Capita sempre più spesso di leggere che gruppi di famiglie ritirino i loro figli dalle scuole statali perché ci sono troppi stranieri. E’ una sensibilità tutta particolare e niente affatto biunivoca: infatti, quando si tratta di mandare i propri figli in rinomate scuole straniere private, questo “disagio” di essere in minoranza non viene avvertito. Non solo: quando i giovani rampolli sono più grandicelli cosa c’è di meglio che mandarli in prestigiose università inglesi, americane, francesi affinché, oltre ad imparare più nozioni, imparino una lingua straniera e sperimentino differenti modi di pensare, di essere, di agire? In quei casi non c’è solo l’essere soli fra tanti “diversi” ma a questo si aggiunge anche l’essere a migliaia di chilometri da casa. Strano fenomeno!
Non è necessario essere fini psicologi per capire il senso e la causa di questi atteggiamenti apparentemente contraddittori. Quando mandiamo i nostri figli all’ estero li mettiamo in contatto con una èlite mondiale, persone di rango e cultura, figli della classe dirigente, a loro volta destinati ad esserlo nel futuro. Non c’è niente di male in tutto questo salvo il rischio di credersi dei predestinati, baciati dalla sorte e benvoluti dal buon Dio, attaccati in maniera inaccettabile ai propri privilegi.
Quando invece si tratta dei diversi umili e bisognosi, allora la diversità ci diventa insopportabile. Eppure, anche se con dinamiche differenti, anche questi incontri sono fonte di conoscenza reciproca. Una conoscenza della quale abbiamo estremo bisogno.
È noto a tutti che l’ignoranza dell’altro ce lo fa sentire diverso, alimenta in noi diffidenza,dubbi e paure. Quale migliore occasione che mettere a contatto questi bambini? La loro innocenza, quella tanto cara a Gesù, renderà subito impalpabili quelle differenze che sembrano sconvolgere gli adulti, farà scoprire con gioia e naturalezza che colore, religione e lingua non sono ostacoli insormontabili.
Papa Francesco, come i suoi predecessori, ci invita alla fiducia, alla speranza, all’ apertura all’ altro. A parole, l’assenso è generale, ma nei fatti?
Eppure la storia del cristianesimo è una storia di fratellanza: “da questo riconosceranno che siete cristiani, dal fatto che vi amerete gli uni gli altri come fratelli”. Davvero in quelle scuole, in tutte le scuole traspare questo amore? Per dissipare dubbi e fraintendimenti e motivi di contrasto è bene ricordare che il buon Dio ha sempre dato questo insegnamento. Tutto l’Antico Testamento invita sempre ad avere attenzione per l’orfano, la vedova e lo straniero.
Speriamo in un futuro migliore. Sì, speriamolo, ma la nostra sia una speranza fattiva, che agisce, che parla al fratello e lo aiuta a superare queste paure e questi pregiudizi. E’ questa la Speranza virtù teologale, quella che sospinge Fede e Carità. Una Speranza che non è attesa ma azione: senza opere non si cambia nulla.
Annamaria Distefano
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