Congresso Fuci / “Incontro all’umanità”. Il racconto dei fucini acesi: “Non ci sia solo attivismo ma vera attenzione”

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Catania. Aula magna del Rettorato. Sessione inaugurale del 64°congresso della Fuci.

Dalle piccole alle grandi crisi del nostro tempo. Al 64° congresso della Federazione universitaria cattolica italiana (Fuci), svoltosi a Catania dal 30 aprile al 3 maggio, si è parlato della crisi dell’umano e delle sue dimensioni costitutive. Si è tentato di rispondere, per dirla con le parole di uno dei relatori, a cosa resta dell’umano. Da qui la domanda, se è davvero possibile un nuovo umanesimo, sulla scia del prossimo Convegno ecclesiale nazionale di Firenze. La Fuci lo ha fatto ponendo l’attenzione sul verbo “incontrare”. Con sapienza, discernimento, e quella sete di ricerca che da sempre contraddistinguono la Federazione.

Catania. Aula magna del Rettorato. Sessione inaugurale del 64°congresso della Fuci.
Catania. Aula magna del Rettorato. Sessione inaugurale del 64°congresso della Fuci.

“Incontro all’umanità” è stato il tema del congresso di Catania, città simbolo di questo incontro. I fucini che vi sono giunti per partecipare al congresso avranno notato per le strade, come accade in ogni città italiana, una cospicua presenza di migranti. E delle loro storie si è parlato ampiamente durante le sessioni del congresso. Ma andiamo con ordine. La prolusione d’apertura è stata affidata a mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, novantadue anni e già vice assistente spirituale della Fuci. “A questa apertura dell’uomo al trascendente mirava il Concilio Vaticano II, che non era un concilio dogmatico ma un concilio pastorale, cioè attento alle persone per farle giungere all’accoglienza di Dio e degli uomini”, è stato uno dei passaggi della lucida relazione di mons. Bettazzi. Alle sue parole hanno fatto seguito gli interventi di Mauro Magatti e Stella Morra. Come muoversi verso un uomo aperto alla trascendenza? Il sociologo ha posto tre punti cruciali: “Tornare a pregare, una preghiera come presenza viva nella società nella consapevolezza che non siamo i padroni della realtà. E poi il rapporto con la debolezza, la povertà, la misura di sé. Infine, la generatività. Bisogna generare, dopo aver compreso di essere frutto di un atto di generazione e di un atteggiamento di generosità”. La teologa ha rivolto il suo pensiero sulla “frattura” della modernità che ha messo a repentaglio la condizione dell’essere cristiani: “In verità, però, l’ombra della grazia c’è sempre, e il compito dei cristiani è quello di raccoglierla e farla propria”. Essere cristiani guardando ai poveri, non anticipare ne posticipare vivendo il Vangelo e la questione del visibile e dell’invisibile, sono i punti trattati dalla Morra che ha invitato tutti a “riscoprire il pollice”: “Avete mai notato che il gesto per sgranare il rosario è lo stesso dello scorrere il pollice sugli strumenti digitali?”. Ricca di spunti è stata la lectio magistralis di Giuseppe Savagnone, autore del recente libro “Quel che resta dell’uomo. È davvero possibile un nuovo umenismo?”. Il professore ha sottolineato alcuni fenomeni della contemporaneità: animali e ambiente, tecnologie e la questione del gender. “ Il grande difetto dei cattolici – ha detto – è di riflettere pochissimo su questi problemi”. Infine: “ Il Signore vi sta dando l’onore di lavorare nella sua vigna che è il mondo; voi potete contribuire contagiando gli altri anche non cristiani con un umanesimo da reinventare, senza corazza”. Le parole di Savagnone sono poi rimbalzate dentro i laboratori, dentro cui i ragazzi della Fuci provenienti da tutta Italia hanno meditato sulle domande, le proposte e le esperienze della contemporaneità.

La parte tematica si è conclusa con la tavola rotonda cui hanno preso parte mons. Domenico Mogavero, vescovo di

Catania. Museo diocesano. Tavola rotonda. Da sinistra: Nando Dalla Chiesa, Flavia Modica, Claudio Saita, mons. Domenico Mogavero
Catania. Museo diocesano. Tavola rotonda. Da sinistra: Nando Dalla Chiesa, Flavia Modica, Claudio Saita, mons. Domenico Mogavero

Mazara del Vallo, e i sociologi Nando Dalla Chiesa e Claudio Saita. “Un rimedio al fenomeno dei barconi che è stato proposto – ha sostenuto Mogavero – è  quello di bombardarli.  È lo stesso di: dopo 3 giorni di febbre, rompere il termometro. Manchiamo di profezia. La migrazione non è un brutto sogno ma un fenomeno storico. Ci sono radici politiche, economiche, culturali e religioso”. Di vite ai margini della storia si è occupato anche Dalla Chiesa, portando gli esempi di Casal di Principe, Lea Garofalo e Franco Basaglia: “Si può incidere sulla storia partendo dai margini della storia. La responsabilità grava su ciascuno di noi. Ciascuno di noi è in grado di fare qualcosa”, ha affermato.  Non possiamo vivere relazione, ha infine sostenuto Saita, se non c’è comunicazione: “Narrare da respiro e ordine alla nostra storia, a quelle reti di relazioni che sarebbero altrimenti sconnesse”.

Dopo Catania ci auguriamo che nei vari gruppi della Fuci continui a riecheggiare il verbo “incontrare” per “uscire” fino alle periferie esistenziali, lasciandosi trasportare dalle parole di Papa Francesco, che nell’Evangelium gaudium precisa che: “Il nostro impegno non consiste esclusivamente in azioni o in programmi di promozione e assistenza; quello che lo Spirito Santo mette in moto non è un eccesso di attivismo, ma prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro considerandolo come un’unica cosa con se stesso” (EG 199). “Dio creò l’uomo a sua immagine” (Gen 1,27): il post-umanesimo, che crediamo insieme a Savagnone non debba essere senza alcuna corazza, non potrà non fare i conti con questo Dio irrimediabilmente umano.

Gruppo Fuci Acireale

 

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