Coronavirus e dintorni / Dario Rocca, 25 anni, tra gli ottomila medici disponibili per la task force: “Più forte dei rischi è la voglia di fare del bene”

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Dario Rocca (a sin.) insieme ad altri volontari della Croce Rossa

Tra i tanti casi e notizie negative che arrivano dal fronte italiano della pandemia da coronavirus, ci piace sottolineare e segnalare quelle positive. Una è fresca: hanno risposto quasi in ottomila all’appello della Protezione civile per il reclutamento di 300 medici da inviare subito nelle zone del Nord-Italia, dove il bisogno di personale sanitario è vitale. Ne parliamo con uno di questi volenterosi, Dario Rocca, 25 anni di Santa Venerina, certamente tra i più giovani.
Non penso che tu ci abbia pensato molto a scaricare e compilare il modulo di disponibilità. Vero?
In un momento difficile come questo non ho potuto fare a meno di rendermi disponibile fin da subito. Ho appreso la notizia dalle pagine ufficiali del dipartimento sui social network e prima ancora che venisse pubblicizzato in tv avevo già aderito alla richiesta.
Dario Rocca, infatti, fresco di laurea è impegnato da giovanissimo nel sociale: volontario della Croce Rossa Italiana ed ex delegato “Obiettivo II Sociale”, radioamatore operante nella Protezione Civile; ed è attivo anche in parrocchia.
– Cosa ti ha spinto di più? La constatazione del bisogno reale e urgente o un moto dell’animo, fors’anche il bisogno personale di renderti utile? O l’uno e l’altro insieme?
Indubbiamente, esiste un bisogno sempre maggiore di personale specializzato nell’affrontare questa nuova emergenza. Tanti sono i medici in corsia, molti dei quali hanno già contratto il virus, rendendo più pesante il servizio all’interno dei reparti. In questa visione, la voglia di spendersi è tanta e lo è ancor di più per me, da sempre legato ai temi sociali e alle specializzazioni di emergenza. È un ambito che mi coinvolge appieno e non ho potuto lasciar correre questa richiesta di aiuto.

– Da medico, sei certamente cosciente del lavoro da affrontare e dei rischi che questo comporta. Ti condizionano in qualche modo?
Credo che per fare determinate scelte ci sia bisogno anche di un pizzico di follia. Il lavoro di medici, infermieri, soccorritori e tutto il personale impiegato per affrontare la pandemia, in questo momento, presnta delle difficoltà e dei rischi indubbiamente enormi e ancora poco conosciuti. Nonostante il carico di lavoro sia immane, la voglia di aiutare mi ha spinto a superare qualsiasi titubanza, forte del fatto che la mia, e quella di tutti gli operatori sanitari, sia prima di tutto una missione.

– In famiglia i tuoi hanno condiviso questa decisione? Con le stesse certezze e motivazioni tue?
Certamente la preoccupazione non manca, ma in famiglia siamo già coinvolti, a vari livelli, nel prenderci cura di chi ha bisogno e questo ha dato un importante contributo alla condivisione di questa scelta.

Dario Rocca (a sin.) insieme ad altri volontari della Croce Rossa

– Come formazione personale, guardi di più all’esperienza professionale che acquisirai nella prima fila del fronte anti-coronavirus o a quella umana e sociale?
Credo che le due cose vadano di pari passo. Ovviamente, questa esperienza mi permetterebbe di crescere sia in ambito professionale che nell’approccio con i pazienti. Penso che nella vita non si smetta mai di confrontarsi con le continue novità che le vicende umane ci pongono periodicamente nel tempo, e questa ne è la prova chiara. È una situazione nuova per tutti e ciascuno si mette in gioco per il bene degli altri.

– Hai notato che gli ottomila disponibili provengono da ogni parte d’Italia e, tra loro, ci sono tuoi colleghi ottantenni? Cosa ti dicono questi numeri?
Come dicevo, essere un medico è prima di tutto una missione e lo è per tutta la vita. Non mi stupisce che ci sia una così alta adesione di colleghi meno giovani, e questo mi rende certamente orgoglioso di appartenere a questa categoria. In tempi di “pace” siamo spesso accusati di malasanità e, purtroppo, sempre più frequentemente dobbiamo fare i conti con gli atti rabbiosi di chi non riconosce gli sforzi affrontati dietro il nostro lavoro. Questi numeri dimostrano che, nonostante tutto, mettiamo al primo posto la salute di tutti (a volte rischiando la nostra). Spero ce ne ricorderemo quando l’emergenza sarà conclusa.

– Allora possiamo sperare che l’Italia (per restare in questo triste tempo di pandemia galoppante) non sia quella di quanti fomentano il complottismo e lanciano messaggi di odio sui social contro presunti “untori” e sia, invece, quella rappresentata da voi, medici di ogni età, che avete risposto subito sì alla chiamata al fronte?
Ho sempre creduto nell’Italia come popolo unito. I complottisti sono una minima parte, ma a questi rispondono la stragrande maggioranza degli italiani che in questi giorni, cosciente della gravità momentanea della situazione, mostra con grinta la volontà di rialzarsi. Questa è la vera Italia, quella che cade e si rialza sempre unita, quella che ancora una volta, a voce unanime, grida “andrà tutto bene, ce la faremo”.

Giuseppe Vecchio

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