“Datevi al meglio della vita“, slogan estratto dall’Esortazione Apostolica Post Sinodale sui giovani ed il discernimento vocazionale (n.143), che sarà anche il tema della prossima giornata mondiale per le vocazioni del 3 maggio 2020, ha dato l’orientamento ai lavori appena conclusi del Convegno Nazionale sulle Vocazioni proposto dalla Conferenza Episcopale Italiana e svoltosi dal 3 al 5 gennaio a Roma.
L’appuntamento annuale del Convegno è stato occasione come sempre di importanti confronti tra testimoni d’eccezione. L’incontro tra approfondimenti e prospettive ha messo in luce la dinamica vocazionale che trasversalmente tocca tutti gli ambiti della pastorale. Il confronto partito da domande raccolte su schede già preparate e proposte ai diversi gruppi di studio e guidato dal prof. Giovanni Grandi dell’Università di Padova e dalla prof.ssa Assunta Steccanella della facoltà Teologica del Triveneto, ha favorito con una certa efficacia i lavori degli oltre cinquecento convegnisti provenienti da tutta Italia.
In apertura del Convegno la toccante testimonianza della ballerina, artista e scrittrice Simona Atzori ha concretamente dimostrato che nella vita non esiste alcun ostacolo che impedisca la realizzazione del “sogno”, il compimento del “capolavoro” che Dio ha pensato per la nostra vita. Fin dalla nascita Simona non ha avuto le braccia e, piuttosto che dare valore a ciò che le mancava, ha privilegiato invece ciò che possedeva, e ciò le ha consentito di “darsi al meglio della vita”.
“Immagino Dio– ha affermato Simona – come un grande pittore che ha disegnato ciascuno di noi. Quando Lui ha abbozzato me, non ha dimenticato di disegnarmi le braccia perchè questo è stato il suo volere. Simona è questa e non le manca niente – Continua l’artista – “A chi mi guarda e nota solo la mancanza delle mie braccia, il mio sorriso è sempre la mia risposta” e, esibendosi splendidamente in una straordinaria e significativa performance, ha acceso un’intensa luminosità, difficile da dimenticare.
E’ seguito poi l’intervento del card. Jean Claude Hollerich, arcivescovo di Luxembourg, che ha messo in evidenza un’ urgenza sempre maggiore a riscoprire la prospettiva della missionarietà e della chiara testimonianza di vita, per gli altri stimolo più valido per suscitare autentiche vocazioni nei diversi stati. Tramite la condivisione delle sue esperienze pastorali, il card. Hollerich ha riproposto, facendo eco al modello di “Chiesa in uscita” di papa Francesco, un metodo pedagogico fondamentale per tutti coloro che sono impegnati nel servizio alla Chiesa: è importante saper riconoscere anche nei “lontani”, in chi risulta apparentemente indifferente alla vita cristiana o non particolarmente coinvolto nella vita ecclesiale, dei soggetti potenzialmente sensibili al discorso vocazionale.
“Dio chiama sempre – asserisce il Cardinale – e per il futuro della Chiesa non bisogna cercare le vocazioni solo nella cerchia dei “nostri” giovani. Bisogna andare fuori e cercare anche chi non è nei nostri gruppi. Siamo chiamati ad essere missionari della vocazione per una Chiesa vivace nella quale il dinamismo non viene da noi ma da Dio”.
Questa è la “pedagogia” della missionarietà vocazionale che deve tendere a fare incontrare tutti ed in particolare i giovani con Dio. La conferma è nella testimonianza avuta dai giovani artisti del gruppo musicale “The Sun” che hanno attraversato aridità ed abissi di ogni tipo, intensità e grado: dall’alcool e dalla droga fino alla depressione, superati successivamente nell’incontro con Cristo, favorito dalla conversione e quindi dalla “testimonianza vocazionale” della vita cristiana di Francesco Lorenzetti, leader del gruppo musicale.
“Perché avvenga un reale e personale incontro con Dio è indispensabile – sottolinea ancora Hollerich – riconsiderare il primato del silenzio e dell’ascolto così da entrare maggiormente in connessione con il cuore di Dio, vivere un serio discernimento e cogliere il “da farsi”. Confermato questo nell’Esortazione Apostolica Christus vivit del Santo Padre: “Un’espressione del discernimento è l’impegno per riconoscere la propria vocazione. È un compito che richiede spazi di solitudine e di silenzio. Questo silenzio non è una forma di isolamento, perché occorre ricordare che il discernimento orante richiede di partire da una disposizione ad ascoltare: il Signore, gli altri, la realtà stessa che sempre ci interpella in nuovi modi”. (ChV 283/284)
“La “pro-vocazione” della realtà – ha sostenuto il pedagogista ed imprenditore sociale Giovanni Dotti – è un presupposto importante per approdare alla vocazione. Ripercorrendo la vicenda di San Giuseppe, custode e padre di Gesù, è possibile individuare una postura pedagogica particolarmente determinante per la sua vocazione; l’adesione di Giuseppe al mistero ed alla Volontà di Dio – continua Dotti – è risposta alla vocazione che è maturata anche tramite dei “traumi” e delle rotture con la tradizione del suo popolo, ed un costante camminare fiducioso”. Giuseppe infatti onora la sua tradizione mettendosi in cammino ed in pellegrinaggio, lasciandosi provocare dalla realtà. Se non c’é pro-vocazione non c’é vocazione. Tale spunto risulta molto interessante ed incoraggia ad osare e formulare percorsi nuovi di discernimento vocazionale alla luce di una sempre più attenzione alle provocazioni del presente.
Il prof. Robert Cheaib, giovane teologo della Gregoriana e relatore conclusivo del convegno, ha posto l’accento sulla sintesi mistica ed intima del discernimento che deve seguire il paradigma dell’Incarnazione del Figlio di Dio. “Interpellati nel dimorare in Dio però si esclude uno sterile intimismo di sorta e l’agostiniano “in te ipsum redi” non può prescindere dall’ “insiemità”. Quest’ultima considerazione può dare un apporto nell’intento ulteriore di fondare teologicamente il ruolo comunitario ad intra per ogni vocazione secondo la declinazione di una relazione di interconnessione con le molteplici e specifiche vocazioni, e ad extra nella relazione che vi é tra il discernimento e la maturazione di una vocazione con la comunità stessa. La vocazione battesimale della comunità trova nella forma della Croce l’identità più autentica“.
Don Santo Leonardi