Cooperazione e responsabilità / Riflessioni sul caso Silvia Romano: necessaria un’adeguata formazione per i volontari

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Il caso di Silvia Romano, la cooperante milanese, all’opera in Africa per conto di una piccola Ong (Organizzazione non governativa), ci impone alcune riflessioni, da un punto di vista puramente manageriale. Lungi dall’emettere giudizi morali sulla vicenda o sulla bontà o slancio altruistico di una persona che sente la voglia di fare qualcosa per gli altri, è opportuno focalizzarsi su alcuni aspetti poco analizzati, forse per pudore, per non rovinare la festa di una ragazza ritornata viva a casa, dopo un anno e mezzo di prigionia

L’arrivo di Silvia Romano all’aeroporto di Ciampino

La prima. I nostri giovani non devono rimanere soli e devono essere assistiti da mentor che li guidano lungo il loro cammino a scoprire la loro vocazione.

Quindi, se ancora oggi possiamo gioire di giovani che sentono il bisogno di darsi agli altri o di fare esperienze “forti”, abbiamo il dovere morale di canalizzare questa volontà nel migliore dei modi, e qui vengo alla managerialità. Bisogna mettere la persona giusta nel posto giusto dopo adeguato periodo di formazione. Quando una parrocchia, un sacerdote o un qualunque adulto maturo ha la fortuna di ricevere la confidenza di un giovane, ha il dovere morale di provvedere al meglio alla sua formazione. E, grazie a Dio, non mancano a noi cattolici le scuole di formazione per i cooperanti. Il ragazzo/a che vuole intraprendere questa nobile strada deve esse inviato, possibilmente, nelle migliori scuole di cooperazione internazionale, come il Pime (Pontificio Istituto Missioni estere), il Vis (Volontariato Internazionale Sviluppo dei Salesiani), il Cum (Centro Unitario per la formazione Missionaria di Verona), che sono tutti centri di eccellenza della formazione dei cooperanti internazionali. Dove si sono formate migliaia di volontari, nei corsi si analizzano le motivazioni di chi parte, si danno i fondamentali per approcciare le culture del luogo, con rispetto e professionalità. Qui di seguito segnaliamo alcuni dei siti di formazione:

Poi può anche darsi che, concluso il corso si accerti che, effettivamente, il giovane abbia una notevole propensione altruistica, che forse è meglio, però, indirizzare in altri modi, luoghi, più consoni alla sua personalità. Molti giovani vorrebbero iscriversi alla facoltà di medicina, per motivazioni etiche più che scientifiche; poi, quando affrontano i test psico-attitudinali pre-universitari, alla domanda lavoreresti ore ed ore su un vetrino, ti piace la chimica o la matematica, rispondono in modo negativo, ed allora magari scelgono altre facoltà più inclini al loro senso della missione verso gli altri, che non sia medicina. Questo sempre per mettere le persone giuste nel posto giusto.

Queste organizzazioni cattoliche operanti nel mondo non solo ti formano, ma ti assistono e ti guidano; non mandano dei giovani alle prime esperienze in zone segnalate ad alto rischio dal ministero degli Esteri, le fanno entrare piano piano nel mondo della cooperazione internazionale, accostandole a dei tutor in loco, etc.

Se non si è cattolici poco importa, ci si può rivolgere alla Croce Rossa, a Emergency o ad altre Ong di grande professionalità; soprattutto bisogna diffidate di Ong piccole, con poca esperienza, perché spesso mandano nel mondo i cooperanti senza una rete di protezioni o di contatti.

Secondo punto di riflessione: quanto vale oggi la vita umana? Ha un prezzo? Una vita vale più di un’altra? Ovviamente la risposta è scontata, quindi si fa di tutto per salvare una vita e riportarla a casa. Ma per  riportare la vita a casa sembra che sia stato pagato un riscatto, e diciamo che non abbiamo difficoltà a crederlo, in quanto per i terroristi i sequestri sono fonti di guadagno per finanziare la loro causa, come detto dal loro portavoce.

Sul sequestro di Silvia l’inchiesta della magistratura romana è solo ai primi passi; quindi, niente si può dare per acquisito, neanche la dichiarazione sul riscatto fatta a un quotidiano da uno che si è dichiarato portavoce del gruppo terrorista responsabile del sequestro. Quindi, il pagamento del riscatto è, al momento, solo un’ipotesi di indagine. Poi: quale sarebbe stata la cifra? Uno due, tre o addirittura quattro milioni di euro, poco importa; quello che importa qui sottolineare è che, facendo ciò, siamo diventati, seppure indirettamente, finanziatori dei terroristi, se risponde al vero la dichiarazione citata, secondo la quale i terroristi spenderanno una parte del riscatto per comprare armamenti. Sì, seppure per salvare una vita umana, in questo caso abbiamo contribuito alla loro causa. Un kalashnikov in Africa si compra, pronto a sparare, munito di caricatore di 30 colpi, 600 dollari (circa 550 euro); con quattro milioni di euro si possono comprare circa 7.000 fucili per un totale di più di 200.000 colpi. Quante vite si possono spegnere con 200.000 proiettili ?

Abbiamo salvato la vita di una nostra sorella italiana e stiamo mettendo a rischio quelle di 200.000 sorelle e fratelli africani? C’è davvero da gioire per questo? Vale di più la vita di una italiana che migliaia di vite di somale? Domande drammatiche, che vale la pena porsi proprio per evitare che si verifichino casi del genere, nei quali si deve scegliere qualche vita sacrificare, in applicazione di una ragione che può essere santa e giusta proprio se non applicata al sacrosanto diritto all’esistenza.

Magari non ci pensiamo tanto alle conseguenze di questo gesto, perché oggi è il giorno delle grida di gioia della nostra comunità, ma questo vorrà dire prossime grida di dolore lontano dai nostri occhi, noi non le vedremo, ma è doveroso sottolineare che per quello che abbiamo fatto, altre persone potrebbero morire, potrebbero essere perpetrate altre ingiustizie, commessi violenze, rapimenti, ricatti. 

In Italia, dopo che si è varata la legge anti-sequestro (che prevede anche il blocco dei conti correnti dei parenti per evitare di pagare il riscatto) si è avuto un forte ridimensionamento del fenomeno; se i rapitori sanno che il riscatto non verrà pagato non si imbarcheranno in un sequestro di persona.

Lo Stato, da parte sua, fa di tutto per tutelare i suoi cittadini e per liberarli, quando sono prigionieri, anche con operazioni violente, che mettono a rischio vite umane.

Altra questione è l’ottica cara a noi manager delle risorse scarse. In azienda abbiamo un budget e dobbiamo gestire la baracca con quei soldi a disposizione; se li dedichiamo ad un progetto, li togliamo indirettamente ad un altro. Quindi. gioco-forza, si è costretti a dare priorità di finanziamento. Così la domanda è sempre la stessa:  quante vite umane posso salvare specialmente in questo periodo di Covid-19 con quattro milioni di euro? Potrei comprare 2.500.000 mascherine chirurgiche da 1,5€ l’una, potrei proteggere il personale sanitario in corsia comprando 300.000 mascherine Ffp3 da 13,50€ l’una, o potrei salvare la vita delle persone gravemente compromesse comprando 160 ventilatori polmonari a 27.000€ l’uno? Scelte importanti che chi gestisce la Cosa pubblica deve fare per salvare vite di persone che non hanno deciso volontariamente di mettersi in condizioni di rischio, ma magari sono rimaste colpite facendo semplicemente il loro lavoro negli ospedali, nelle residenze per anziani, o semplicemente facendo le cassiere del supermercato o consegnando una spedizione a noi che siamo rimasti a casa in sicurezza.

Quindi, come spesso accade, si parte per fare del bene agli altri e molto spesso, senza volerlo, si provoca l’effetto contrario; in questo caso specifico, una giovane cooperante, impegnata ad alleviare le sofferenze altrui, con gravi rischi obiettivi per la propria sicurezza e per la propria vita, con la propria liberazione può diventare, inconsapevolmente, strumento di sofferenza per molti ma, soprattutto, proprio per le persone voleva aiutare. Per questo, ancora una volta, la formazione, la managerialità per il cooperante internazionale, pure animato dalle migliori intenzioni di questo mondo, devono essere uno strumento importante da acquisire, prima di fare delle scelte importanti che possono ricadere sugli altri.

G. C.

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