La causa scatenante una proposta di riforma elettorale che, condizionando il prossimo voto presidenziale allo svolgimento di un censimento, avrebbe permesso al presidente della Repubblica, Joseph Kabila, di restare in carica oltre la scadenza naturale del suo mandato. L’analisi di padre Joseph Mumbere, superiore provinciale dei missionari comboniani.
“I partiti d’opposizione hanno convocato le manifestazioni, ma chi ha dato più forza alle proteste sono gli studenti, sia qui a Kinshasa che a Goma e a Bukavu”. Dalla capitale della Repubblica Democratica del Congo, padre Joseph Mumbere, superiore provinciale dei missionari comboniani, torna sui tre giorni di proteste che hanno attraversato la città tra il 19 e il 21 gennaio, estendendosi poi all’Est del Paese. Disordini che hanno fatto 12 morti, secondo il governo, 42 per alcune organizzazioni non governative locali e per l’opposizione. A innescare le dimostrazioni di piazza una proposta di riforma elettorale che, condizionando il prossimo voto presidenziale allo svolgimento di un censimento, avrebbe permesso al presidente della repubblica Joseph Kabila di restare in carica oltre la scadenza naturale del suo mandato, nel 2016. L’approvazione della norma è poi stata bloccata.
Sopravvivenza difficile. Se la causa occasionale è stata politica, però, le ragioni profonde del malcontento sono anche altre. A dimostrarlo è proprio il ruolo degli studenti: “Sono loro i più informati – continua il religioso – quelli che seguono ciò che accade all’estero e in particolare per loro sono stati un modello gli avvenimenti del Burkina Faso” dove a fine ottobre Blaise Compaoré, “uomo forte” del Paese per oltre 27 anni, ha dovuto lasciare il potere per la pressione della piazza. Una piazza che chiedeva, oltre che democrazia, anche migliori condizioni sociali anche per chi non facesse parte della cerchia ristretta del regime. “Qui se possibile la situazione è ancora peggiore, ormai ci si limita a sopravvivere, la gente è stanca e chiede cambiamenti e gli studenti in realtà domandano quello che tutti vorrebbero”, testimonia p. Mumbere. Un esempio emblematico è proprio Kinshasa: la capitale congolese vedrà la sua popolazione crescere dagli 8,7 milioni del 2010 ai previsti 12,7 del 2020, ma lo stesso non si potrà dire delle opportunità economiche. Molte attività economiche restano monopolio del “settore informale”, l’economia sommersa che permette quella sopravvivenza citata dal missionario comboniano: è così, nel 90% dei casi, nei settori del trasporto pubblico, della raccolta dei rifiuti, delle riparazioni meccaniche, dell’edilizia e del commercio. Anche chi un impiego ufficialmente ce l’ha, però, non sempre è in una situazione migliore: “Molti di quelli che lavorano per lo Stato restano senza ricevere il salario per mesi e mesi – nota il sacerdote – nonostante le autorità parlino sempre di una crescita economica e degli indici di sviluppo”. Che il prodotto interno lordo aumenti, fermandosi ai grandi numeri, non può essere messo in dubbio: nel 2013 gli autori dell’African economic outlook (Aeo) avevano registrato una crescita dell’8,1%. Tuttavia, avevano avvertito, “la sfida più grande è di assicurare che l’economia contribuisca allo sviluppo umano” di un Paese dove “il mercato del lavoro resta ristretto, la malnutrizione è una delle principali cause di morte, molti bambini restano fuori dal sistema educativo”.
Il monito della Chiesa. In questo contesto, la voce della Chiesa è da anni una presenza costante nel richiamare chi è al potere alle proprie responsabilità. “Smettete di uccidere il vostro popolo!” è stato l’esplicito appello del cardinale arcivescovo di Kinshasa, Laurent Monsengwo Pasinya, alle autorità nei giorni della protesta. Scrivendo da una capitale “in uno stato d’assedio incomprensibile”, dove, notava, “alcuni uomini politici, con le forze dell’ordine, seminano desolazione e creano l’insicurezza generale”, il porporato invitava la popolazione a “restare vigilante, per opporsi con tutti i mezzi legali e pacifici a ogni tentativo di modifica delle leggi essenziali al processo elettorale”. Ed è da tempo, ricorda anche p. Mumbere, che vescovi e religiosi si sono schierati “contro ogni tentativo di cambiare la Costituzione e le regole” che impongono al presidente – al potere dal 2001 – di ritirarsi nel 2016. Questa presa di posizione, secondo il missionario, riflette anche una preoccupazione che nel Paese è palpabile. “La gente sembra veramente pronta a tutto se non verrà ascoltata – dice – e tra gli studenti si sente dire anche che sono pronti a morire per il cambiamento”. Prese di posizione radicali che – conclude il comboniano – sono solo l’ultima conseguenza di “condizioni sociali difficili e una stanchezza per la situazione attuale”.
Davide Maggiore