Si è tenuto all’Università Cattolica, a Milano, il terzo laboratorio nazionale in preparazione al Convegno ecclesiale di Firenze. Al centro della riflessione a più voci, due temi decisivi: fragilità e cura, i nodi del lavoro. L’invito a riflettere sull’uomo concreto, storico, attraverso il quale Cristo si è incarnato, ha lavorato con mani d’uomo e amato con cuore d’uomo
Trasversalità, speranza, realismo e concretezza perché non basta annunciare l’umanesimo cristiano, occorre incarnarlo, tenendo conto che molte persone che si definiscono non credenti hanno in sé valori che ne rivelano la connotazione “trasversale”. Queste le parole chiave del terzo laboratorio nazionale in preparazione al Convegno ecclesiale nazionale (Firenze, 9-13 novembre) tenutosi all’Università Cattolica di Milano, tappa “settentrionale” di avvicinamento, dopo Perugia (per il centro Italia, lo scorso 8 maggio) e Napoli (per il sud, il 13 giugno). Un’intensa giornata promossa dalla Cei (Ufficio nazionale per i problemi sociali e del lavoro), dalla “Cattolica” e dall’arcidiocesi ambrosiana, scandita in due momenti (e temi) distinti per declinare il “nuovo umanesimo” sulla frontiera della fragilità e della cura (al mattino); sui nodi del lavoro (nella seconda parte della giornata).
Concretezza e trasversalità. Per Francesco Botturi, prorettore dell’Ateneo, fragilità e cura è “un binomio centrale nella questione dell’umanesimo”, e la vicenda di Cristo “va compresa nella resurrezione – sintesi corporea, psichica e spirituale dell’uomo – perché è emblema della nostra. Questo l’annuncio che bisogna fare, altrimenti rischiamo di dire cose antropologicamente bellissime ma non arriviamo al punto che dà la vera speranza”. Da Chiara Giaccardi, membro della Giunta del Comitato preparatorio di Firenze 2015, l’invito a chiedersi “come reintrodurre la dimensione della concretezza nel nostro impegno”. Nella deriva “disumanizzante” di oggi, “l’umanesimo non va solo annunciato, deve essere incarnato”. Tenendo conto, avverte Donatella Cavanna, psicoterapeuta, del fatto che “molte persone che si dicono non credenti hanno in sé valori che ci fanno pensare alla sua trasversalità”. “Accoglienza, empatia, attenzione all’altro – le fa eco Gianpaolo Azzoni (Università di Pavia) – sono condivise” anche da cosiddetti “lontani”. Per Adriano Pessina (Università Cattolica), “prima di voler cambiare il mondo” dobbiamo “rivedere l’ordine dei nostri pensieri, uscire dal teologicamente e pastoralmente corretto, osare, fare i conti con la concretezza del vivere, costruire quadri non cornici”. Servire, ha spiegato Franco Anelli, rettore dell‘Università cattolica, è “avere cura della fragilità ed essere custodi delle creature fragili”. L’assistente ecclesiastico generale dell’Ateneo, monsignorClaudio Giuliodori, ha richiamato la centralità dell’antropologia e della persona umana evocata ieri a Firenze dal cardinale presidente della Cei, Angelo Bagnasco, ed ha osservato: con Papa Francesco, “nulla è scontato”, dovremmo metterci più in ascolto “delle istanze delle nostre società e del mondo”. “Riconoscere e accogliere la fragilità”, l’esortazione di monsignor Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza e vicepresidente del Comitato preparatorio del Convegno ecclesiale di Firenze (Cen).
Il giusto nome alle cose. Per monsignor Paolo Martinelli, vescovo ausiliare di Milano, che ha avviato i lavori della sessione pomeridiana, occorre “ricollocare l’esperienza del lavoro nella prospettiva della relazione individuo-società”, privilegiando “la centralità della persona”. Rabbia, stanchezza, frustrazione sono gli ingredienti “comuni” dei tre racconti “provocatori” sulla fatica del lavoro precario e sul non-lavoro, messi in scena dagli attori Arianna Scommegna, Gabriele Paoloca e Mattia Fabris. Storie di vita all’insegna della concretezza. “L’idea che per far crescere l’economia bisogna incrementare i consumi è demenziale”, ha commentato Silvano Petrosino (Università Cattolica) secondo il quale occorre ribellarsi alla “trappola che fa sentire falliti i ragazzi che non riescono a trovare un lavoro”. “Dobbiamo essere migliori, non i migliori”, e dare alle cose il nome giusto: “stage gratuito è spesso sfruttamento”.
Segni di speranza le due testimonianze di giovani che provano a vivere con entusiasmo il lavoro. Carlo De Gasperi, 27 anni, imprenditore agricolo, non ha nascosto la fatica ma anche la passione per la sua attività. Jacopo Tondelli, fondatore della piattaforma online “Stati generali”, ha spiegato i cambiamenti provocati dal digitale nel mondo dell’informazione. E alla vigilia del Sinodo sulla famiglia, mentre è viva l’eco delle parole di Papa Francesco all’Incontro mondiale di Philadelphia, monsignor Arrigo Miglio, arcivescovo di Cagliari e presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali dei cattolici italiani, ha presentato gli Atti della 47ma “Settimana” (settembre 2013) su “La famiglia speranza e futuro per la società italiana”. “L’incontro con la realtà come fondamento per interpretare il nostro annuncio del Vangelo: a questo ci chiama Papa Francesco”, ha detto monsignor Fabiano Longoni, direttore Ufficio nazionale per i problemi sociali e del lavoro della Cei, concludendo i lavori. Il passo ulteriore “è pensare obiettivi, strutture e metodi pastorali nuovi”. Di qui una precisazione: “Non ci rivolgiamo all’uomo astratto, ideale, il nuovo umanesimo riguarda l’uomo concreto, reale, ciascun uomo. Quello che andremo a discutere a Firenze e quello su cui rifletteremo è l’uomo concreto, storico, attraverso il quale Cristo si è incarnato, ha lavorato con mani d’uomo e amato con cuore d’uomo”.
dall’inviata Sir a Milano Giovanna Pasqualin Traversa