele deve all’ONU la sua esistenza, perché dovrebbe negare che altri popoli confinanti ricevano analoga legittimità all’esistenza dalla stessa ONU? Tel Aviv agisce col diritto del più forte contro il più debole, cioè il popolo Palestinese. La Corte ha dunque raccolto una impressionante mole di indizi (decine e decine di testimonianze). Bisognerà attendere il processo e la conferma o meno di tutti i fatti contestati.
Conclusioni
Gli Israeliani, al momento, sembrano far quadrato per difendere il loro Esecutivo. Al primo posto c’è la guerra e manca la sensibilità – in apparenza – verso le indicibili sofferenze che sta sopportando il popolo Palestinese. Tuttavia, Netanyahu è un leader dimezzato.
Qualora il Paese venisse sottoposto a pesanti sanzioni economiche, quello potrebbe essere la svolta del conflitto: il “semplice” ritiro di Netanyahu non garantirebbe al Paese la cessazione delle sanzioni. In quel caso, la consegna di un leader dimezzato all’Aja potrebbe essere l’unica via d’uscita ragionevole per tutti. E per far cessare le sofferenze indicibili e la guerra.
Due prospettazioni: a) la prima possibilità è quella che le sanzioni economiche ed il blocco commerciale contro Tel Aviv siano votate ed approvate dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Ciò implicherebbe che la delibera dovesse passare senza l’esercizio di veto da parte di alcuno; b) nel caso in cui non sia possibile esplorare la prima possibilità, cioè quella delle sanzioni messe in atto dalle Nazioni Unite, resterebbe aperta la seconda alternativa.
Sanzioni economiche contro Israele
Quale sarebbe quest’ultima? L’esplorazione della possibilità che tutti i Paesi aderenti, accomunati ed uniti nel Trattato di Roma del 1998, decidano tutti insieme di procedere ad irrogare le sanzioni economiche contro Israele.
E’ fuor di dubbio che la comunità internazionale nel suo insieme, debba correre in soccorso del popolo Palestinese in un modo o nell’altro. La violenza cieca ed indiscriminata verso queste persone indifese deve cessare. Questa possibilità deve diventare un imperativo categorico e, come tale, deve far parte dell’agenda politica del secondo mandato presidenziale di Donald Trump. Cioè, di un presidente degli Stati Uniti che ha già dimostrato nel corso del primo periodo di carica, di essere sensibile e disponibile verso le sofferenze dei poveri e degli indifesi.
Sebastiano Catalano
Giovanna Fortunato