Convegno / La testimonianza del giornalista Paolo Borrometi che ha fatto della lotta all’illegalità una missione

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Il coraggio di esprimere le proprie idee, il non tirarsi indietro quando bisogna indagare per  informare, vivere la professione di giornalista con la consapevolezza che dire la verità, anche a costo di compromettere in maniera irreversibile la propria tranquillità, è una scelta difficile,  ma essere coerenti e affrontare i rischi per scelta personale.

In queste parole si potrebbe trovare la chiave di lettura della scelta coraggiosa del giornalista Paolo Borrometi, nato a Ragusa, una laurea in giurisprudenza e una carriera professionale piena di soddisfazioni e grandi risultati, costruita a costo di compromettere seriamente la propria incolumità. Conoscerlo e sentirlo parlare della sua ultima pubblicazione dal titolo “Un morto ogni tanto” è una esperienza che lascia il segno, perché sentire dalla voce diretta di un uomo che ha fatto dell’informazione legata agli eventi di mafia e malaffare del nostro paese quasi una “missione” non può essere facilmente dimenticata.

Lascia il segno al punto tale che una platea di giovani studenti, in questo caso quelli dell’Università di Catania del Dipartimento di scienze umanistiche, ha seguito con attenzione e vivo interesse il convegno svoltosi nell’Auditorium “Giancarlo De Carlo” nel monastero dei Benedettini di Catania che ha trattato il tema “Territorio, legalità, sviluppo”.
E proprio in occasione di questo evento, svoltosi il 24 maggio scorso, Paolo Borrometi ha avuto modo di incontrare una vasta platea e raccontare in sintesi, attraverso una intervista fattagli dal collega del quotidiano “La Sicilia”, Mario Barresi (che è stato anche il moderatore del convegno) la sua esperienza di uomo che vive ormai da tempo sotto protezione dello Stato per le innumerevoli minacce di morte da parte della criminalità organizzata.

LEGALITA’, una parola di 8 lettere, una parola che tutti noi dovremmo tenere sempre a mente, perché comportarsi in maniera conforme alla legge dovrebbe essere il credo di tutti coloro che si definiscono esseri civili, appartenenti cioè ad una comunità regolata da doveri e diritti che garantiscono una pacifica convivenza.

Ma comportamenti illegali si riscontrano in vari settori, dalle istituzioni al campo dell’imprenditoria, dal commercio al riciclo dei rifiuti  e non ultimo nell’orrido mercato degli esseri umani. E allora cosa fare? Tacere? No, significherebbe assumere a vari livelli comportamenti omertosi che non fanno parte del corretto comportamento umano. Proprio per questo se un giornalista come Borrometi ha il coraggio di scrivere e parlare, ben vengano allora le occasioni di incontro con il pubblico, con i cittadini, che devono essere sempre più sensibilizzati a queste realtà.

L’incontro, organizzato dalla Cattedra di Geografia culturale, è stato aperto dal titolare professore Salvatore Cannizzaro che, rivolgendo un saluto agli illustri ospiti presenti al tavolo dei relatori, ha posto l’accento sul connubio tra il territorio e le forme di illegalità che tanto influiscono negativamente sullo sviluppo in ogni settore.

A prendere la parola subito dopo il professore Giancarlo Magnano San Lio, Prorettore dell’Università di Catania, che ha sottolineato l’importanza del ruolo delle università che si devono aprire al territorio uscendo dalle aule, mentre il professore Andrea Riggio, presidente dell’associazione dei Geografi italiani, attraverso la proiezioni di immagini, ha fornito all’attenta platea informazioni e percentuali degli affari illegali che imperversano non solo nella nostra isola ma in buona parte d’Italia ed è un fenomeno sempre più in espansione anche all’estero.

Tanti i temi che vengono trattati nel libro del giornalista e ripresi dal professore Riggio nel suo intervento, dalla raccolta rifiuti ai reati ambientali, dall’ “Oro Rosso” di Sicilia al malaffare nel Ragusano.

Interessanti gli interventi del professore Girolamo Cusimano, presidente della scuola delle Scienze umane e del Patrimonio culturale presso l’Università di Palermo e del professore Piero Di Giovanni, docente di Storia della filosofia, che nel suo intervento ha riflettuto sulle inchieste del giornalista e su quanto sta emergendo da questo scrupoloso e difficile lavoro.

Gabriella Puleo