Tra una tornata e l’altra di consultazioni il confronto tra i partiti “non ha fatto progressi” e si registra “uno stallo”. L’analisi del Capo dello Stato al termine della seconda tornata di colloqui è lucida e netta.
E la conclusione che ne trae si potrebbe definire quasi un ultimatum, se questo termine non fosse così lontano dalla sensibilità istituzionale di Sergio Mattarella: “Attenderò alcuni giorni, trascorsi i quali valuterò in che modo procedere”.
Parole che sembrano escludere un terzo giro di consultazioni e alludono, invece, a un’iniziativa del Quirinale per sbloccare la situazione. Un mandato esplorativo, per esempio, affidato a una personalità come il presidente di uno dei due rami del Parlamento, a cominciare da quello del Senato che è la seconda carica dello Stato. Oppure un pre-incarico per un esponente politico di primo piano (stante il rifiuto preannunciato da Matteo Salvini, capofila della coalizione più votata, le congetture al momento portano al numero due leghista Giancarlo Giorgetti) che potrebbe anche diventare destinatario di un incarico pieno per formare il nuovo governo, se la verifica delle forze in campo avesse esito positivo.
Ai partiti che in prima battuta gli hanno chiesto tempo, il Presidente della Repubblica lo ha concesso perché la situazione uscita dalle urne è obiettivamente molto complessa, per tanti versi inedita. E
quel che preme innanzitutto al Quirinale è la nascita di un governo coerente con il responso elettorale,
solido dal punto di vista parlamentare e responsabile nelle scelte programmatiche. Non un governo del Presidente, nel senso che il lessico politico corrente attribuisce a questa formula. Ma la richiesta di tempo non può diventare un pretesto per fare “melina”, magari nell’attesa che il risultato delle regionali in Molise e Friuli-Venezia Giulia fornisca ulteriori indicazioni sui rapporti di forza tra i partiti.
Così il Capo dello Stato, nella breve ma densa comunicazione a conclusione del secondo giro di consultazioni, ha elencato punto per punto i motivi per cui il Paese ha non solo “necessità” ma anche “urgenza” di avere “un governo nella pienezza delle sue funzioni”. Eccoli: “Le attese dei nostri concittadini, i contrasti nel commercio internazionale, le scadenze importanti e imminenti nell’Unione europea, l’acuirsi delle tensioni internazionali in aree non lontano dall’Italia”.
Un richiamo inequivocabile alla crisi internazionale sulla Siria, l’elemento nuovo – e di eccezionale rilevanza – che ha fatto drammaticamente ingresso sulla scena e che non potrà non aver conseguenze anche sul processo di formazione del nuovo governo.
Allo stato, però, le dichiarazioni dei partiti dopo i colloqui di ieri al Quirinale descrivono in tutta evidenza quello “stallo” di cui ha parlato Mattarella. Per il segretario reggente del Pd, Maurizio Martina,”occorre che le forze che hanno prevalso la smettano col tira e molla, le tattiche, i tatticismi, i personalismi estremi” e dimostrino di essere “all’altezza della situazione”. “Chi ha prevalso ha il dovere di dire cosa vuol fare senza continuare con i balletti di polemiche pubbliche che nascondono solide intese di occupazione” degli incarichi parlamentari, ha aggiunto il reggente del Pd, sottolineando che il suo partito svolgerà “un ruolo di minoranza in Parlamento”.
“Se continuasse il gioco delle tattiche politiche e dei veti mentre gli italiani soffrono vuol dire che la richiesta di cambiamento” emersa dalle elezioni del 4 marzo sarebbe “disattesa – ha detto a sua volta il leader della Lega, Matteo Salvini, salito al Colle insieme a Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni – ma “speriamo non sia così per l’Italia”, che “per noi è il valore più grande”. “Ci aspettiamo dalle altre forze politiche, a cominciare dal M5S – ha puntualizzato Salvini – altrettanta responsabilità nei confronti del Paese”.
Ma al di là della dichiarazione congiunta letta da Salvini a nome del centro-destra, ha finito per fare più notizia il post-scriptum di Berlusconi che, preso al volo il microfono davanti ai giornalisti, ha invitato a “distinguere tra chi è un democratico e chi non conosce neppure l’abc della democrazia”. Una battuta in cui tutti, compresi gli interessati, hanno letto un riferimento a Luigi Di Maio. E il leader del M5S, l’ultimo a essere ricevuto al Quirinale, ha ribadito senza termini che a suo avviso “c’è solo una soluzione per sbloccare questo stallo e investe Silvio Berlusconi: deve mettersi di lato e consentire la partenza di un governo di cambiamento”. “Con la Lega – ha detto ancora Di Maio – c’è una sintonia istituzionale che ha permesso di rendere operativo il Parlamento immediatamente”, ma essa “deve prendersi le sue responsabilità, perché sta dicendo o che vuole un governissimo che non ci trova assolutamente d’accordo o che vuole tornare al voto”.
Di fronte a un quadro del genere, dopo aver ricevuto stamattina il presidente emerito Giorgio Napolitano, il presidente della Camera, Roberto Fico, e quello del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, il Capo dello Stato ha dunque fatto sapere che concederà alle forze politiche ancora “alcuni giorni”. Non di più. Poi farà le sue mosse.
Stefano De Martis