Morte Attanasio / Quella pessima tentazione di isolarsi

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Luca Attanasio morte tentazione

La tragica morte dell’ambasciatore Luca Attanasio ha riesumato in molti commentatori una vecchia, pessima tentazione: quella di isolarsi. Si tratta di un noto interrogativo duro a morire, condiviso da molti, troppi italiani: che ci facciamo in territori così lontani e ostili? Puntuale, come sempre, assieme al cordoglio arriva una delle sue peggiori manifestazioni: il desiderio di abbandonare la nave, ritirandosi con le scialuppe nei propri porti. Possibilmente chiusi. Le domande sulla morte dell’ambasciatore Attanasio, giuste e inevitabili, si traducono facilmente in un quesito esistenziale, e politicamente trasversale.

“Perché siamo ancora lì?”

In assenza di un colpevole, giacché è impossibile trovarne uno nella regione del Nord Kivu, puntiamo il dito su noi stessi. Credendo di sprecare risorse in un mondo da cui invece siamo già in rapida ritirata. E illudendoci che il provincialismo possa salvarci dall’alta marea incombente. Nella celata e autoassolutoria convinzione che il resto del mondo non ci riguardi. Del resto la tentazione è facile: un Paese come la Repubblica Democratica del Congo (RDC) è l’emblema di ciò da cui vorremmo distogliere lo sguardo: povertà, corruzione, una guerra ininterrotta, una combinazione etnica intricata ed esplosiva, persino una certa distanza geografica che rassicura le nostre coscienze.

Un caso senza speranza: allora perché impegnarsi?

La domanda, pur nella frequente ignoranza di chi la formula, è comunque seria e merita risposta. Tralasciando l’importanza strategica della RDC e in particolare della regione dove Attanasio è stato ucciso, la più ricca di risorse e – non a caso – quella dove lo Stato e le sue leggi sono meno presenti. Tralasciando anche il fatto che le rappresentanze diplomatiche sono il presidio minimo indispensabile che un Paese deve garantire per poter difendere i suoi cittadini e interessi. Potremmo ridurre tutto a una semplice risposta, banale almeno quanto la domanda stessa: siamo lì proprio per non chiuderci nel nostro cortile di casa.

Morte Attanasio: quella pessima tentazione di isolarsi

Per ricordarci che il mondo non finisce con il Canale di Sicilia, né certamente con gli Erasmus dei nostri figli o amici nella placida Europa. Il mondo vive quotidianamente una guerra che non conosciamo ma di cui siamo una delle parti responsabili (e basta poca informazione per capirne le ragioni): il minimo che possiamo fare è aprire gli occhi e sostenere chi ci ricorda di farlo. Smettendo di storcere il naso di fronte a qualsiasi cosa che non capiamo, o peggio di sentirci costretti a commentare tutto con messaggi a vanvera. Anche oggi, ci si lamenta che lo Stato abbandoni i suoi servitori – costretti a scorte minime laddove servirebbero ben altre protezioni. Ma se i primi a farlo sono i cittadini, non andremo molto lontano.

Pietro Figuera

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