“Essere uomo significa per ciascuno di noi fare i conti con l’esperienza dei nostri limiti, da intendere non come rassicuranti confini cui rassegnarci, ma come una soglia da valicare continuamente”, scrive Mons. Cesare Nosiglia nel documento preparatorio al prossimo Convegno Ecclesiale Nazionale, che si terrà dal 9 al 15 novembre 2015 a Firenze, e a cui parteciperà, in qualità di vicepresidente per il Sud Italia, Mons. Antonino Raspanti, Vescovo della Diocesi di Acireale.
– Come ha appreso ed accolto la notizia di questo incarico?
“Mi hanno telefonato una mattina dalla CEI dicendomi che c’erano queste nomine in corso e che stavano componendo la presidenza, che comprende il presidente e i tre vicepresidenti, che ero stato indicato ed eletto vicepresidente per il sud. Io ero vescovo ad Acireale da un anno, da poco tempo, e sono rimasto senza parole. Al mio tentennamento ‘Non so se sono in grado’ mi hanno risposto, con mio grande stupore: ‘Sei stato eletto con tanti voti’. Allora mi sono detto: perché no?”
– Perché per questo Convegno, che sarà il quinto dal Concilio Vaticano II, si è scelto il tema dell’umanesimo cristiano?
“Si è notato come negli ultimi 40/50 anni, per moltissime problematiche di vari campi – economico, finanziario, bioetica, costume della vita familiare, politica – venivano suggerite delle proposte e date delle soluzioni che, alla fine, o disumanizzavano, osannando la distruzione dell’uomo, o tendevano a promuovere la legge del più forte sul più debole, lo sfruttamento dell’uomo. Insomma, ci siamo accorti come è difficile trovare, oggi, pensieri, correnti di opinione o grandi entità che gettino una luce di speranza sul vissuto dell’umanità; allora ci siamo detti: ma Gesù si è fatto uomo ed è venuto per salvare l’uomo veramente, per costruire l’umanità e liberarla da queste morse oppressive. Cerchiamo di liberare la luce che viene da Cristo per farla arrivare a tutti noi, affinché ci faccia di nuovo capire chi è veramente l’uomo. A causa della sfrenata corsa al piacere e al consumo che, apparentemente, plaude all’uomo affinché finalmente possa godere anche al di là di certe regole morali, abbiamo ottenuto solo risultati tremendi perché, ad esempio, meno freni e meno regole non hanno giovato alla gratificazione del giovane, al suo modo di impostare la vita quotidiana: sono aumentati i suicidi, la paura del futuro, la fragilità, la frammentarietà del vissuto quotidiano. I giovani sono sempre più arrabbiati, aggressivi e meno felici, segno evidente, dunque, che aver tentato di smantellare alcune regole, alcuni tabù che, come quelli della Chiesa, sono stati tacciati, accusati di oscurantismo, di opprimere, di non essere lasciare liberi, hanno portato ad alternative catastrofiche”.
– La portata rivoluzionaria del messaggio di Papa Francesco in che modo ha contribuito ad una maggiore partecipazione dei fedeli?
“In modo molto incisivo. Però si corre il rischio di vedere lo slogan, sentirlo proprio e non andare oltre. Ad Acireale, nel giorno del Venerdì Santo, è abitudine di molti fedeli confessarsi con il Vescovo nella Chiesa S.Salvatore, e molti, già dallo scorso anno, mi dicevano come il Papa ha ispirato loro la necessità della confessione, e di questo non possiamo che gioirne.”
– In che modo si può sostituire alla concezione odierna di libertà, vista come assenza di limiti e vincoli, il messaggio di felicità, contenuto nella “Lumen Fidei”, “che risiede nella libertà di Cristo”?
“Bisogna ripresentare l’incontro vivo con Gesù: comunicare la capacità di consegnare la propria vita a Gesù, fidandosi e affidandosi: “Abbi fiducia”. Un incontro, e qui bisogna essere chiari, che avviene nella Chiesa, non a prescindere dalla Chiesa o al di fuori dalla Chiesa, cosa che oggi si tende a fare moltissimo. Riprendiamo ad avere il coraggio di dire “Vieni in Chiesa, se vuoi incontrare Gesù, perché qui lo trovi”. Penso che ci voglia coraggio perché oggi si tende ad allontanarsi da essa perché non ci si sente liberi, quasi come se si venisse oppressi da vincoli. Ma se non si hanno questi punti di riferimento certi, precisi, la luce di Gesù e anche la comunità cristiana, la casa dei fedeli della Chiesa, se non si vogliono creare questi legami che, forse inizialmente, soprattutto i giovani, si avvertono come catene, ma che ti danno contenuto, gioia e soddisfazione, come si vuol fare esperienza di Gesù? Se tu tendi a non farti coinvolgere troppo nel legame, che sia affettivo, impegnativo, lo rifuggi fino a ritrovarti solo, e ti senti non amato, sciolto, non appartieni a nessuno. E se il tuo cuore non appartiene a nessuno non lo puoi dare a nessuno: il tuo cuore è vuoto perché non si riempie di nessuno. Quando parliamo di Cristo e di legami con la Chiesa, parliamo di amore parliamo di impegno per qualcuno, un impegno di fedeltà che non è discontinuo, ma è di fedeltà. Ci vuole costanza e fedeltà, non solo nelle piccole cose, ma anche nei rapporti quotidiani, pensiamo, ad esempio, al matrimonio, alla crescita affettuosa e formativa dei figli, all’impegno con cui si svolge il proprio lavoro”.
– Nell’invito al Convegno, si evidenzia la volontà di integrare all’esperienza evangelica i nuovi linguaggi comunicativi – internet, social network -. Non si corre il rischio di una “deresponsabilizzazione” da parte sia di chi diffonde che di chi ne è destinatario, e di perdere il senso dell’incontro?
“Sì, è vero. E’, infatti, necessario che le due modalità, quella digitale e quella del contatto fisico, siano complementari, non siano alternative. Se ci si limita solo alla modalità digitale, adottiamo un approccio disumano. Il volto, la corporeità, la fisicità dell’altro davvero sono fondamentali, perché noi non siamo spirito generico, noi siamo una visibilità che appare all’altro, e in questo apparire all’altro, ci manifestiamo: questo è insostituibile. Il presentarsi l’uno all’altro obbliga, nel senso amoroso del termine, perché esprime la mia cura di te, io mi curo di te dunque tu, sentendoti amato, ti senti in obbligo di rispondere”.
– Ad alcuni, quando Gesù chiede all’uomo ricco di lasciare i propri beni, venderli per seguirlo, sembra un padre padrone. Molti, inoltre, si chiedono dove si trovasse Dio nei momenti più bui della storia. Come rispondere a chi vede Dio come un’entità assente, che non si cura di noi o che non ci esaudisce?
“Quando si dice ‘tu sei assente o tu vuoi fare il padrone’, chi lo dice rimane al centro e un po’ prigioniero del proprio sentire, perché, in realtà vuol dire: ‘Io avevo bisogno, ti ho chiamato e tu non sei venuto dunque non mi servi, non mi interessi. Tu che dici di curarti di me e non c’eri, dov’eri?’. Con questo ragionamento sto, però, misurando te rispetto alle mie esigenze, alle mie sensazioni, ai miei bisogni che, pur avendo un valore, non sono assoluti. Neppure nel rapporto fra due persone, io posso misurare te sulle mie esigenze. Se voglio conoscerti e avere rispetto di te, devo saper mettere da parte le mie esigenze per ascoltare le tue, perché se le mie rimbombano nelle mie orecchie a cento decibel non ti sentirò, neppure ti vedrò. Vedrò solo me stesso, quello che io voglio e che mi serve. Anche se è legittimo ciò che io chiedo perché mi è necessario, perché sto soffrendo, perché ho fame, perché qualcuno sta abusando di me, e ho ragione ma non mi posso fermare a quello. Allora ho bisogno di un Dio a misura mia o voglio conoscere Dio, in sé, com’è? Quindi, secondo me, Dio a volte resiste e non si fa sentire o si mostra assente, perché vuole che noi andiamo un attimo sopra o fuori i nostri bisogni e i nostri problemi e cerchiamo di capirlo e ascoltarlo così come lui è. E’ legittima l’esigenza di domandare ‘dove sei?’, ma se ci si ferma lì, si rimane prigionieri dei propri bisogni e non si è andato oltre essi. Se dio è Dio – qualunque dio, non solo Gesù – e il pensiero umano lo rappresenta, come diceva Sant’Anselmo come ‘colui di cui non se ne può pensare uno più grande’, Dio è l’infinito: il pensiero di lui è davvero al di sopra di tutti noi, delle nostre piccolezze, altrimenti ripugnerebbe la nostra ragione un dio che sia poco più grande di noi. Esiodo, poeta greco antico, nell’opera ‘Teogonia’, derise gli dei dell’olimpo per i difetti e le qualità del tutto arbitrarie, che mutavano a seconda della concezione che concepiva la loro immagine. Quindi la divinità è una nostra proiezione o veramente Dio è sopra di noi, altro da noi? Se è sopra e altro, ha l’autorità e l’autorevolezza per dire ‘Ascoltami. Seguimi. Io sono la Verità, la Via, la Vita?’. Potrebbe dire di meno? Se dicesse meno chiunque potrebbe considerare le sue parole la pretesa di un ulteriore sciocco. Ma se è una pretesa divina, o lo è a 360 gradi o non lo è”.
– Kant scriveva che “la scienza è inutile se non serve a mettere in valore l’umanità”. In che modo verranno affrontati gli effetti nella società che hanno gli innumerevoli progressi scientifici?
“Si è posto il quesito, anche se ancora dobbiamo organizzare le varie fasi del convegno, ‘in che misura le nuove scoperte tecnologiche stando fornendo più conoscenze dell’uomo?’. Ci stanno aiutando a scoprire qualcosa in più sulla vita umana oppure addirittura a distruggere la vita dell’uomo? C’è grande attenzione in questo, non solo in chiave etica – fine vita, fecondazione, le problematiche legate alla vita, bioetica – ma anche in ambito lavoro e società. Anche in questi settori, la ricerca spesso va per conto suo e difficilmente si riesce a farla rientrare in schemi sociali che poi diano veramente la vita a misura d’uomo. Ad esempio, le grandi lobby delle multinazionali del farmaco influiscono molto e pilotano molto, in un senso all’altro, la vita e il vivere quotidiano. Ne abbiamo già accennato e non so se sarà riservato durante il convegno uno spazio per discuterne, ma spero non sia un tema dimenticato”.
Il tema del Convegno, “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, ci suggerisce uno dei percorsi che saranno oggetto di discussione e approfondimento. Se alla base della crisi antropologica, troviamo la crisi economica, il fallimento della mano invisibile di Smith, che si è dimostrata impotente nel salvare gli uomini dagli orrori dell’indifferenza, “è tempo di affrontare” come si legge dall’invito “la questione sociale con la proposta di un umanesimo profondamente radicato, nell’orizzonte di una visione cristiana dell’uomo”.
Chiara Principato